Piccoli
bulli crescono con la tv e i videogiochi
MARIO PIRANI
Repubblica 14-05-05
PER ANTICO vizio, risalente all' era pre-computer, ritaglio
dai giornali articoli, pezzi di cronaca, notizie che mi sembra utile
conservare, alla luce dei temi di cui mi sto occupando. Sul bullismo giovanile nell' ultimo
mese ho solo l' imbarazzo della scelta: «I banditi sono un gruppetto di adolescenti (otto tra i 14 e i 16 anni) che si
comportano come criminali incalliti nonostante siano di buona famiglia e
abitino in quartieri residenziali come l' Olgiata,
ai bordi dei campi da golf della Capitale. In pieno giorno aggrediscono
coetanei all' uscita da scuola o da circoli
sportivi, coltello alla gola e minacce di morte». I bottini sono ridicoli:
qualche euro, una collanina da pochi soldi, un berretto, persino un pacchetto
di caramelle. Evidentemente a loro interessa soprattutto provare il gusto
della sopraffazione. Il 23 marzo dopo tre rapine, una Volante della Ps, allertata da un passante,
blocca la piccola gang. Quattro
gli arrestati che al momento del trasferimento nel carcere giovanile non
hanno battuto ciglio. «è impressionante - ha commentato un vecchio
poliziotto - sono giovanissimi e incensurati ma si sono comportati come chi
entra ed esce abitualmente dal carcere». Notizie non dissimili da Milano: «Il
17 aprile un ragazzino di 11 anni, con la complicità di altri
due piccoli amici a far da palo, è penetrato, dopo la fine delle elezioni,
nella scuola media di Rozzano. Quindi si è
impadronito nel laboratorio di fisica di un contenitore di alcool,
lo ha sparso nei locali e vi ha dato fuoco riuscendo ad incendiare le aule di
didattica». Nella scuola di Corbetta, sempre nel
Milanese, tre alunni hanno dato fuoco ai registri
nella sala dei professori, vuotato gli estintori, aperto tutti i rubinetti
dei bagni, dopo aver otturato gli scarichi. Sulle cause di questo stato di
cose si leggono molte analisi, ognuna col suo grano di verità. Quel che però
mi lascia perplesso è una specie di rassegnazione di fronte a un fenomeno dipinto quasi come un evento di natura, una
mutazione biologica dei giovani d' oggi che li renderebbe geneticamente
diversi da quelli di ieri e, quindi, alieni da ogni forma di disciplina
imposta, dotati di una aggressività senza freni inibitori, «incapaci di
attenzione continuativa oltre i 18 minuti», refrattari alla lettura, ostili a
ogni tipo di studio minimamente faticoso e difficile. Ebbene, non credo che
tutto questo, nella misura in cui è avvenuto, sia il portato oggettivo e
ineluttabile dei tempi ma il risultato catastrofico di scelte culturali ed educative, nella scuola e nella famiglia, prevalse a
cavallo degli anni Settanta e coltivate pervicacemente fino ad oggi col
concorso di tutte le culture politiche, in ispecie
di sinistra e cattoliche, che hanno contribuito a destrutturare
e a delegittimare ogni idea di autorità, disciplina, divieto, punizione,
sforzo e fatica nelle generazioni che si sono succedute, con un aggravarsi
precipitoso negli ultimi lustri, investendo persino l' infanzia e la prima
adolescenza. Inoltre l' introduzione in cui si sono
distinte, ma non solo, le destre economiche e politiche, del concetto di aziendalizzazione ha trasformato anche lo scolaro, a
partire dalle elementari, in un «cliente che ha sempre ragione» e da non
scontentare. Messa al bando l' accettazione e l'
