A proposito di casa comune
Emanuela Cerutti - 20-05-2001
Credo che una delle cose più belle e motivanti dell’esistere sia davvero la costruzione di una casa comune, in cui tutti gli uomini che di lì passino in quel momento possano trovare spazio e riparo. Una casa che permetta alla vita di essere condivisa, per quel tanto o quel poco che ognuno riesce a buttar fuori o a regalare agli altri. Una casa dove, alla fine, valgano regole non prestabilite, ma costruite dagli abitanti nel loro avvicendarsi, regole fatte di un passato che si mescola al presente per non fermare il flusso della storia. Per non “incantarlo”. Per non restare ciechi e sordi al cambiamento. Per non inciampare nella miopia del punto di vista, se diventa assoluto. Una casa, insomma, dove tutta la libertà possibile di individui e gruppi possa incontrare la necessità del “tutto sociale”. Penso alle civiltà precolombiane, che ridistribuivano le ricchezze .Penso alla realtà economica equa e solidale. Penso ad ogni tentativo di abitare la terra senza distruggerla. Penso alle esperienze ecumeniche all’interno della Chiesa Cattolica. Penso alla democrazia partecipativa della miglior accezione politica.. Penso al principio scolastico della collegialità. Penso alle comuni del post sessantotto o a Nomadelfia. Penso ai Kibbutz in fermento ideologico o alle comunità Gandhiane.
Tutte esperienze di socialità alternativa, che lottano perché la casa sia un esempio vissuto di rapporti rivoluzionati, di giustizia per cui lottare, di solidarietà, di equilibrio tra uguaglianze e differenze. Non ce la si fa sempre. Ma questo non è sufficiente per non rimettersi in gioco ogni volta.

Vedi:
- Emanuela Cerutti:
Laicità
- Luigi Ferrari:
La casa comune (risposta ad Emanuela Cerutti

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