Anno scolastico 2005-2006 - mese di aprile
Cosimo Scarinzi - 29-04-2006
May Day Parade

La Confederazione Unitaria di Base, assieme a diversi collettivi di precari e associazioni della società civile, organizza anche a Torino la May Day Parade con partenza alle 16 da Piazza Castello e conclusione con festa al Parco ...
Giuseppe Aragno - 29-04-2006
Quale scuola? Oggi non è certo una domanda banale, ma la risposta passa inevitabilmente per un'altra domanda: quale società? Mentre cambia la guardia e la destra fa posto alla sinistra, mi pare più evidente che mai: parlare di scuola è parlare di società e, per farlo, occorre probabilmente provare a guardarsi un po' indietro e "storicizzare" l'esperienza recente.

Cosa ci mosse a lottare contro il "concorsone"? Partirei di qui e, semplificando, direi che la protesta ebbe due motivazioni prevalenti: quella "retributiva", provocata dai sei milioni di lire garantiti solo ad alcuni lavoratori in una busta paga che era - e rimane - un vero e proprio oltraggio, e quella "antidiscriminatoria" che rifiutava la divisione dei docenti in "buoni" e "cattivi" e il conseguente "aumento per merito".
Tra noi, tuttavia, c'era chi criticava non solo la "gerachizzazione" del personale, ma anche il ruolo imposto agli insegnanti e alla scuola dello Stato e avvertiva che la logica del "concorsone" era quella di una selezione funzionale alla scuola-azienda. Chi lo aveva ideato si affannava a negare: si tratta solo di avviare concretamente l'autonomia scolastica. Nei fatti, invece, si inaugurava quel processo di "autonomizzazione aziendalistica" della scuola che la sinistra non ha mai ripudiato e la destra ha condotto alle sue estreme conseguenze.

Ritornata la potere, la sinistra che fa? Abolisce la riforma Moratti? Si direbbe di no. Aggiusta, a quanto pare, modifica, rattoppa, ma non abolisce. E' un dato di fatto. Chi ha vissuto in prima persona, come dirigente sindacale, delegato, o anche solo militante attivo, lo scontro sull'autonomia sa che esso si fece aspro quando risultò chiaro che, dalla fase teorica, si stava passando alla realizzazione concreta d'una scuola che non solo ricorreva ad una selezione degli insegnanti in rapporto a parametri valutativi discriminanti - il che appariva, ed era, già di per sé grave - ma si proponeva di rivedere la funzione docente in vista di compiti comandati e del tutto subalterni. La scuola-azienda passava per un sistema integrato pubblico-privato e aveva bisogno di insegnanti sconfitti, costretti ad accettare ruoli mortificanti. Non solo selezione, quindi, ma subordinazione ad un sistema formativo servo a sua volta di quello economico, il cui compito non era più quello di formare cittadini, ma di dare risposte al mercato della forza-lavoro. La barzelletta delle "tre i" non è di schietta matrice berlusconiana. Ha radici più profonde, che vanno cercate sul terreno delle scelte concrete - lascio da parte quello dell'ispirazione ideologica - legate all'esperienza del governo D'Alema, che si distinse per il tentativo di mostrarsi all'altezza delle aspettative del grande capitale. Come per la guerra, così per la scuola, la correttezza costituzionale cedette in quegli anni il passo agli interessi superiori del profitto che non ha patria. Ciò che si voleva ottenere era la costruzione, nell'ambito dell'area imperialistica, di un sistema scolastico paritario, pubblico e privato, finalizzato all'imposizione di una nuova alfabetizzazione - quella informatica - e ad una concezione mercantilistica della conoscenza - l'inglese a scapito di ogni altra lingua - che costituisse il primo gradino di una nuova scala di valori di un sapere volgarmente tecnico e decisamente funzionale ad una nuova divisione sociale del lavoro.
La scuola confindustriale non chiedeva cittadini consapevoli, ma utili idioti subordinati che anche non sapendo mettere insieme un pensiero critico avessero titoli "qualificati" in rapporto alle esigenze del mercato. Per ottenere questo scopo, occorrevano insegnanti ridotti ad agenti speciali del capitale in una scuola buona a costruire soprattutto giovani pronti ad eseguire mansioni contrarie ai propri interessi sia sociali sia, detto in senso lato, di "classe".
Vincenzo Andraous - 28-04-2006
Ancora minori protagonisti di accadimenti delinquenziali.
Giovani, tutti dentro il recinto chiuso delle emozioni, arena eretta a olimpo ove schierare limiti e frustrazioni, mancanze e assenze irrappresentabili.
Giovanissimi con lo zainetto a spalla e le cerniere calate in basso, pronti a riempire il fondo di avventure disperanti, di sfide impari all'impazienza.
Studenti di oggi e professionisti di domani, ognuno con il proprio libro aperto sul letto, dimenticato alla pagina relegata a misera giustificazione di stanchezza.
Famiglia, scuola, oratorio, agenzie educative sconfitte dai messaggi mediatici, dalle estetiche dirompenti, dalle tasche vuote da riempire di denaro e piacevoli rese.
Diluizione energetica è termine scientifico, per addetti ai lavori, insomma, per pochi intimi, eppure dovrebbe diventare dinamica di tutti i giorni, pratica quotidiana, affinché il più difficile dei ragazzi, entri in possesso della chiave di accesso, all'agire con il proprio cuore e l'altrui misura.
Aiutare a portare fuori le parole, aiutare chi trasgredisce o infrange la norma condivisa, a dialogare con il proprio fuoco-compagno di viaggio, stavolta pancia a terra.
Aiutare il minore significa rimanere in ascolto, silenzio non verbale, per poi farne traccia di un percorso di risalita, di risposte comprensibili e sensibili, quindi non solo accudenti, ma promotrici di un'attenzione forte a responsabilizzare il nostro ruolo di genitori e conduttori.
Lucio Garofalo - 28-04-2006
Secondo statistiche ufficiali, ogni anno in Italia verrebbero commesse oltre 300 mila violazioni della legge (ovviamente si tratta dei reati formalmente denunciati e accertati), che vanno dalle piccole infrazioni del codice penale ai reati più gravi quali estorsioni, rapine, sequestri di persona, omicidi.
Nel contempo le carceri italiane, già sovraffollate, hanno spazi assai carenti e limitati, per cui non riescono ad ospitare i violatori della legge che in pratica restano impuniti. In tale situazione sono i grandi criminali che riescono a beneficiare delle enormi lacune del sistema carcerario italiano. Non è un problema di sedi penitenziarie, di luoghi fisici di detenzione, altrimenti basterebbe costruire nuove strutture carcerarie per risolvere la questione. A riguardo penso che sarebbe meglio investire la spesa sociale nella costruzione di moderne e attrezzate case, scuole e ospedali, per cercare di rispondere alle drammatiche istanze sociali derivanti dall'emergenza abitativa, dalla questione scolastico-educativa e dalla crisi medico-sanitaria.
L'azione dei governi in materia di criminalità si riduce a periodiche e provvisorie strategie di repressione poliziesca (si pensi, ad esempio, al blitz compiuto qualche tempo fa a Scampia, il famigerato quartiere di Napoli) che sono sempre pilotate e condizionate da interessi e meccanismi di ricerca del consenso popolare, strategie che presuppongono e richiedono un ruolo decisivo legato all'esercizio dell'informazione quotidiana di massa.
In tal senso, i più importanti mass-media nazionali, network televisivi in testa, tendono a promuovere periodicamente vaste campagne di informazione propagandistica che rendono di "moda" alcuni tipi di reati.
Francesco Mele - 27-04-2006
L'intervento di Sergio (cfr il primo commento all'articolo Un appello sindacale - ndr) così veemente e, in certi passaggi, anche poco rispettoso del lavoro e della passione di tante persone che a questa proposta di legge hanno lavorato e stanno ...
Forum insegnanti - 26-04-2006
Una legge alternativa alla Moratti adesso c'è. Sosteniamola!
Un primo traguardo importante è stato raggiunto. Oltre 50mila firme sono state raccolte in tutta Italia per la presentazione della Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la ...
Peppe Sini - 25-04-2006
Carissime e carissimi,

sperando di non essere importuno vorrei segnalarvi l'utilita' di far circolare l'idea che il Parlamento elegga Lidia Menapace, attualmente senatrice, come prossima Presidente della Repubblica.