elaborazione della frustrazione, i giovani sono stati allevati dalle famiglie
e dalla pedagogia imperante nell' ideologia che nulla è davvero vietato, che
le proibizioni eventuali sono puramente simboliche, come simboliche, brevi e,
soprattutto, remissibili suonano le punizioni. Cancellato è il senso del
limite. Le conseguenze sono catastrofiche. Un fatto
capitatomi recentemente mi fornisce il destro per esemplificare concretamente
quanto vado dicendo. Ero andato a trovare una mia amica, madre di uno
sveglio e intelligente ragazzino di 9 anni, di nome Albert,
che, quando arrivo, stava protestando perché non gli era stato comprato un
recente disco per la PlayStation, Grand
Theft Auto San Andreas, collegabile alla Tv, di cui «tutta la classe
parla, anzi non parla d' altro». La mamma si rifiutava perché aveva
subodorato il contenuto violento dell' agognato
dischetto. Incuriosito chiesi se poteva farselo
prestare per visionarlo. Nello spazio di 10 minuti, convocato d' imperio, arriva un bimbo, di nome Federico, all'
apparenza più piccolo, ordinato e educatissimo. che
si scusa gentilmente con me perché poteva rimanere solo mezz' ora. «Dopo debbo andare a catechismo» spiegò. Lì per lì restai deluso
dall' informazione e pensai che lo spettacolo non
poteva esser tale da terrorizzare spettatori tanto compiti. In effetti il solo terrorizzato dopo mezz' ora di visione
sarò io. Sullo schermo televisivo, con effetti tridimensionali e potenzialità
interattive, i due ragazzi, al ritmo di una musica rap,
si misero a guidare, con un apposito telecomando,
personaggi realistici, anche se disegnati al computer, con ceffi e linguaggio
da galera, che si muovevano rapidamente con potenti auto, moto ed altri mezzi
di locomozione, ed anche a piedi. Lo scenario era quello di una città con
vie, case, negozi, luoghi di svago di cui tre gang
si contendevano il controllo. Nella «gara» il punteggio che ogni giocatore
raggiunge è determinato dalle «missioni» che compie e viene
valutato secondo parametri in cui primeggia il «rispetto» acquisito nell' uso
delle armi, nella resistenza ai colpi, nei muscoli (che aumentano o
diminuiscono secondo gli esercizi), nel sex appeal, ecc. Le armi variano dal
mitragliatore a tre tipi di mitra e di mitraglietta, a due tipi di pistole, a
fucili a pompa e a canne mozze, al bazooka, alla motosega, per scendere alla
mazza, al coltello, al tirapugni e al manganello dei poliziotti. Le scene,
animate dai piccoli giocatori premendo vari pulsanti del telecomando, sono
semplicemente orripilanti. Ecco qualche esempio: una prostituta viene afferrata, caricata sull' auto e sgozzata, il sangue
rosso si sparge ovunque; un avversario è inseguito per strade e locali,
tagliato in due con la motosega; ad un barista viene fatta saltare la testa
con il fucile a pompa; un camion corazzato viene usato per una «missione» di
scasso, i cadaveri dei guardiani trucidati finiscono schiacciati più volte
sotto le ruote; un' auto parcheggiata appare scossa violentemente: effetto di
uno stupro che si consuma al suo interno, previo rapimento della donna.
Aggiungo a scopo di documentazione qualche frase del parlato: «Stendi quei coglioni, figli di puttana!», «Fottilo!», «Vuoi spassartela,
tesoro?», «Cosa cazzo hai
in mente?». Da quanto mi raccontano ragazzi e genitori la vendita e la
diffusione di simili dischetti è diffusissima.
