Ci sono tre professioni impossibili
Giuseppe Aragno - 22-03-2007
Uno studente mi fa: - chi è Renato Curcio?
Lo guardo e non capisco.
- Perché me lo chiedi? - domando.
- Beh, sono stato a "Galassia Gutemberg" e ho assistito a una manifestazione che mi ha scosso. C'era questo Curcio che presentava un libro, ma nella sala ha fatto irruzione gente che urlava, mostrava striscioni e chiedeva il carcere a vita per i terroristi. E' intervenuta la polizia, ne è nato un tafferuglio, poi per fortuna è tornata la calma. Ma a me è rimasta la curiosità e la voglia di capire. Ho sentito dire che è un terrorista ...
Lo guardo e, se potessi, preferirei sottrarmi. Ma è lì, davanti a me, ha gli occhi chiari e leali: si fida di me ciecamente. E di me devo fidarmi anch'io: il mio mestiere è insegnare.
- Non è stato coinvolto in fatti di sangue e, in ogni caso, se tu potessi chiederglielo, ti direbbe che non si è mai sentito un terrorista; la scelta della lotta armata è stata successiva, e conseguente, a un evento che fa da spartiacque nella storia del nostro paese: la bomba esplosa a Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre del 1969.
Riflette e si vede che non è soddisfatto
- Lei pensa che senza l'attentato, avrebbe preso una strada diversa?
- Ti ho insegnato che la storia non si può fare coi se e coi ma. Ed è vero. È altrettanto vero, però, che i se possono aiutare a capirla la storia. Se non si fosse aperta la stagione delle stragi, la nostra storia sarebbe stata un'altra. Non so quale, nessuno può dirlo, ma è certo che sarebbe stata un'altra, così com'è certo che ancora oggi, dopo quasi quarant'anni, né la magistratura né il Parlamento sono in grado di dirci chi decise di compiere quella strage e per quale motivo scelse di farlo. Per rispondere alla tua domanda, occorrerebbe saperlo: i fatti della storia vanno sistemati nel loro contesto.
- Ho letto, replica lo studente, che Maurizio Gasparri, deputato di Allenza Nazionale, si è schierato con il gruppetto dei contestatori. Ha dichiarato che invitare Renato Curcio ad una manifestazione finanziata dalla Regione Campania e dal Comune di Napoli vuol dire offendere la memoria delle vittime del terrorismo e insultare chi si sta impegnando a scongiurarne un ritorno.
- Vuoi che ti dica che ne penso?
- Sì.
- Negli anni della mia giovinezza ho ritenuto completamente errata la scelta della lotta armata, ma la mia convinzione nacque da un ragionamento politico, non da questioni morali. In quanto a Curcio, porei dirti, ed è vero, che non ha ucciso ma si è fatto oltre diciotto anni di carcere: dal 1974 al 1993. Potrei dirti che ha chiuso i suoi conti con la giustizia ed ora è un libero cittadino. Anche questo è vero. Potrei dirti che ha affidato al giudizio della storia il suo passato, non ha denunciato nessuno dei suoi antichi compagni e, quindi, non ha beneficiato degli sconti di pena largamente concessi ai cosiddetti pentiti. E' vero anche questo, come è vero che oggi è contro ogni forma di terrorismo, scrive libri e coordina una casa editrice. Potrei dirti, senza temere di essere un "cattivo maestro", che lavora ad un progetto sulla "memoria", sul suo "passato che non passa"; lo fa occupandosi delle carceri speciali, realizzando ricerche sugli anni dal 1969 al 1989, i cosiddetti "anni di piombo", ricostruendo la storia dei suoi compagni caduti e di tutte le vittime uccise. Pubblica libri contro l'ergastolo, contro il carcere e il manicomio giudiziario, sopravvissuto alla riforma Basaglia, e contro i centri di permanenza temporanea, che non sarebbe eccessivo definire campi di concentramento per immigrati. Potrei dirti tutto questo, ma non mi sembrano le cose che contano davvero in questa vicenda che, montata ad arte per fini politici, strumentalizza il dolore dei parenti delle vittime e ignora il dramma di chi ha pagato con lunghissimi anni di carcere i propri errori e di chi ancora paga, sepolto in una cella.