Lidia Menapace e' una donna, una persona che ha preso parte alla Resistenza, una pensatrice e attivista femminista, un'amica della nonviolenza; ed e' altresi' una persona di profonda cultura, di limpido impegno civile, di straordinario rigore morale. Tutte caratteristiche per le quali sarebbe una ottima Presidente della Repubblica.

Prima che il dibattito per l'elezione del capo dello Stato sia ingabbiato nelle logiche interne al ceto politico, potrebbe essere efficace che dalle cittadine e dai cittadini, dai movimenti delle donne, dall'associazionismo democratico, dai movimenti sociali, dalle espressioni civili della societa' civile, dai luoghi della cultura e dell'impegno per i diritti e la pace, dalle e dai militanti politici di base, emergesse autorevole e corale, persuasa e persuasiva, una proposta rivolta all'intero Parlamento affinche' per la Presidenza della Repubblica si converga su una figura dell'autorevolezza di Lidia Menapace.

Sarei felice se la proposta di Lidia Menapace alla Presidenza della Repubblica (proposta condivisa gia' da varie persone) venisse fatta circolare, se molte persone si esprimessero in tal senso, se si riuscisse a suscitare l'attenzione e l'impegno di tante e tanti a tal fine.

Posso chiedervi, qualora condivideste questa opinione, se poteste sia diffondere - nelle forme che riterrete piu' adeguate - la proposta, sia scrivere un vostro intervento a sostegno di essa (e se possibile inviarmelo per poterlo diffondere anche attraverso il nostro foglio quotidiano "La nonviolenza e' in cammino"? Ve ne sarei molto grato.

Un cordiale saluto,

Peppe

Viterbo, 24 aprile 2006
Francesco Mele - 25-04-2006
Ciao a tutti e tutte,

vi scrivo per informarvi che l'appello degli iscritti FLC CGIL a firmare la legge di iniziativa popolare per una Buona Scuola per la Repubblicanon è solo rivolto ai cittadini per invitarli a firmare la nostra proposta di ...
Maurizio Tiriticco - 24-04-2006
Nel mio ultimo scritto, Un progetto per il nuovo governo, ho tentato di dimostrare come e perché non si possano avviare specifici programmi, se prima non si adotta una strategia rigorosamente progettuale. Un Progetto nasce da un'idea; sono poi i ...
Stefano Cortese - 22-04-2006
Apro il sito del liceo Parini di Milano. Cerco i documenti che riguardano l'occupazione di Dicembre ma subito mi colpisce un collegamento per accedere a tutti i documenti prodotti durante l'occupazione del 1968 e a vari articoli dei quotidiani di quei giorni. Trovo due articoli interessanti: il primo è del Corriere della Sera del 12 marzo '68 e riassume i malumori di un gruppo di genitori che inviarono una lettera al provveditore per chiedere che l'allora preside Mattalia fosse sollevato dall'incarico per avere accettato e sostenuto metodi di insegnamento di carattere eversivo da parte di alcuni insegnanti. Il secondo è de L'Unità di qualche giorno dopo e pubblica la lettera di Mattalia agli studenti del liceo dopo che gli fu tolto l'incarico di preside e accettò la candidatura propostagli dal PCI per le elezioni politiche.

Il verbale del Comitato Genitori

Cerco i documenti sull'occupazione del 2005 e trovo un verbale del Comitato Genitori del 3 dicembre che, sulla scia della strategia preventiva imperante, propone assurde soluzioni di forza e contropicchetti a fronte della possibilità di trovare gli studenti dentro la scuola per il 12 dicembre. C'è un elemento interessante da notare: la partecipazione di una rappresentante degli studenti della lista "Alternativa Aperta" che, nella discussione sull'occupazione, dichiara insieme a molti genitori di non essere disposta «ad accettare un atteggiamento lassista che permette a chi viola sistematicamente tutte le regole di non essere punito» e accetta di buon grado la proposta di punire gli occupanti con un 7 in condotta.
Ora, mi riesce difficile pensare a questa ragazza che si precipita dall'insegnante tal dei tali a proporre l'abbassamento del voto in condotta del suo compagno; mi viene più facile pensare che questa stessa, in nome della cooperazione con gli insegnanti, abbia esercitato su se stessa un condizionamento tale al rapporto di potere che si è instaurato, da farle perdere la cognizione del suo essere studentessa e non aguzzino di altri studenti, così da diventare un araldo del potere, uno schiavo buono che ubbidisce al padrone. E il problema vero è che lo fa in totale buona fede.

La serenità ignorante del potere: il Consiglio di Istituto e il Collegio Docenti

I due documenti veramente rilevanti sono le dichiarazioni del Consiglio di Istituto e del Collegio dei Docenti: la prima è stata formulata durante una seduta avvenuta nei giorni dell'occupazione; la seconda difende la convocazione e le delibere dei Consigli di Classe-tribunali che hanno preso provvedimenti disciplinari nei confronti degli occupanti. Queste due dichiarazioni sono legate da un filo conduttore che si richiama sostanzialmente a due concetti: il primo palesato, e l'altro invece nascosto, omesso, volutamente non menzionato per evitare di far scricchiolare un castello di carte già di per sé traballante. Il primo è il continuo richiamo alla serenità («in nome della serenità del lavoro comune...»; «la maggioranza vuole studiare in un clima sereno...») che, se ad una prima lettura può sembrare un elemento di mera formalità, nasconde la pericolosissima negazione di tutta l'attività politica che non rientra nei canoni del "concesso", del "permesso", del favore da parte dell'autorità scolastica, e che da rivendicazione, discussione, confronto e anche lotta si trasforma in un orpello, in un fronzolo, in una cogestione con gli insegnanti. Nella serenità di tutti, quando si soffoca il conflitto, tutto ciò che dovrebbe essere un diritto garantito, a seguito di trattative e di vertenze anche dure, diviene un favore concesso o un fastidio appena tollerato. Non solo, questa serenità così energicamente proclamata è anche un manifesto qualunquista e un invito al silenzio e alla calma per lasciar lavorare in pace chi di dovere, senza minacciare con sciocche interferenze l'importantissimo lavoro che svolge. L'elemento nascosto che si trova in questi documenti è il fortissimo tentativo di depoliticizzazione del conflitto in atto fra coloro che hanno occupato e l'istituzione scolastica; in sostanza il Consiglio di Istituto e il Collegio Docenti, nella totale incapacità di gestire la loro funzione che è ampiamente politica, negano la validità delle istanze sostenute da coloro che hanno occupato, non intervengono nell'impantanato terreno politico perché questo stesso li sottoporrebbe ad un confronto ad armi pari che di conseguenza toglierebbe loro uno spazio di azione repressiva che stanno utilizzando contro gli studenti, e infatti il loro intervento verte principalmente sulla «perdita di tempo e deconcentrazione», utilizza strumentalmente la «mancanza di unitarietà tra gli studenti», si permette di parlare di «lesione della determinazione degli studenti» a causa della chiusura delle porte, quando, senza dubbio, a stabilire se la loro determinazione è stata lesa dovrebbero essere esclusivamente gli studenti, e non gli apparati coercitivi creati dagli insegnanti o dai genitori. Nel documento del Collegio Docenti si legge anche: «la scuola non è "piazza" per comizi e propagande mediatiche ed elettorali, bensì è uno spazio pubblico destinato alla funzione di studio e formativa», ancora una volta affermazioni gravissime e contraddittorie nei concetti, poiché proprio in virtù del suo essere pubblica la scuola ha molto della piazza; essa è quel luogo basato sul confronto e su un rapporto dialettico fra tutte le componenti che ne fanno parte, ed è pubblica perché la politica entra a farne parte e perché vive anche di comizi e propagande, non della negazione degli spazi politici da parte di un Collegio Docenti nella sua peggior veste autoritaria né dell'annullamento dell'alterità e soggettività studentesca che si compie in quelle poche righe male abbozzate.