Credo, però, sia inutile prendersela coi produttori
quando in stato di accusa andrebbero messi i genitori che acquistano e
permettono la visione e con chi non ne vieta tout court la diffusione, quale
che sia l' età del cliente. In confronto il wrestling
(incontri di lotta libera, senza regole, con testate, calci in faccia, colpi
proibiti tra giganteschi stuntmen), seguito
settimanalmente in Tv da alcuni milioni di ragazzini fra i 7 e i 14 anni,
appare uno spettacolo da educande. Anche se l' associazione
consumatori Codacons ha sollevato una protesta dopo
alcuni casi di imitazione da parte di giovanissimi spettatori finiti all'
ospedale (a differenza dei lottatori che riescono ad uscire incolumi dagli
scontri). Elenco qualche riflessione personale. Primo) L' intrattenimento
telematico e televisivo, soprattutto quello
interattivo, con contenuti e forme iperrealistiche
di violenza estrema, può cancellare nei giovanissimi ogni differenza
palpabile tra finzione e realtà. Secondo) La violenza nelle sue forme
peggiori e più aggressive può essere immaginata come un
gioco. Terzo) Nel gioco tutto è permesso. Quarto) Nessun gioco o spettacolo è
proibito. Queste riflessioni, per essere ben valutate, non andrebbero
limitate al tempo libero dei giovani e giovanissimi ma collegate alle
modalità permissive di un sistema scolastico che ha praticamente
abolito la durezza degli esami, i voti negativi, il rinvio a settembre
(sostituiti da port-foli, crediti, debiti e 6
rossi), annullato la certezza e la generalità dei programmi (per una buona
parte dell' orario lo studente «sceglie» corsi di personale propensione), le
bocciature, le sospensioni (che possono in casi eccezionali venir comminate
dopo contenziosi fra le parti e solo per decisione collegiale votata anche
dai rappresentanti dei genitori e degli studenti, ecc.), ridotta a zero l'
efficacia dissuasiva del voto di condotta. Una scuola che
ha teorizzato la «gradevolezza» dello studio e i «percorsi individuali», le
interrogazioni programmate e contrattate a data prefissata, le occupazioni
consentite, le assenze a piacimento. Una scuola che invece di
rappresentare un periodo di distacco formativo e progressivo dell' adolescente dalla protezione famigliare, ha dato ai
genitori un peso preponderante all' interno della scuola, dove sovente si
trasformano in avvocati dell' indisciplina e del basso profitto dei figli.
Se, quindi, guardiamo in modo unitario l' universo
che viene offerto alle generazioni più giovani, riusciamo a decifrare anche
il crescere del bullismo e della delinquenza
giovanile, a capire dove risieda il fallimento delle riforme scolastiche, sia
di Berlinguer che della Moratti,
a considerare l' esigenza di un «ritorno all' ordine» che aiuti i ragazzi di
oggi e di domani ad affrontare con consapevolezza responsabile le difficoltà
della vita adulta. Ritorno all' ordine non è in
questo caso uno slogan reazionario ma un appello alla più elementare virtù
civica. La libertà e la democrazia si affermano laddove sono chiari,
condivisi, eticamente concepiti i limiti che ogni
società e ogni individuo deve porsi e la cui
trasgressione comporta una pena commisurata. Far credere a
un bambino o a un adolescente che può far tutto a suo piacimento, che non ha
di fronte a sé né divieti né inevitabili frustrazioni, che può «fingere» di
uccidere selvaggiamente una donna o un avversario, insultare liberamente - e
senza timore - il maestro o il compagno, incendiare l' aula, essere promosso
senza studiare, tutto questo ed altro ancora sta devastando la formazione
etica, civile e scolastica dei cittadini di domani. Si tratta di capire che
quel che è grave non è che una violazione delle regole venga
commessa, ma che non ci siano regole, non esista il divieto. Ben diverso è l' infrangerlo ma con la consapevolezza di compiere un'
azione proibita. L' infrazione, in questo caso, è assai meno diseducativa. Si
dirà che nella grande maggioranza dei casi le cose
non sono tanto tragiche, che solo una minoranza è deviante da una condotta
accettabile, che in molte classi si studia con profitto ed è probabilmente
vero. Purtuttavia l' assenza
quasi istituzionalizzata di vincoli e divieti facilita l' estendersi dei
fenomeni negativi e genera una atmosfera in cui le minoranze più aggressive e
turbolente finiscono per imporre i loro codici di comportamento. Infine il
bambino, prima, e il ragazzo, poi, adusi a non aver coscienza di un punto
limite, saranno spinti a richiedere, ad ottenere e a fare sempre qualcosa in
più. Cresceranno con meno frustrazioni ma quando entreranno nella vita più
adulta ne sconteranno il prezzo. Altissimo per loro e per
la società.
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