Amnesty presenta a Roma il rapporto sugli abusi contro le donne
nel mondo
TIZIANA BARRUCCI
ROMA
Madina è stata condannata alla lapidazione dalla Corte penale di
Nahud, in Sudan, per aver avuto un rapporto sessuale con un uomo che non è suo
marito e dal quale ha ora un bambino. Aveva già quattro figli quando, nel 2003,
è stata denunciata per adulterio ed è finita nella prigione di El Obeid.
E'trascorso un anno e Madina ancora attende, assieme al suo figlioletto di
dieci mesi, la decisione della Corte suprema a cui è stato inviato un appello
contro la condanna a morte. La storia di Madina è un po' il simbolo di tutte le
donne - siano africane, asiatiche, statunitensi o europee - che ogni giorno
subiscono violenza. La sua vita è uno dei pezzi di verità raccontati ieri in
occasione del lancio della nuova campagna biennale di Amnesty international
«Mai più violenza sulle donne» presentata in contemporanea in oltre 150 paesi
del mondo, alla vigilia dell'8 marzo. In Italia a dar voce a una realtà così
drammatica e sconosciuta sono stati, in Campidoglio, il sindaco di Roma Walter
Veltroni, l'assessore alle pari opportunità Mariella Gramaglia, il vice
presidente di Amnesty Italia Cecilia Nava e l' avvocata di Amina Lawal e Safiya
Husseini (le due donne salvate dalla lapidazione in Nigeria), Hauwa Ibrahim.
Del comune è l'idea
dell'iniziativa «Rome for Women» una tre giorni - da oggi alle 17 fino a
lunedì, - di sensibilizzazione dei diritti delle donne, mentre Amnesty ha
presentato il suo rapporto «Mai più! Fermiamo la violenza sulle donne»
(edizioni Ega) con una prefazione di Rita Levi Montalcini.
Diverse ricerche denunciano che
nel mondo oggi almeno una donna su tre è stata picchiata, costretta a rapporti
sessuali o ha subito altri tipi di abusi, solitamente perpetrati da familiari.
Secondo l'Oms almeno il 70 per cento delle donne vittime di omicidio sono state
uccise dai propri partner, mentre l'Onu calcola in 120 milioni il numero delle
donne che hanno subito mutilazioni genitali. Il rapporto di Amnesty raccoglie
queste molteplici forme di violenza - di stato o private - passando dagli abusi
avvenuti nei conflitti armati a quelli legati alle tradizioni che vogliono
controllare la sessualità femminile (alcuni dati li riportiamo nella scheda a
destra).
«La violenza - scrive
l'associazione internazionale - colpisce in più modi. Nelle guerre le bambine
soldato vengono regolarmente stuprate dai propri commilitoni, le donne e le
bambine estranee ai combattimenti vengono mutilate, stuprate e uccise come se
si trattasse di un'arma di guerra, mentre il rientro dei soldati a casa dopo
una guerra spesso produce un aumento delle violenze domestiche». E la
situazione non migliora in condizioni di pace, quando «proprio tra le mura di
casa si consumano stupri e violenze di ogni genere perpetrate da compagni e
mariti». Spesso le donne hanno paura o si vergognano di denunciare e se trovano
la forza di farlo, raramente vengono prese sul serio. «Anche nei paesi in cui
esistono leggi per prevenire e punire la violenza domestica le autorità evitano
di applicarle e in alcune zone sistemi paralleli di giustizia religiosa o
comunitaria permettono che la violenza prosegua senza ostacoli». Come è
accaduto a Juliette che per paura - spiega sempre il dossier Amnesty - è stata
anni senza raccontare ai suoi amici e alla famiglia che il suo compagno la
picchiava. Ospitata in una casa d'accoglienza a Bruxelles, Juliette però decide
di presentare denuncia: ma fino ad oggi non ha saputo di nessun procedimento
aperto dalle autorità.
Insomma, la situazione è pessima:
sui campi di battaglia come nelle camere da letto ogni donna rischia di subire
violenza. E nessun paese si salva: se in Africa ogni 23 secondi una donna è
oggetto di violenza sessuale, negli Stati uniti una signora viene picchiata
ogni quarto di minuto mentre in Europa 500.000 donne sono vittime di tratta per
essere destinate al mercato della prostituzione. A dimostrazione però che
qualcosa si può fare contro tutti questi abusi, gli operatori di Amnesty
raccontano l'esito positivo dell'ultima loro campagna: la scarcerazione
avvenuta ieri di Mu'eyna Muhammad Yusef Sa'adu, condannata in Siria per
l'attività politica del marito, militante dei Fratelli musulmani.
Dal Manifesto
Fuoriregistro, 6 marzo 2004