Parini 1968 - Parini 2006: due scuole a confronto

Nel leggere i documenti e gli articoli dell'occupazione del '68 scorgo analogie coi documenti di questi mesi che senz'altro non possono essere casuali. Cito dalla lettera dei genitori che chiedevano il sollevamento di Daniele Mattalia dall'incarico di preside: «Non siamo contrari a riforme graduali del metodo e delle strutture della scuola italiana, che ne ha certamente bisogno, ma auspichiamo che dette riforme avvengano con il rispetto del metodo democratico e non con l'adozione, da parte di minorenni, di sistemi anarchici ed eversivi». E dal verbale del comitato genitori del 3 dicembre 2005: «Si pone a più riprese il problema della legalità e della più chiara definizione delle norme entro le quali dovrebbero svolgersi le attività, anche fortemente innovative, di partecipazione degli studenti alla vita culturale della scuola». I genitori di oggi, come quelli di allora, soffrono (intenzionalmente) di una totale disabitudine al discorso politico che esce dalla cabina elettorale e riempie la scuola, le piazze, le fabbriche.
Mattalia, nella sua lettera agli studenti dopo essere stato cacciato dalla presidenza del Parini, scrisse: «la politica, la qualunquisticamente deprecata politica, prima che una specifica scelta concretabile, necessariamente, in un determinato programma e in una determinata linea d'azione, è un democratico e attivo e, quando occorra, battagliero impegno per la rivendicazione dei propri diritti e per la soluzione dei problemi che concernono ciascuno e insieme, nell'ovvio rapporto sociale, tutti». I docenti del Parini non sono affatto all'altezza di aprire un piano di confronto che sia politico, ma esclusivamente repressivo, e infatti la risposta oggi è: «la scuola non è "piazza" per comizi e propagande». Nel concludere la sua lettera, l'ex preside disse: «basta con gli infingimenti, basta con gli equivoci, basta coi compromessi, basta con le concessioni e le riforme dosate sulla bilancia millesimale [...] Vogliamo un riassetto radicale e nuovo di tutta la società italiana e, in primo luogo, della scuola». Speriamo che queste parole siano una lanterna per tanti studenti e chissà, magari, anche per qualche insegnante, aspettando un altro Mattalia; qualcun'altro che non abbia paura di sporcarsi le mani.
Ilaria Ricciotti - 22-04-2006
Repubblica antica, bella e pura,
l'averti è stata un'impresa dura.

Molti nelle montagne e nei paesi,
hanno lottato e non si sono arresi.

Uomini, donne, bambini, anziani,
hanno stretto i denti e unite le mani .

Il tuo antagonista, cerbero affamato,
per anni ti ha violentato e rinnegato.

Hanno impedito che tu sbocciassi,
hanno inveito con pallottole e sassi.

Tu, regina dei cuori senza barriere,
hai strappato di dosso le vesti nere.

Ti sei riappropriata dei tuoi veri colori,
circondata da bimbi con la gioia nei cuori.

Oggi, più di ieri per molti sei una stella ,
dopo anni d'attesa, appari ancor più bella.

Sappi, non ti lasceremo mai sola, vigileremo,
saremo sempre con te, e per te ci schiereremo...
Giuseppe Aragno - 21-04-2006
In un momento politico come quello che viviamo, il 25 aprile non è un giorno della memoria rituale. Abbiamo davanti a noi un centrodestra che, sconfitto dal responso delle urne, si rifiuta si far posto ai vincitori. Ed è, si badi bene, un centro destra che ha nel suo bagaglio culturale la storia "revisionata" di Nolte e De Felice. In quanto al centrosinistra vittorioso, molti dei suoi rappresentanti, in nome di una anacronistica "pacificazione nazionale", hanno aperto la breccia attraverso la quale è passata una "parificazione" presto sfociata in processo ai comunisti ed alla Resistenza. Il 25 aprile che ci si presenta è un'occasione irripetibile per ricordare a tutti su quali radici cresce la democrazia nel nostro paese. E' necessario farlo, fino a che c'è tempo, perché vinti e vincitori tornino alla politica, perché la maggioranza si distingua nei fatti dall'opposizione, perché chi perde rispetti gli avversari e chi vince di misura si metta in discussione, interrogandosi sui mille perché di una risicata vittoria. E' necessario farlo perché entrambi la smettano di pensare che c'è mezzo paese fatto da idioti. Le ragioni dell'esito elettorale sono politiche e occorre capirle. Lo impongono le ragioni della democrazia. Lo impone soprattutto la consapevolezza che il terreno dello scontro sulla Resistenza e, quindi, sulle Istituzioni, ha perso da tempo il suo significato storiografico per assumere connotati evidentemente politici. Checché ne pensi la sinistra, di cui è esponente Luzzatto, la battaglia è ancora tra fascisti e antifascisti.
In questo senso è necessario dirlo: i comunisti saliti in montagna non conoscono probabilmente la realtà dell'Unione Sovietica, né del lacerante dibattito che ha diviso Stalin da Troztky sul tema della rivoluzione permanente e del socialismo in un solo paese. Essi sono espressione di ciò che resta del partito di Bordiga, che ha decisamente combattuto la subordinazione dell'Internazionale agli interessi dello stato sovietico e, soprattutto di quel filone autoctono, nazionale del comunismo, che ebbe in Gramsci il suo ideologo. E' un proletariato al quale il rivoluzionario sardo, in sintonia col pensiero di Marx, assegnava il compito di diventare classe dirigente inserendosi a pieno titolo in quello storicismo che vantava tra i suoi interpreti Vico, Spaventa e Antonio Labriola. E una classe dirigente si forma anche e soprattutto a scuola. Quella scuola sulla quale - sarà solo un caso? - Polo ed Unione stentano a distinguersi. Eppure le radici culturali delle forze in campo sono veramente alternative e la storia della Resistenza lo dimostra ampiamente. .Non è un caso che tra i partigiani comunisti vi siano rivoluzionari professionali per i quali lottare contro il fascismo è combattere una guerra di classe per edificare un nuovo sistema sociale. Non è un caso che quella comunista sia una presenza significativa, che ha radici profonde nella classe operaia e tra i ceti genericamente "popolari" e che essi costituiscono la maggioranza delle forze antifasciste, com'è attestato dagli innumerevoli militanti condannati dal Tribunale speciale, dai tanti confinati e attivisti scesi in clandestinità, dalla massiccia partecipazione in ruoli anche di comando alla lotta armata combattuta in Spagna contro il franchismo ed il nazifascismo. Nopn è tuttavia nemmeno un caso che, per avviare un processo di cambiamento che conducesse l'Italia a diventare una repubblica che guardasse al socialismo, essi non attesero che Stalin, aggredito dai nazisti, abbandonasse le sue tesi sull'equivalenza tra socialismo e fascismo e sulla sostanziale identità del capitalismo anglo-francese ed italo-tedesco o che inserisse in maniera organica l'antifascismo nell'ideologia comunista. I comunisti non mangiarono bambini: furono un pilastro della democrazia. Il 25 aprile invita a ricordare. Ma è un invito che per la sinistra si trasforma in dovere etico e politico: ripristinare la verità, perché in termini politici essa è rivoluzionaria.
Antonio - 21-04-2006
Salve a tutti,
Mi chiamo Antonio, sono uno studente di 22 anni e vi scrivo per esporvi un problema molto serio. Ad essere messo in discussione è il diritto allo studio, a mio parere inviolabile in una società civile, quale la nostra dovrebbe ...
Adaco - 20-04-2006
Linee guida per un'ALTERNATIVA laica e responsabile.


