La lettera pervenuta in redazione (che, per quanto ci consta, non è stata ripresa da alcun organo di informazione) è un pò datata ma il contenuto ci sembra attualissimo. Un motivo in più per pubblicarla. Red
All'attenzione delle segreterie nazionali di CGIL-CISL-UIL
E per conoscenza
- agli organi di informazione nazionali e locali:
- a tutte le lavoratrici/tori.
8 gennaio 2007 - Bologna
Come sapete, in merito ai recenti accordi e successivi provvedimenti sull'anticipazione al 1 gennaio 2007 del decreto legislativo n. 252/2005 (trasferimento ai fondi pensionistici integrativi del Tfr tramite il meccanismo del silenzio-assenso), vi è nei luoghi di lavoro un diffuso malcontento derivante soprattutto dall'assenza di coinvolgimento nella discussione e nella decisione a riguardo da parte dei lavoratori/trici che sono i diretti interessati al provvedimento in oggetto.
Inoltre, l'adesione ad una proposta di investimento finanziario (come quella dei fondi pensione) dovrebbe vedere il lavoratore/trice (al pari di qualsiasi altro possibile investitore che riceve una qualsiasi proposta di investimento finanziario) libero di valutarne l'opportunità o meno nei tempi e nei modi a lui più confacenti e non in un contesto temporale, quello dei 6 mesi, che gli viene presentato di fatto come una forzatura verso una scelta.
Ciò nonostante Cgil-Cisl-Uil intendono procedere, dal 1 gennaio 2007 alla campagna di adesioni ai fondi integrativi all'interno delle normative indicate dall'allora Ministro Maroni con la legge 252/2005, e quindi anche avvalendosi del meccanismo del silenzio-assenso.
Da molte parti si era chiesto di realizzare preventivamente una vera consultazione tra i lavoratori dando poi loro la possibilità ed il diritto di decidere sulla condivisibilità o meno degli accordi sindacali in materia.
Nessuna consultazione è stata realizzata e Cgil-Cisl-Uil sono ormai intenzionati a realizzare una massiccia campagna informativa per pubblicizzare l'offerta di investimento finanziario nei fondi pensione contrattuali, accettando di fatto gli effetti di un meccanismo per noi perverso e non condiviso, come il silenzio-assenso.
Nulla da eccepire sul diritto, per chi offre un prodotto finanziario, di procedere alla sua promozione, così come nulla da eccepire dovrebbe esserci sul diritto di chi dissente di poter fornire ai lavoratori adeguate informazioni sulle ragioni del dissenso.
Riteniamo, come anche Voi del resto, che al lavoratore (sia esso propenso o meno ad aderire alla proposta di investimento del suo Tfr in un fondo finanziario) si prospetta una scelta importante e non facile.
Infatti, se è chiaro il meccanismo ed il costo dell'adesione, assai meno chiaro appare il possibile rendimento che essendo legato all'andamento del mercato finanziario rimane nella sua sostanza incerto.
Altrettanto poco chiare sono inoltre le norme che gestiscono i fondi. E' a conoscenza anche Vostra che in caso di successiva disdetta al fondo, il recupero del Tfr versato non potrà essere fatto se non dopo 4 anni di comprovata condizione di disoccupazione, così che i lavoratori/trici perdono il diritto ad una quota importante del loro salario differito e proprio nel momento in cui ne avrebbero più bisogno.
Per garantire che nei luoghi di lavoro possano circolare tutte le informazioni, anche quelle critiche, in materia di adesione ai fondi pensione, e per favorire quindi una scelta ragionata da parte dei lavoratori/trici, si è costituito, a partire da numerosi delegate e delegati Rsu, un Comitato Nazionale per la difesa della pensione pubblica e del Tfr.
Volevamo informarVi a riguardo che è intenzione delle delegate e dei delegati Rsu che aderiscono a questa iniziativa partecipare, con le loro ragioni e con le loro proposte, alla campagna informativa per l'adesione ai fondi pensione avviata da Cgil-Cisl-Uil.
