La matematica della politica
Redazione - 19-03-2007
Chi si interroga sulla crescente incomunicabilità tra le oligarchie politiche e i movimenti, di fatto, al di là del dato immediato - il destino del governo - pone la questione essenziale del funzionamento della pratica della rappresentanza nella realtà della globalizzazione. E' il terreno sul quale la sinistra radicale, ora sinistra di governo, più che mai appare confusa e intrappolata entro le sue inestricabili contraddizioni. Qualora ce ne fosse bisogno, la risposta che Alfonso Gianni, Partito della Rifondazione Comunista e sottosegretario per lo sviluppo economico, prova a dare sul tema a Marco Revelli è in questo senso una stupefacente e sconfortante conferma di quale frattura si stia progressivamente creando tra politici e politica, tattica e strategia e, soprattutto, tra governanti e governati.
Noi, dice in sostanza il sottosegretario di sinistra radicale chiamato a rispondere delle politiche neoliberiste del governo di cui è parte, non riusciamo a capire le critiche che ci piovono addosso dalla nostra gente e chiede alla sua base che cosa pensi debba fare "una sinistra radicale, ovunque essa si collochi rispetto al governo, poiché lo stesso tema si proporrebbe, a ben vedere, anche se la stessa fosse per intero all'opposizione". Che è come dire: opposizione o maggioranza, il ruolo sarebbe lo stesso. E non è un inganno o un gioco di parole: per scelta, o per un inevitabile lapsus freudiano, il sottosegretario dice una verità sconvolgente: abbiamo fatto opposizione nella maggioranza di cui facciamo parte, come l'avremmo fatta stando all'opposizione, perché, centrodestra o centrosinistra, ci sono diversi modi di far politica, ma tutti sono di ispirazione neocapitalista. Gianni non se ne accorge, ma non è la gente a "postulare la collocazione della sinistra radicale all'opposizione per l'eternità o per un tempo talmente lungo e indefinibile da essere confuso con il suo stato naturale". E' lui che lo dice: ovunque ci mettiamo, siamo all'opposizione. E non è questo il problema che pone la gente? Non è questa la prova provata che la crisi della politica è crisi di rappresentanza? Voi, dice in fondo Gianni, ci votate per fare cose che ora non è possibile realizzare. E allora? Allora - risponde la sinistra che, non si sa perché, continua a definirsi radicale - occorre tener conto della dimensione mondiale dei problemi. Scendete pure in piazza, noi veniamo con voi, ma in Parlamento, lo si voglia o meno, ci tocca puntare alla gradualità nella trasformazione dell'esistente. Voi e noi nelle piazze "rappresentiamo" le convinzioni e gli "ideali". In Parlamento però non c'è che fare dall'etica della convinzione, noi passiamo a quella della responsabilità. Inevitabilmente: se siamo all'opposizione, al governo o all'opposizione nel governo.
Andiamo oltre il Novecento, invita Gianni, che è come dire: ma in che mondo vivete?
Oltre il Novecento, ci siamo, è un dato di fatto. E allora la domanda viene spontanea: ma che vuol dire per la sinistra radicale andare oltre il Novecento?
Rifondare la politica, ci si risponde. E la rifondazione passa per un atto di fede: conserviamo la radicalità degli obiettivi, ci proponiamo di realizzare nientemeno che la trasformazione generale della società. Ma occorre farlo senza rompere il quadro democratico di una società che ha come metodo la nonviolenza.
E' qui che la politica si fa matematica e procede per assiomi, fondandosi su verità indiscutibili che non ammettono contraddittorio. Qui è il corto circuito tra il palazzo e la gente. Qui Gianni - e la sinistra sedicente radicale - rovesciano il rapporto tra delegato e deleganti e si torna all'incomunicabilità, alla verità per fede. Ma dove lo vedono Gianni e compagni il "quadro democratico" e la nonviolenza? Dove? Al Dal Molin, a Guantanamo, in Palestina, nella tragedia concreta di Mirafiori? Dove sono la nonviolenza e il "quadro democratico"? Nei centri d'accoglienza, nella riforma del Tfr, nella scuola privatizzata, nella precarietà che spegne i sogni e i progetti per la vita, nella salute che si difende coi milioni, in una giustizia dai tempi biblici, negli arresti per reati d'opinione, nei privilegi del ceto politico, nell'uso politico della storia, nell'acqua privatizzata, nei dromedari impazziti per il disastro ambientale, nella politica degli armamenti, nei contratti che gli editori non rinnovano ai giornalisti? Dove?
E' vero, sinistra radicale e movimenti non possono che muoversi con velocità diverse e su piani differenti. Le tavole della fede su cui Gianni crede di vedere la democrazia e la non violenza dimostrano, però, che non è questione di velocità e dimensione: siamo alla rotta di collisione. Il governo, dice Gianni, è "caduto da destra e non da sinistra, con buona pace dell'ingenuità di alcuni votanti. Ciò che Giani non spiega è come possa cadere da sinistra un governo di destra. Ma anche qui la verità è matematica: se non c'è Berlusconi è centrosinistra.

Giuseppe Aragno

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