Gli insegnanti abilitati con il Concorso ordinario, facenti capo all'associazione A.d.a.c.o. (Associazione docenti abilitati con concorso ordinario), con sede legale a Roma in V. E.Giulioli ...
Virginia Mariani - 20-04-2006
E' da alcuni anni che riesco a dedicarmi qualche cinema in più. E' grazie al mio lavoro, giunto proprio a sorpresa ma più per la rapidità (non capita sempre di laurearsi in Lettere e di essere assunta in ruolo dopo appena quattro anni!) che non per ...
Ilaria Ricciotti - 19-04-2006
Il 9 aprile è già passato ed ancora i perdenti non accettano la sconfitta. Chiedo a quanti li hanno sostenuti:" Se la voglia smisurata di non mollare fosse stata manifestata dal centro sinistra, come si sarebbero comportati i vincenti?".

E' ...
Emanuela Cerutti - 18-04-2006
Una pagina di storia italiana quella delle recenti elezioni. Immagino il rientro in classe e l'unità di apprendimento sull'evento clou della primavera 2006. Nulla di strano o di poco coerente, anzi, un ottimo banco di prova per la ricerca, l'analisi, lo sviluppo di ipotesi. Sulla loro verifica occorrerà attendere, ma la scuola è il luogo della lentezza. A scuola si impara a dissertare, ad opporre fatti e ragioni, a leggere la complessità analizzandola, decostruendola e ridandole un possibile significato. Perché cause e conseguenze hanno da sempre rappresentato le linee guida dentro le quali i fatti potessero trovare una collocazione.
Anna Pizzuti - 17-04-2006
"Non si tratta solo di unire i divisi, come semplicisticamente si va dicendo, ma piuttosto di disarticolare per problemi e riunificare per soluzioni entrambe le confuse metà."

Riprendo questa frase dall'articolo di Carlini citato da Sandra ...
Frg - 16-04-2006
Riceviamo e pubblichiamo - Red

Il capo dello Stato ha rivolto un messaggio al Papa in occasione delle celebrazioni della Pasqua, la prima del pontificato di Benedetto XVI, ricordando l'importanza di combattere "l'intolleranza e i fanatismi" per ...
Iscritti alla Flc - Cgil - 15-04-2006
La riforma Moratti è stata tenacemente ed efficacemente contrastata da un movimento di massa ampio e articolato, protagonista di forme di lotta e di resistenza che ne hanno limitato l'applicazione. È possibile ora nel quadro di una politica scolastica alternativa a quella del centrodestra costruire un sistema scolastico nuovo, aperto e inclusivo, fondato sulla centralità del processo di crescita di soggetti liberi e titolari di diritti.
È quanto si propone il disegno di legge di iniziativa popolare "Per una Buona Scuola per la Repubblica", che ha visto la luce a Roma il 21/22 gennaio 2006. All'iniziativa, frutto di una discussione collettiva, franca e appassionata, tra numerosi soggetti e partecipanti attivi delle mobilitazioni antimorattiane, hanno già dato il loro appoggio esponenti di rilievo del centrosinistra, partiti politici, associazioni, forze sociali. Sono sorti e continuano a sorgere in tutta Italia numerosi comitati impegnati nella raccolta delle 50.000 firme indispensabili perché il testo arrivi in Parlamento.

Tra i punti qualificanti della legge vi sono:
- l'abrogazione della legge 53 e di tutti i decreti applicativi,
- l'introduzione dei nidi d'infanzia nel Sistema Educativo di Istruzione Statale,
- il ripristino e l'innalzamento dell'obbligo scolastico dai 5 ai 18 anni,
- la generalizzazione della scuola dell'infanzia,
- il ripristino e la diffusione dei modelli di tempo pieno e di tempo prolungato,
- il biennio unitario nelle superiori,
- la valorizzazione delle diversità,
- il sostegno all'handicap e all'alfabetizzazione dei migranti,
- la riduzione del numero di alunni per classe,
- la stabilità degli organici,
- il rinnovo degli organi collegiali.

Noi iscritti alla FLC-CGIL sosteniamo con la nostra firma la legge di iniziativa popolare "Per una Buona Scuola per la Repubblica", condividendone principi, finalità e metodo, partecipativo plurale e democratico.
Rivolgiamo un appello ai lavoratori e alle lavoratrici della scuola, a tutti i cittadini e le cittadine, perché ancora una volta diano il loro contributo al successo di una iniziativa volta a potenziare e qualificare la scuola pubblica firmando la legge popolare.
Invitiamo infine i compagni e le compagne e tutti coloro che lo desiderano a unirsi a noi nel lanciare questo appello.
Maurizio Tiriticco - 15-04-2006
Un progetto per il nuovo governo


Le sfide di fronte alle quali si trova il nuovo governo di Centro-sinistra non sono affatto di poco conto. Se ritenessimo di governare limitandoci a fare l'esatto contrario di quanto è stato fatto dalla Destra, ...
Sandra Coronella - 14-04-2006
Alla delusione non si può sfuggire, è ovvio, e non solo per i sondaggi e questi benedetti exit-poll (a proposito, ma è possibile che nessuno pensi niente su questo spreco di denaro fatto solo per soddisfare la curiosità del popolo televisivo di ...
Roberto Albertini - 13-04-2006
Conoscere: cosa può frustrare, offuscare, far perdere quest'innata passione umana ? La voglia di capire le cose, come funzionano, come avvengono. Le cose del mondo inanimato, la fisica, la chimica; il mondo della nostra mente, la matematica, la ...
Mirco Pieralisi - 12-04-2006
Berlusconi, Fini, Scaloja, Gasparri, Alemanno, La Loggia, Pisanu, Maroni, Calderoli, Giovanardi, Buttiglione... per il momento se ne devono andare.
Non se ne vanno gli umori che li hanno generati evidentemente, gli stati d'animo, i blocchi sociali ...
Nerella Buggio - 11-04-2006
La tentazione di affermare che si tratta di un mostro, anzi tre o forse quattro, è una tentazione umanamente forte.
Un mostro è qualcuno che non partecipa alla nostra vita, è un'anomalia, come il lupo mannaro che s'incontra nel buio del ...
Giulia Maninetti - 10-04-2006
C'è uno strano progetto che sta riuscendo a passare quasi inosservato nei siti delle varie scuole superiori, contemplato anche dal programma della Riforma Moratti: incentivare i rapporti fra scuola e famiglia, attraverso un sistema d'informazione preciso e ineccepibile.
Nella tradizione del nostro paese e nel nostro patrimonio etico-antropologico la famiglia ha già un ruolo centrale nella vita di un individuo e l'ingerenza che ha nel percorso scolastico e nella formazione dello stesso è innegabile. L'ambiente economico e culturale in cui si cresce è determinante e diventa un fattore discriminante che si riflette anche nella vita scolastica. Compito della scuola sarebbe eliminare gli ostacoli e le differenze di ordine economico e sociale fra gli studenti, metterli tutti sullo stesso piano e dare a tutti la stessa possibilità.
Già, perché ci si pensa poco e, proprio ora che si sta cercando pressantemente di far tornare alla ribalta il ruolo e il valore della famiglia intesa nel senso più tradizionale del termine, risulta molto impopolare, ma a volte questa "istituzione" sociale altro non è che un impedimento, un ostacolo alla realizzazione personale dell'individuo. E la scuola non sta facendo altro che incentivare questi impedimenti.
La tecnologia aiuta. E così nascono siti con scopi puramente commerciali che rispondono al bisogno delle scuole di attirare iscritti e rimanere sul mercato, come in un sistema aziendale, occhieggiando al bisogno di controllo delle famiglie.
Scintilla - 10-04-2006
Sono tornata a casa da Bologna e mi sono imbattuta
nell'edizione online di scintilla.
Mentre leggevo mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, ho ripensato all'altroieri e invece ho scoperto
che in mezzo sono trascorsi quasi tre anni.
Ho ripreso in mano il pensiero delle superiori, del periodo passato all'Arnaldo e mi sono resa conto che non sono ancora per nulla "pacificata" al riguardo, che fremo tutte le volte che leggo di un'Iskra e delle ingiustizie cui viene sottoposta.
Per questo ho deciso di mandarti la "mia scintilla" per rendere un po' giustizia a quella che sono stata fino a poco fa e perchè in un angolo della mia testa rimane un'immagine: tu stai lì nel cortile della scuola e abbiamo sempre diciassette anni. I cinque anni passati all'Arnaldo sono stati i più tormentati della mia breve esistenza. Io ci sono arrivata dalle medie che ero la tipica ragazzina assennata e grande lettrice che andava bene a scuola perchè l'attenzione e un po' di impegno bastavano. Improvvisamente al ginnasio tutto questo non era sufficiente: l'idea dello studio veniva ad associarsi indissolubilmente con quella di sofferenza. Mi chiedevano di impegnarmi a fondo perchè ci stavamo confrontando con la cultura e la cultura esige sforzo e sudore. L'ho fatto. Con buoni risultati ed enorme fatica: ricordo i pomeriggi sui libri e le mattine successive i compiti in classe alla prima ora, le corse per arrivare a scuola perchè certamente le insegnanti non potevano aspettare chi veniva dal paese col treno costantemente in ritardo. Ma tutto sommato non andava male, avevo trovato dei tempi miei, le professoresse erano dotate di una certa umanità, talvolta in classe c'erano momenti di discussione. Il passaggio al liceo, il terzo anno, è stato traumatico: dopo due anni di classico ti sei abituata a studiare tanto. Non ti sei abituata però ad avere di fronte per ore un'insegnante per la quale non esisti se non nella misura in cui riesci a ripetere esattamente le parole che lei ha usato a lezione.
Stefano Cortese - 08-04-2006
Apro il sito del liceo Parini di Milano. Cerco i documenti che riguardano l'occupazione di Dicembre ma subito mi colpisce un collegamento per accedere a tutti i documenti prodotti durante l'occupazione del 1968
e a vari articoli dei quotidiani di ...
Luigi Piotti - 08-04-2006
di ritorno da Milano
sulle sospensioni al liceo Parini
"La questione non è di sapere
perché c'è gente che lancia pietre
contro la polizia, ma piuttosto
perché ce n'è così poca"
Wilhelm Reich