- Chi ha sbagliato deve pagare, professore.
- Lo penso anch'io. Penso però anche alla stridente contraddizione tra il dettato costituzionale che affida alla pena la finalità del recupero, anche quando questo può significare dolore per i parenti delle vittime, e la crescente richiesta di "vendetta", alimentata dalle campagne mediatiche sul terrorismo. Le richieste degli amici di Gasparri sono un evidente segnale di imbarbarimento della nostra società.
- Ma il barbaro, professore, non fu Curcio, che teorizzò la lotta armata? Guardi che non è solo il centrodestra a protestare per lo spazio gli è stato concesso. Anche Fabris, capogruppo dell'Udeur alla Camera si è indignato perché Napoli non ha ascoltato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che da tempo invita a rispettare le vittime del terrorismo e a non dare spazio a chi si è macchiato di simili delitti.
Lo guardo. Penso che si aspetti da me una risposta onesta e non mi sottraggo.
- Sai che è Sergio D'Elia?
- No. Non lo conosco.
Non mi fa piacere sorridere, ma non ne posso fare a meno.
- Ci avrei giurato. E non conosci nemmeno Marcello De Angelis.
- No, nemmeno lui. Ma che c'entra?
- Sergio D'Elia siede in Parlamento come deputato della "Rosa nel Pugno", fa parte della maggioranza che, con l'Udeur di Fabris, sostiene il governo Prodi ed è anche segretario della Camera. Nel suo passato c'è una condanna per banda armata e concorso in omicidio. Nel 1978 partecipò ad un assalto al carcere di Firenze in cui perse la vita un agente. In quanto a Marcello De Angelis, è senatore di Alleanza Nazionale, il partito di Gasparri. Nel suo passato una condanna a cinque anni per banda armata e associazione sovversiva, come elemento di spicco del gruppo neofascista "Terza Posizione", il cui nucleo operativo si fuse coi Nar, i più pericolosi tra i terroristi di destra.
Il ragazzo è evidentemente sconcertato.
- Avrei dovuto tacere?
Fa cenno di no con la testa.
Ci sono tre professioni impossibili diceva Freud: governare, guarire e insegnare. Non so perché mi torna in mente. Avrei bisogno di cominciare tutto daccapo, ma non ho più tempo.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Tiziana Vallepiana    - 24-03-2007
Bob Dylan cantava: "Quante strade un uomo dovrà percorrere, prima che possiate chiamarlo uomo?".
Una risposta non ce l'ho. Io faccio la mia strada. Non mi interessa se c'è che mi giudica. Penso alla mia coscienza.

 Patrizia Rapanà    - 25-03-2007
Curcio non ha una bella storia alle spalle e a me non piace. Aragno però ha ragione: quando il condannato ha uno spessore etico di gran lunga più elevato di quello che dimostra chi lo condanna, allora veramente diventa difficile parlare ai giovani di giustizia e di legalità. E' vero anche che, se questa è la nostra classe dirigente, non possiamo negare che la scuola ha le sue responsabilità nella grave crisi di valori che attraversiamo. Da dove sono venuti fuori campioni coma Gasparri e Fabris?

 Renzo Stefanel    - 25-03-2007
Ma esistono studenti così informati? Insegni in un liceo d'eccellenza, vero?

 Noemi Meneguzzo    - 25-03-2007
Condivido, assieme alle tre professioni impossibili, un'esperienza analoga. Sono insegnante nella scuola primaria di Vicenza che confina con la celeberrima base statunitense. Anche a me i miei alunni, alcuni dei quali italo-americani, hanno chiesto il perchè di tanta violenza.