breve di cronaca
I piccoli bulli di quartiere
Corriere della Sera - 15-06-2002
Milano, le baby gang e la scuola


Milano non può fare finta che il fenomeno delle baby gang sia un assillo minore, un brufolo giovanile sul suo ben controllato volto di metropoli. L’ultimo episodio di cronaca, con il capo banda che pretendeva dalle vittime inginocchiate che gli baciassero i piedi, è soltanto più offensivo degli altri. Ma per un gesto che arriva alle pagine di giornale, molti altri restano senza clamore. Le statistiche non sono sincere, perché non tutta la prepotenza viene rilevata. Un’area sommersa di cattiveria adolescente resta nella penombra, senza denunce. Essa inquieta i genitori e spaventa gli altri ragazzi, quelli fuori dal branco. C’è un risvolto lombardo, perché a Milano e nella regione non pochi ragazzi vivono un singolare malessere, che non è certo da fame. Le bande nascono davanti alle scuole, nei cortili, nelle stazioni della metropolitana, nascono per contendersi cellulari, giubbotti e cappellini griffati. Questa microcriminalità di condominio e di strada è quasi sempre da abbondanza, non da povertà. Il disagio non è sociale, nel senso tradizionale del termine. Non lo si può ricollegare come altrove al lavoro minorile proibito e a precoci abbandoni scolastici.
Bisogna quindi uscire dal bla-bla generico, per chiedersi come scuola, famiglia e enti locali intendano impedire a tanti ragazzi di fare del male a se stessi e ai coetanei. Bisogna decidersi a trattare le bande aggressive con rigorosa lealtà anagrafica. Se li si considera troppo immaturi per essere affidati alla legge penale, li si tratti con metodi della prima pedagogia, niente telefonini regalati anzitempo, niente paghette immeritate, niente chiavi di casa e libere uscite serali, a letto presto dopo i compiti. Se li si considera troppo cresciuti per trattarli da bambini, si abbassino formali soglie di età ormai anacronistiche e ci si regoli con essi come si fa con ogni delinquente adulto.
Ma il limbo della irresponsabilità va sgomberato. Non si può andare avanti valutando soltanto gli apprendimenti scolastici. Un ragazzo può prendere un buon voto in matematica e in italiano e poi tiranneggiare la vita altrui. Restaurata dalla prossima riforma, la valutazione dei comportamenti, con un voto in condotta che farà media e inciderà nelle promozioni e nelle bocciature, dovrà essere accompagnata da un metodo di educazione ai comportamenti stessi. Si può insegnare ai ragazzi come non diventare banditelli di quartiere. Ci sono scuole a Milano dove i professori hanno manifestato il desiderio di abbandonare. Non ne potevano più dell’indisciplina dei loro allievi.
Ci sono poi famiglie che sanno poco o nulla. All’improvviso si trovano di fronte alla pessima notizia di un’impresa nera di un figlio. La paziente fermezza, necessaria a dissuadere un adolescente tentato dal suo gruppo di cattivi amici, non è dote molto diffusa. Serve poter pacatamente proibire. Finita la scuola, il ragazzo male-educato viene per mesi scaricato in un vuoto pedagogico. Bisogna aiutarlo a ritrovare un baricentro. Genitori insoddisfatti talvolta pensano che sia efficace cercargli un lavoro «partime», per il tempo della vacanza non meritata. In qualche caso può essere una formula provvisoria. Ma non è certo una soluzione di massa. Milano deve inventare, con la scuola, le famiglie e i municipi di quartiere qualcosa di vasto e di agibile, per aiutare i suoi figli più frastornati a non diventare delinquenti precoci, per noia e stupidità.

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

  discussione chiusa  condividi pdf