Milano è una città che scorre, Calvino la ...
Michele Bonicelli - 08-04-2006
La chiesa cattolica come strumento di controllo sociale.

La chiesa e le organizzazioni sociali cattoliche svolgono sempre più chiaramente la funzione di mediatori sociali intenti a far accettare alla popolazione la visione socio-culturale liberista.
Questa prospettiva, anche relativamente al mondo scolastico, è particolarmente evidente nel comportamento della CEI e della CISL.
A tal proposito non mi sembra sia stata preso adeguatamente in considerazione il documento "La riforma del sistema educativo e le prospettive del Paese" appena pubblicato dal Consiglio nazionale della scuola cattolica, organismo della Conferenza Episcopale Italiana.
Questo scritto consiste sostanzialmente in una sperticata difesa della riforma Moratti vista come coerente conclusione di un disegno iniziato con la legge sull'autonomia e proseguito con la legge 30 di Berlinguer. Viene esaltata la personalizzazione e l'impianto aziendal-produttivo della riforma con valutazioni che si potrebbero comprendere da un manager delle comunicazioni ma stonano alquanto dalla in bocca ai pastori della chiesa. Di Vangelo e carità neanche una traccia, gli immigrati sono problemi e i figli degli operai "storicamente" devono continuare la loro via predestinata di servi della gleba.
La soluzione a tutto? Visto che la nella scuola italiana "la libertà educativa continua a essere gravemente disattesa" la proposta risolutiva è quella di dare più soldi alle scuole paritarie. Gli altri si arrangino. Questo ragionamento mostra palesemente il limite, anche in senso evangelico, dell'impostazione morale della CEI: se il fine del cristiano è l'aiuto al debole e la carità chi si rende conto di questa situazione di oppressione culturale non dovrebbe adoperarsi per rimuoverla invece che invitare alla fuga in paradisi privati? Non parliamo neppure del rispetto dell'art. 3 della Costituzione.
Adesso io non sono di quelli che pensano che la chiesa cattolica non si debba esprimere sulle questioni sociali e politiche. Tutti lo fanno e questo è il sugo della democrazia. Ogni partito, ogni associazione ha un suo statuto, una sua idea del mondo, una sua fede o filosofia ed è giusto che si esprima anche pubblicamente sugli argomenti di sua pertinenza. Ognuno di noi è qualcosa: new ager, buddista, popperiano, socialista, massone, interista... e in base a questi modelli si associa e esprime idee. Sono più rischiose decisamente le lobby di pensiero occulto.
No, qui il problema, e lo dico da cattolico praticante, è che questa gente della CEI sembra che si sia letta un Vangelo tutto particolare con fonti di ispirazione più vicine a Condoleeza Rice che Don Milani o San Francesco. Non è un discorso recente ed è almeno dal dopoguerra che la chiesa e la mafia fungono da digestivi sociali per la penetrazione culturale americana.

Se la chiesa fornisce il supporto ideologico a questa invasione la CISL completa il discorso sociale.
Giuseppe Aragno - 08-04-2006
- Voterai? - mi ha chiesto ieri un amico che pure lotta contro la nuova sinistra che quota l'acqua in Borsa, si tiene la Moratti e promette la TAV come fa Berlusconi
-Ci andrai? ha insistito e - da lui sinceramente non me l'aspettavo - mi ha fatto il fervorino sul bieco centrodestra - bieco, mi ha detto, e come dargli torto? - sui diritti negati, la solidarietà schernita, il Mezzogiorno oltraggiato e, dulcis in fundo, la "lunga transizione italiana".
Ho l'imperdonabile difetto di dire ciò che penso, anche se costa caro, e non metto mai insieme due parole se non seguo il filo di pensieri miei vagabondi che vanno in giro tra passato e presente.
- Stammi a sentire - ho replicato brusco - poi, per favore, la litania va a recitarla in chiesa. Voterò. Va bene? Ma non farti illusioni: la crisi noi non la chiudiamo qui perché non è vero che tutto parte dalla stagione berlusconiana. Non è vero e non ne usciamo, se non ci decidiamo ad inserire i fatti in un contesto storico più ampio.
- Quale? - mi ha chiesto l'amico - e ho proseguito.
Vincenzo Andraous - 08-04-2006
Tommy se n'è andato, anzi lo hanno fatto partire per un lungo viaggio, senza consentirgli uno sguardo stupito, senza alcun rispetto per ogni innocenza.
E' stato scagliato lontano, come una freccia privata di un ritorno, di un futuro doveroso.
Ci sono spazi e tempi e modi per definire un delitto del genere, un'infamia senza eguali, persino per il più incallito dei delinquenti, è inconcepibile togliere la vita a un bambino.
Non c'è uomo in possesso di un rimasuglio di dignità che possa anche lontanamente accettare questa tragedia.
Sull'onda rabbiosa che monta, dove l'ira penetra sottopelle e scarnifica la ragione, è con la pena di morte, con l'ergastolo a tutto tondo, che si tenta di lenire un dolore lancinante, una perdita irreparabile, un accadimento che non consente tregua al cuore.
Netto è il rifiuto e aberrante la vicinanza, non c'è il minimo dubbio al colpo a ritornare, quando si pensa a qualcuno che tocca malamente un bambino, che offende la sua innocenza, che gli fa del male fino a spegnerne il sorriso. è la vendetta che cammina veloce sulla spina dorsale, spinge in basso, come a volerci obbligare a colpire senza pietà.