In questo senso siamo sicuri che non verrà meno da parte del sindacato Confederale l'impegno a garantire la libera circolazione delle informazioni nei luoghi di lavoro, e la libera discussione tra i lavoratori/trici che anche questo nostro Comitato potrà realizzare, attraverso volantinaggi, distribuzione di materiale, interventi e presentazione di ordini del giorno nelle assemblee.
A riguardo ci dichiariamo sin da ora disponibili ad un incontro per valutare come questo dibattito nei luoghi di lavoro possa avvenire senza che si provochino, da parte di chi potrebbe essere interessato, inutili e strumentali tensioni nei luoghi di lavoro, essendo noi, assieme a Voi, interessati a far si che il confronto e la discussione avvengano nel rispetto di tutte le procedure democratiche proprie della dialettica sindacale.
Le delegate e i delegati Rsu autoconvocati
dell'assemblea nazionale del 1 dicembre a Milano
COMITATO NAZIONALE PER LA DIFESA DELLA PENSIONE PUBBLICA E DEL TFR
Per maggiori informazioni:
Sito internet
e-mail
Dal sito del coordinamento nazionale RSU - 27-01-2007
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Il «riformismo» dei fondi pensione
Una tempistica da far rizzare i capelli in testa. Mentre parte la «campagna informativa» sul lancio della «previdenza integrativa», che si scolerà buona parte del tfr di ciascuno di noi, i parenti più stretti dei fondi pensione - i fondi comuni di investimento - "crollano". Quelli italiani, perlomeno. L'allarme non arriva da qualche riottoso veteromarxista, ma dall'organo semiufficioso di Confindustria, il Corriere della sera.
Nel 2006 la «raccolta» tra i clienti è calata di 42,5 miliardi di euro, ma soprattutto - guardando alla media degli ultimi 5 anni - sono stati un investimento mediamente demenziale: per guadagnare l'1,5% è stato speso l'1,3. Tanto valeva mettersi ai semafori a lavare vetri. Risultato inquietante, poi, se si tiene conto che questi cinque anni - non a caso scelti escludendo il 2000 dello scoppio della "bolla della new economy" e il 2001 delle twin towers - sono stati anni di forte ripresa di borsa. E proprio in borsa, elettivamente, i fondi comuni investono i loro soldi.
Cosa succede? Il giro dei pareri è sconfortante. C'è chi accusa come sempre "fisco e burocrazia", chiedendo un'unica authority di controllo ridotta però a «un funzionario che svolge un ruolo di consulenza» (un "basista", insomma). C'è chi se la prende con quei deficienti di clienti che «comprano tutto quello che lo sportello (della banca, ndr) propone» o che «invece di investire sull'azionario vogliono linee garantite e monetarie» (cioè: preferiscono non rischiare troppo, specie in prospettiva pensione). C'è infine l'illuminato corrierista che raccomanda il "divorzio" tra banche e fondi comuni (al 90% di proprietà delle prime), fonte di «giganteschi conflitti di interesse» che si traducono (letterale)nella «domestica spremitura del limone» (il cliente). Ma «senza arrivare a soluzioni estreme» come la separazione obbligatoria; siamo moderati, che diamine.
E' il quadro di un'"industria" in via di smobilitazione, per incapacità manageriale e/o orizzonti miserabili (la "spremitura" prendi e scappa). Con i risparmi delle famiglie (ben 3.000 miliardi di euro) ormai nel mirino dei fondi esteri. In questo quadro si è avuta la "grande idea" di imporre (in anticipo, per di più) il trasferimento del tfr ai fondi pensione. Per quale ragione i gestori di questi fondi dovrebbero essere più "bravi" delle banche? Dove andranno a finire quei soldi? Ci dicono: ma i «fondi chiusi», quelli negoziali, «non possono fallire», perché sono garantiti dallo stato (al contrario di quelli "aperti", veri e propri fondi comuni "di mercato"). Appunto: se fanno profitti se li tengono, se ci perdono ci rimettiamo noi.
Una vera prova di "riformismo".
Tommaso De Berlanga
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