Noi che voltammo le spalle al mar
Redazione - 21-02-2007
Li manda un'amica e sono belli. Napoli non è solo camorra e incapacità di gruppi dirigenti. C'è nobiltà di gente che non si è arresa e nobiltà di storia. L' Italsider, o Ilva, di Bagnoli, che fu un tempo "villaggio" nato con le ciminiere di una immensa fabbrica ai piedi di Capo Posillipo, è stata la fabbrica-simbolo della città operaia per lunghi e intensi decenni, dall'Italia liberale a quella fascista, fino alle soglie della sedicecente "Seconda Repubblica". In essa si è incarnato il sogno della "città industriale", prevalso all'alba del Novecento sul progetto di Nicola Amore della "città Museo", cui si è poi semplicisticamente ispirata, dopo la mannaia calata giù dalla deindustrializzazione, la contraddittoria politica di sua maestà Bassolino.
Lì, all'Ilva, è andata a scuola di "coscienza di classe" l'ala avanzata del proletariato industriale napoletano e, nei suoi capannoni sono nati giornali, comitati, consigli e un mondo che meriterebbe studi e ricerche specifiche mentre con infinita arroganza, si fa "archeologia industriale" e si tace dei lavoratori. L'Italsider ha segnato la storia del quartiere operaio di Bagnoli - ed è stata una storia nella storia della città - tra il mare, ora pesantemente inquinato, e i contrafforti di tufo che circondano la bella conca distesa sul mare che, di fronte all'isola di Arturo e ad Ischia, la greca e incantata Pitecusai, fu fatale al mitico Miseno.
L'Ilva fu a Napoli il cuore della classe operaia che pareva potesse cancellare il sottoproletariato e l'economia del vicolo, fu lotte e sindacato ma fu anche contestazione della burocrazia sindacale, fu la speranza di un irrealizzabile incontro tra operai e studenti, laboratorio politico aperto alla speranza, baluardo eretto contro la malavita e, senza retorica, sangue succhiato dal capitale e trincea levata contro lo sfruttamento. Ora è terra di nessuno. Ora ci sono scheletri di strutture, progetti faraonici su cui si allunga l'ombra della speculazione; ora c'è la memoria, almeno quella, da recuperare e ci sono persone, c'è gente che ha da raccontare e ricordare, un tessuto umano che fu operaio e che lotta nell'ultima trincea possibile, contro il rischio di sprofondare nella palude del sottoproletariato, contro il voltafaccia d'una sinistra "modernizzata", più realista del re, che asseconda e non contrasta la "nuova fase" dello "sviluppo". Una sinistra per cui i costi umani sono danni collaterali e rientrano nella logica del fuoco amico. Leggendo questi versi, non mi è stato possibile però fermarmi al ricordo. Io ci ho sentito ancora una speranza di futuro e mi è sembrato che il mare finalmente scoperto, il mare è ancora amico. Non ci sommergerà, è lì che aspetta di portarci, marinai, là dove il sole spunta. Perché ancora ed ancora, ancora spunterà.

Giuseppe Aragno


Noi che voltammo le spalle al mar
(in visita al Circolo Italsider 12-12-2004)


Sono tornata là
dove ci si teneva idealmente per mano
la voce roca per troppo gridar e sigarette.
a cercar di far umana catena.

Non ci accorgevamo del mare, lo tenevamo lontano
voltandogli le spalle,
io tenevamo lontano, alzando i pugni al cielo.

Consapevoli scegliemmo metalliche sirene,
cerammo le nostre orecchie, bendammo i
nostri occhi, e ancora oggi riusciamo a sentire
e a vedere.

Oggi fra platinati, immemori, rigurgiti operai
novelli satiri a caccia di estere ninfe
serriamo i pugni a difesa delle nostre ceneri,
ad altri il fumo.


Maria Antonia Stefanino


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