Lorenzo Picunio - 08-04-2006
Gli insegnanti frequentano le scuole. Potrebbero "frequentarle" anche lunedì pomeriggio, come pubblico che assiste allo scrutinio

I brogli elettorali non sono nella tradizione italiana. I seggi sono, storicamente, un luogo di confronto politico, ...
Italo Fiorin - 08-04-2006
Ci si interroga sul futuro della scuola nella prossima legislatura. Speranze ed apprensioni si mescolano, come è naturale in una situazione di incertezza. Da dove ripartire? Per quanto ci riguarda non ci sono dubbi: dall'autonomia delle scuole. E' questo il grande motore del cambiamento, ed è un motore inceppato. Ci lasciamo alle spalle cinque anni di progressiva erosione di spazi che la normativa sull'autonomia aveva aperto, investendo sulle scuole, sulla loro capacità innovativa.
La legge, seppure inattuata, sta ancora lì a ricordare quali sono le competenze di una scuola autonoma: autonomia progettuale; autonomia didattica; autonomia organizzativa; autonomia di ricerca e sviluppo.
E' evidente che queste competenze si possono esercitare a patto che si esca dalla cultura centralistica dei programmi ministeriali, delle direttive e delle circolari minuziosamente invasive, delle pressioni sui dirigenti regionali e scolastici.
Non è per polemica che consideriamo la gestione del quinquennio del ministro Moratti contrassegnata dalla vecchia logica statalista di un ministero che dispone, di un apparato che esegue e di una scuola che applica, anzi si tratta di una delusione che non avevamo messo in conto. Il ministro manager ha però dimostrato nei fatti tutti i limiti di una cultura lontana anni luce dai valori della partecipazione, della responsabilizzazione, del pluralismo delle esperienze che si sviluppano all'interno di contesti sociali differenziati.
Gianni Mereghetti - 08-04-2006
Mi spiace, ma la Chiesa Cattolica non è uno strumento di controllo sociale nè intende esercitare un ruolo simile. La Chiesa Cattolica è il luogo della presenza di Cristo oggi ed esercita la stessa funzione di Cristo, quella di educare l'uomo a ...
Aldo Ettore Quagliozzi - 07-04-2006
Prima istantanea

" ( ... ) Quella di Berlusconi è una storia di gabole inventate per imbrogliare la gente, per ingannare il fisco, di soldi che sembrano arrivare miracolosi ma che hanno chiaro lo stampo della loro origine: mafia. Tutto in quella ...
Flaica CUB - 06-04-2006
COMUNICATO STAMPA

Martedì 4 Aprile 2006 un centinaio di lavoratori atipici, convocati dalle RSU interne all'Università degli Studi di Torino e dalle Rappresentanze Sindacali Aziendali delle cooperative che hanno in appalto la gestione delle ...
Maurizio Tiriticco - 06-04-2006
L'esperienza del maggio francese nel lontano '68 fu l'avvio di un sommovimento planetario! Da Parigi a Berkeley a Pechino e a Roma - pur con mille diverse connotazioni - il movimento degli studenti incise profondamente sull'establishment di quegli anni. "Studenti e operai uniti nella lotta" era uno degli slogan ricorrenti di quel movimento. L'autoritarismo dei padroni si coniugava con l'autoritarismo dei professori! La rigidità del lavoro in fabbrica con la rigidità degli studi nell'università! Ed all'alienazione sul lavoro corrispondeva l'assoluto estraniamento degli studi dalla vita reale e dalla politica! Molti erano gli slogan; però, riflettevano esigenze del tutto nuove sulla realtà dello studiare e del lavorare, allora, in un assetto socioeconomico che non era in grado di dare risposte di giustizia ad esigenze che esso stesso aveva creato nel corso degli ultimi decenni.
Il '68 è lontano nel tempo ma, per certi versi, ci è vicino nello spazio! Dopo le cadute dei muri e delle ideologie - almeno così siamo soliti dire! - e dopo l'avvio della globalizzazione, del liberismo dop, del meno Stato più mercato, la Francia ci è più vicina di quanto non sembri: costituisce un pezzo di una aggregazione più ampia, l'Unione europea, di cui anche noi facciamo parte! Ma la cosa importante è che oggi è la stessa organizzazione capitalistica del lavoro che è un muro - ed una ideologia, economica, ovviamente - che non è affatto caduto! Anzi si è ricostituito ancora più compatto di prima, come l'araba fenice che è sempre assai dura a morire! La globalizzazione, prima di essere globalizzazione delle conoscenze e delle competenze, è globalizzazione dei mercati e delle ferree leggi che li governano, al di là e al di sopra degli interessi delle persone e delle collettività!
Aldo Ettore Quagliozzi - 05-04-2006
Confesso: sono molto compiaciuto con me stesso di non essermi ritrovato tra quei 12 milioni di telespettatori intenti a strafogarsi del tanto atteso dibattito-scontro elettorale.
Ed a pensarci bene sono stati in tanti ad evitare a sé stessi il rinnovarsi di un rito stantio e divenuto quasi inutile ai fini del risultato elettorale del 9 e 10 di aprile; gli illusionismi non servono più di tanto se ci si lascia guidare dalla constatazione del reale. A conti ben fatti sono stati ben 4 milioni i telespettatori che hanno deciso di non sorbirsi l'immancabile gioco di prestigio dell'Houdini di Arcore.
Il quale non ha mancato di escogitare un trucco ulteriore da quel bravo illusionista che si è rivelato nel quinquennio del suo (mal)governo; ora, come per la benevolenza di un signorotto di altri tempi, saremo sgravati della tassa sulla prima casa, la cosiddetta ICI.
Bella trovata, non c'è che dire! Anche perché il signorotto di Arcore si sgraverà dell'imposta sulla sua disadorna e "mutuata" - poiché acquisita con un mutuo ipotecario - bicocca adibita a prima abitazione; con una fava due piccioni, abbindolare ancora una volta di più i gonzi di turno, e ricavarsi il vantaggio di sicura consistenza patrimoniale.
Che dire? E' un prestigiatore impareggiabile, al cui confronto quell'Houdini Harry di passata memoria non regge il confronto. Ora che il miserello piatto di lenticchie è stato offerto al popolo bue in cambio di un insperato - o disperato - nuovo plebiscito elettorale, ci si deve pur chiedere: ma basta il piatto di lenticchie offerto inopinatamente dall'egoarca di Arcore?
Non ci sarebbe invece da non smuoversi di un solo millimetro dalla condanna delle "malefatte" dell'egoarca di Arcore per quanto attiene allo svilimento delle istituzioni, all'imbarbarimento della vita politica del bel paese - imbarbarimento consacrato nella più incivile campagna elettorale che possa affiorare alla mia memoria -, dallo svuotamento delle certezze e dei ruoli che uno stato democratico e di diritto dovrebbe garantire a tutti i suoi cittadini?
Gabriella Del Duca - 05-04-2006
L'ultimo anno di insegnamento, in terza media, per integrare le lezioni di geografia invitai a scuola un signore che frequentavo da tempo e che aveva creato in un villaggio del Kenia una scuola, un centro professionale, un ambulatorio e ora stava costruendo una chiesa. Poiché viveva in Africa la maggior parte dell'anno e questo da più di trent'anni, ero convinta che la sua esperienza, tutta ispirata all'accoglienza, i vissuti, le informazioni di prima mano, potessero dare ai ragazzi un contributo nuovo, stimolante e originale.
Non avevo dubbi che lo scenario tratteggiato dal mio ospite fosse tutto a favore degli abitanti di quel paese, su questo era come se tra me e lui, pur così diversi, ci fosse una perfetta consonanza.
Francesco Di Lorenzo - 04-04-2006
1. Il dibattito che pure si è alimento negli ultimi anni su chi dovesse essere il dirigente scolastico ha visto impegnati due fronti contrapposti. In pratica, gli apocalittici e gli integrati, nelle cui posizioni - a volte più complesse ed articolate - si potevano intravedere i termini di chi difendeva situazioni superate, dove il capo di istituto era visto come l'intellettuale chiuso tra le pareti della libreria aristocratica e critico verso tutto ciò che avveniva fuori, e chi invece sosteneva la vulgata del manager sempre in movimento, tutto preso dal fare.
Drucker nel suo "La società post-capitalistica" a proposito di una auspicata riconciliazione tra la cultura dei manager e quella degli intellettuali, facendone, anzi, una condizione per la riuscita del programma globale di società della conoscenza, dice: " I loro punti di vista sono contrapposti, ma sono contrapposti come due poli complementari, non contraddittori. Ciascuno ha bisogno dell'altro ...l'intellettuale, se non è completato dal manager, crea un mondo dove ognuno fa ciò che vuole ma dove nessuno fa nulla". D'altra parte, chi si concentra solo sul fare può perdere la capacità di capire la direzione in cui sta andando, cosa gli sta accadendo vicino, a fianco, nella società, risultando alla fine manchevole sotto molti punti di vista. E per quanto riguarda il particolare mondo della scuola, ciò risulterebbe essere ancora più grave.


2. La dirigenza scolastica vive un momento intenso e nuovo attraverso l'assunzione di diverse forme di responsabilità ormai reali, e con un quadro di riferimento sia normativo che culturale in parte stabilito anche se ancora in evoluzione.
Nella situazione attuale il dirigente scolastico è il responsabile di un organo dell'amministrazione pubblica. Come per tutti i dirigenti statali, attraverso un decreto legislativo del 1993 egli è " responsabile dell'attività svolta dal suo ufficio in merito ai risultati, della realizzazione dei programmi e dei progetti affidati, in relazione agli obiettivi, dei rendimenti e dei risultati della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa". Poi, in linea con tutta una serie di funzioni e di competenze che si andavano spostando dal centro alla periferia, anche per i dirigenti scolastici è stato introdotto il concetto di valutazione, questo per recuperare la produttività in declino dei servizi pubblici e per valutare la corretta gestione delle risorse pubbliche.
Per la parte ormai acquisita delle norme che regolano l'andamento della nuova dirigenza, forse giustamente, valutando da dove si partiva, una vera e propria forma di metabolizzazione delle novità ancora non c'è stata.
Ma da dove si partiva? Qual è il retroterra, la storia che sta alle spalle del dirigente scolastico di oggi?
Ilaria Ricciotti - 04-04-2006
In una società come la nostra, per alcuni individui, la grandezza assomiglia all'odore che ci portiamo dietro dopo essere entrati in una rosticceria. Esso è talmente forte che lo sentiamo addosso e sembra che non voglia lasciarci.

Rimane impregnato sui nostri abiti e sulla nostra pelle per ore, e se non lo trattiamo in qualche modo, persiste anche per diversi giorni.

Purtroppo una certa sottospecie umana sembra non possa fare a meno di un tale odore: la grandezza.

Certi individui si cibano di questo alimento già da bambini, poi da adolescenti e , via, via, durante la crescita la grandezza si incolla alla loro anima, diventando una seconda pelle.

Ed allora tutto deve rientrare in questo canone: più sei grande e più vieni apprezzato, invidiato, imitato ed adorato proprio come se fossi un dio...

Maurizio Tiriticco - 04-04-2006
Secondo la teoria evoluzionista - che poi non è tanto una teoria quanto una realtà di fatto, ampiamente dimostrata - non c'è soggetto animato che non si sviluppi e non si modifichi attraverso continui cambiamenti che gli consentono di adattarsi ad un ambiente anch'esso soggetto a cambiamenti continui. Nel soggetto animale uomo questi processi acquistano una loro peculiarità, in relazione alla particolare plasticità del suo organo motore, il cervello. E' in forza dell'evoluzione che ogni piccolo dell'uomo ha acquisito una marcia in più! Egli non replica del tutto chi lo ha generato, ma ne differisce nella misura in cui si confronta con la cultura del suo gruppo sociale, che per l'essere umano è ben più forte della natura!
"Ogni individuo di ogni generazione diviene un individuo umano grazie alla sua precoce immersione in un ambiente di esseri umani che, nonostante la loro peculiarità, le loro tradizioni e i loro tic, condividono alcuni tratti cognitivi e comportamentali comuni inconfondibilmente umani. Quest'immersione ha luogo quando ancora il cervello è immaturo e capace di andare incontro ad un complesso di micromodificazioni di un certo tipo piuttosto che a quelle di un altro. Il mondo umano circostante non si stampa in sostanza nel suo genoma, ma nel suo corpo e nel suo cervello" . In altri termini, le strade che un umano può percorrere nel suo sviluppo postnatale sono infinite e ben più ricche di quelle di qualsiasi altro animato. Non c'è nulla di predefinito, tutto è plasmabile, per cui l'educazione, quella vera, che dispone di strategie e di mezzi opportuni, non si arresta al dato iniziale, ai bisogni ai quali debba rispondere quasi deterministicamente. Un processo educativo reale pesca nel profondo, decondiziona, se è il caso, poi stimola, sollecita, sospinge, non si appiattisce sulle prime richieste che il soggetto esprime! Un sistema di istruzione si adopera per dare di più ed ottenere di più, non si arresta a dare una semplice risposta ad una prima semplice richiesta. Anzi, dà di più a chi ha di meno! E' il monito di Don Milani! Solo in questo senso ha valore la differenziazione! Non bisogna adeguare l'offerta alle differenze iniziali del soggetto, ma differire l'offerta, differire i percorsi, ed essere intransigenti sui traguardi!
Che cosa emerge invece da una visione creazionistica!? Ciò che è creato è un dato e, come tale, è ciò che è! E ciò che è non ha molte chances in ordine al suo sviluppo! Chi nasce tondo, resta tale e non diventerà mai quadrato! Quanti luoghi comuni! C'è chi nasce intelligente e chi no! Le differenze iniziali condizionano l'intero percorso.
Silvia Malavolta - 03-04-2006
Quando Jack vide il cartello con scritto CERCASI ASSISTENTE PER LAVORO PART-TIME pensò subito a se stesso, ma ci rifletté sopra e raggiunse la conclusione che ci sarebbero state decine di persone più specializzate di lui disponibili per quel lavoro, ma visto che tentare non costava nulla decise di candidarsi.
Jack era sicurissimo che non lo avrebbero scelto e dimenticò presto l'accaduto. Ma qualche settimana dopo ricevette una lettera che diceva :"Sei stato scelto come assistente del professor Plummer. Per il primo giorno di lavoro recati in via dei Gigli 4 il 3 giugno alle ore 16:30".
Jack appoggiò pigramente la lettera sul tavolo, ancora incredulo dell'accaduto. Poi improvvisamente un pensiero gli balenò in testa: "Ma oggi è il 3 giugno ! E sono la 16:00! Ho 30 minuti per andare dall'altra parte della città!"
Si infilò di corsa la giacca e si precipitò all'auto che si accese con un rombo.
Guidava in fretta e non si accorse che stava commettendo un sacco si infrazioni. Quando arrivò, trovò il professore alla porta che disse: "Non sei in anticipo come speravo, ma sei abbastanza puntuale. Vieni, ti mostro il laboratorio".
Ilaria Ricciotti - 03-04-2006
C'era una volta, in un mondo altamente tecnolocizzato e ricco, un bambino che viveva felice nella sua casa. Aveva un babbo ed una mamma che lo crescevano con amore.

Un giorno un balordo insieme ad i suoi soci in affari, non avendo mai sentito pronunciare questa parola magica che rende gli uomini appagati e pronti ad affrontare gli ostacoli del quotidiano, stanchi di condurre una vita normale e desiderosi di provare emozioni più appaganti, decisero di compiere un atto alla grande: rapire un bambino.

Il balordo insieme ad i suoi complici approntò un piano che avrebbe garantito loro quella vita agiata che desideravano più di ogni altra cosa.

Avrebbero rapito il bambino dagli occhi azzurri per richiederne un riscatto di tanti milioni di euro.

Sarebbero diventati ricchi. Non avrebbero più lavorato e avrebbero trascorso giorni, mesi ed anni soddisfacendo qualsiasi loro voglia.

Intanto il bambino dagli occhi azzurri giocava felice nella sua casa ignaro di ciò che gli sarebbe accaduto.

Arrivata l'ora x , i balordi entrarono nell'abitazione, immobilizzarono i genitori del bambino e lo trascinarono via con loro.

Lui piangeva. Chiamava la sua mamma ed il suo babbo, ma i balordi non ascoltavano le sue grida piene di dolore. Loro non erano abituati a quel pianto. Ben presto stanchi dei lamenti e delle invocazioni d'aiuto, lo colpirono con violenza disumana, al punto che egli morì.

Aldo Ettore Quagliozzi - 03-04-2006
C'erano una volta, in un paese lontano lontano, degli uomini cattivi cattivi che pur di fare tanti soldini soldini riuscivano, senza rimpianti e problemi, a portar via dalla sua casa piccola e lustra un bambino proprio bambino e poi... riuscivano poi a scioglierlo nell'acido sino a farlo scomparire del tutto, del tutto.
In quel paese lontano lontano, dove abitava un cavaliere cavaliere con una grande grande villa che però non si interessava, lui ricco e potente e che poteva tutto, affatto di quei bambini bambini disciolti nell'acido, accadeva pure che con i corpi delle persone ci si potesse fare del sapone sapone per lavarsi meglio.
E una volta disciolti i bambini bambini nell'acido e fatte bollire le persone nel pentolone per farci il sapone sapone per levare via tutte le sozzure, in quel paese lontano e spensieratamente giulivo si tornava beati e ben puliti agli affari propri quotidiani, senza sentire nell'aria le lamentevoli voci di quelle sventurate creature.
Gennaro Carotenuto - 01-04-2006
In piena facoltà mio caro Presidente, le scrivo la presente che spero leggerà. Le scrivo in merito alla medaglia al valore concessa al cittadino italiano Fabrizio Quattrocchi. Questi uscì illegalmente dall'Italia con incarichi imprecisati di natura paramilitare, connessi alla guerra in Iraq, ed ivi fu ucciso in circostanze drammatiche. Qualcuno definisce Quattrocchi vigilante, ma altri credono di chiamarlo a ragion veduta mercenario. Ha svolto indagini, caro presidente, sulla vera natura della presenza in Iraq di Fabrizio Quattrocchi ed i suoi, prima di assegnargli una delle più alte onorificenze della nostra democrazia?

Egregio Presidente, colpisce che per i cosiddetti "eroi di Nassiriya" non sia stata riservata la stessa medaglia d'oro né lo stesso vitalizio concesso ai familiari di Quattrocchi. Colpisce che niente di tutto questo sia stato da lei concesso alla memoria del costruttore di pace Enzo Baldoni, assassinato in circostanze del tutto analoghe, né di giornalisti come Maria Grazia Cutuli uccisa in Afghanistan.
Colpisce ancora di più che niente di tutto questo sia successo per il servitore dello stato Nicola Calipari. Baldoni, Cutuli, Calipari, forse non sono morti da italiani egregio Presidente?
Voglio sperare, caro Presidente, che il fatto che non siano disponibili filmati su come sono morti gli italiani Baldoni o Cutuli (ma fin troppi dettagli sono noti su come è morto Nicola Calipari), non abbia avuto un ruolo nella sua scelta di non concedere loro medaglie d'oro alla memoria e invece concederla a Quattrocchi.

Ci sono dei militari italiani morti in azioni di guerra in Iraq, oltre ai 18 di Nassiriya. Nel morire non hanno dimostrato sufficiente valore, egregio presidente? Non sono morti da italiani? Di sicuro lei
non ha ritenuto opportuno concedere a questi caduti medaglie alla memoria. Qual'è signor presidente, il ragionamento che la porta, tra tanto sangue anche italiano versato in Iraq, a concedere al solo Quattrocchi una medaglia al valore?

Caro Presidente, siamo in un paese dove due giornalisti come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, possono essere ammazzati in un paese straniero e, 12 anni dopo, una commissione parlamentare possa con sprezzo del ridicolo raccontare la loro morte come dovuta al caso.

Caro Presidente, siamo in un paese dove la morte di Nicola Calipari può essere spacciata dal Ministro della Difesa, Antonio Martino, come dovuta al fato.

Egregio Presidente, questa medaglia d'oro è motivo di scandalo per milioni d'italiani. Almeno le chiedo di non far pensare a questi milioni d'italiani che ci siano morti comode, morti fotogeniche, e
quindi morti premiabili con medaglie d'oro come quella di Fabrizio Quattrocchi e ci siano invece altre morti scomode, morti oscene, sconvenienti, come quella di Nicola Calipari.

Personalmente ritengo che Fabrizio Quattrocchi fosse un mercenario, andato a combattere per denaro una guerra non solo sbagliata ma criminale. La sua morte merita rispetto, come tutte le morti, ma non meritava nessuna medaglia. Sono anche cosciente che il mio punto di vista non possa essere esaustivo della sensibilità di tutti gli italiani né tanto meno della sua. Ma se così è, egregio presidente, se Fabrizio Quattrocchi è per lei un eroe, perché mai per lei non sono eroi Baldoni, Cutuli, Alpi, Hrovatin e tanti altri, mio caro Presidente? In cosa sono difettose le loro morti?
Mi spiega per quale ragion di stato non è un eroe Nicola Calipari? Non c'è un filmato, Presidente Ciampi, ma ci sono molte testimonianze su come muore un italiano come Nicola Calipari. Ci deve delle spiegazioni, signor Presidente.
Lucio Garofalo - 01-04-2006
NUOVI SPETTRI S'AGGIRANO PER L'EUROPA

La paura è antica quanto il genere umano, è un istinto primitivo, preesistente ad ogni forma di intelligenza, razionalità e cultura. La paura nasce con la comparsa della vita animale e si lega intimamente all'istinto di auto-conservazione di ogni specie vivente. Essa discende anzitutto dalla paura più naturale e fisiologica che è la paura della morte.
In tal senso, la paura è una pena che si sconta e si vince vivendo.

Breve storia della paura

Sin dai suoi primordi l'umanità ha imparato a convivere con la paura, con lo sgomento scatenato dalla furia della natura e dalle sue più terrificanti manifestazioni: fulmini, tuoni, terremoti, eruzioni vulcaniche e altri cataclismi. Nel corso dei lunghi millenni dell'età preistorica l'uomo ha tentato di esorcizzare le sue paure, spiegando i fenomeni naturali come eventi soprannaturali, di origine mitica o divina. In tal modo è nata la religione che affonda le sue radici storiche e la sua ragion d'essere nelle paure più ancestrali e remote dell'umanità.

Anche oggi, in un'epoca dominata dall'ultra-razionalismo scientistico e da un delirio di onnipotenza tecnico-utilitaristica, la paura è un elemento costante della nostra esistenza di creature fragili e mortali. Essa assume innumerevoli manifestazioni, si insinua nei meandri più oscuri e reconditi dell'animo umano, come un virus subdolo e letale che provoca più danni di qualsiasi epidemia e di qualsiasi morbo infettivo.

E' indubbio che la paura sia uno dei tratti più tipici e peculiari della natura animale che è insita nell'umanità, ma non può e non deve farsi un'ossessione. Eppure la nostra realtà è sempre più assillata dalle paure, a cominciare dalla paura di morire per giungere alla paura di vivere.

Non a caso il lugubre primato dei suicidi, soprattutto tra le giovani generazioni, spetta alle nazioni più opulente dell'occidente, Giappone in testa. Non a caso le società da sempre sono governate anche mediante il ricorso alle paure, e tuttora gli Stati più avanzati sotto il profilo tecnologico-produttivo si servono delle paure per esercitare un controllo sociale sempre più esteso e capillare. Non a caso il "Napoleone" nazionale ha vinto le elezioni politiche del 1994 e del 2001 giocando soprattutto la carta dell'idiosincrasia anticomunista, che rappresenta tuttora una delle paure collettive più intense ed ossessive della borghesia italiana, e non soltanto italiana. Lo spettro del comunismo, dopo il fallimento del "comunismo reale", ossia dopo il fatidico 1989, dopo la caduta del muro di Berlino e il tracollo dell'Unione Sovietica, è agitato e strumentalizzato più che in passato per conquistare e conservare il potere!

galassia scuola
Spazio aperto alle riflessioni e alle opinioni personali su quanto avviene nella scuola in generale, nella nostra scuola in particolare, nelle piazze e nei palazzi in cui la scuola è all’ordine del giorno. Insegnanti, ma anche studenti, operatori, genitori … possono dar vita a un confronto su tematiche attuali, a patto che la discussione sia corretta.
Astenersi anonimi e perditempo!
La Redazione
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