Occorre una notevole dose di ignoranza o una dose
infinita di malafede per stracciarsi quotidianamente le vesti sulla
incapacità, che sarebbe tutta italiana, di accettare una storia condivisa e
soprattutto di venire a patti con gli eventi del 1943-45, attraverso un
processo di speculare riconoscimento e di mutua legittimazione tra
post-fascisti e post-antifascisti. A questo tema ricorrente ha dedicato uno
sferzante saggio ("La crisi dell´antifascismo"
ed. Einaudi) lo storico Sergio Luzzatto,
assai favorevolmente recensito sulle nostre colonne da Claudio Pavone. E tuttavia la loro voce, accanto a quella nostra e di
pochi altri, appare destinata a suonare largamente minoritaria se confrontata
con la potenza di fuoco mass-mediatica impiegata
per sostenere la storiografia revisionistica, le volgarizzazioni televisive,
le iniziative di rivalutazione del fascismo e di delegittimazione della
Resistenza. E´ tutto un fiorire di rivisitazioni
commosse, di «piagnistei sul sangue dei vinti» (Luzzatto),
di elegiache rappresentazioni in cui tutto si
mescola: la saga tv di un Mussolini
"buono", l´esecrazione pressoché
settimanale per la morte di Giovanni Gentile, il ricorrente richiamo alle
foibe titine, la richiesta di intitolare in tutti i
paesi una piazza ad Almirante, che non fu solo capo del Msi
ma anche, dal 1938, segretario della "Difesa della razza", la
rivista antisemita del Regime, e, dopo l´8 settembre, gerarca repubblichino.
Queste ed altre suggestioni hanno più a che fare col presente che col
passato. Sul piano immediato servono come incenso per confondere il lezzo che
promana dalla riforma costituzionale appena votata dalla maggioranza.
Turatevi il naso ed approvatela, sembra vogliano
suggerirci i revisionisti in servizio permanente, tanto la Costituzione basata
sulla Resistenza e l´antifascismo grondava anch´essa di sangue innocente, è macchiata di nefandezze
comunistiche e, quindi, non merita riguardi nel farla a pezzi. Su un piano
meno immediato la vulgata della memoria condivisa, di un «patteggiamento
storico» che parificherebbe gli uni e gli altri, di un appiattimento amorale
degli eventi, altro non è che l´accorto
inquadramento di una egemonia culturale che la
destra sta tentando di costruire assemblando tutti i materiali a
disposizione: torna comodo l´oltranzismo cattolico
anti-scientifico degno del Sillabo e l´odio per l´Italia unitaria risorgimentale, la svalutazione dei
valori della Resistenza e il recupero positivo dell´eredità
fascista.
È deprimente che intellettuali e commentatori che pur si dicono liberali
siano in prima fila in quest´opera di devastazione
della Storia.
Dedico loro, anche se non servirà a nulla, una pagina degli avvincenti "Taccuini di guerra" di Benedetto Croce,
curati per Adelphi da Cinzia Cassani,
con una postfazione di Piero Craveri (v. su
Repubblica del 14 us la recensione di Nello Ajello). Il grande filosofo alla notizia della caduta di Mussolini scrive: «Il senso che provo è della liberazione
da un male che grava al centro dell´anima». Ma, passato qualche mese, confessa: «Sono stato sveglio
alcune ore, tra le 2 e le 5, sempre fisso nel pensiero che tutto quanto le
generazioni italiane avevano da un secolo in qua costruito politicamente,
economicamente e moralmente è distrutto, irrimediabilmente. Sopravvivono nei
nostri cuori le forze ideali con le quali dobbiamo
affrontare il difficile avvenire». Poco più avanti dichiara che non ha voglia
di scrivere sul dittatore, malgrado «il pensiero della rovina cui ha portato l´Italia e della corruttela profonda che lascia in tutti
i rami della vita pubblica. Ma pure ? aggiunge
presago ? rifletto talvolta che ben potrà darsi il caso, e anzi è da tenere
per sicuro, che i miei colleghi in istoriografia
(li conosco bene e conosco i loro cervelli) si metteranno a scoprire in quell´uomo tratti generosi e geniali, e addirittura
imprenderanno di lui la difesa, la "Reitung",
la riabilitazione, come la chiamano, e fors´anche
lo esalteranno. Perciò mentalmente m´indirizzo a
loro, quasi parlo con loro, per avvertirli che lascino
stare, che resistano in questo caso alla seduzione delle tesi paradossali e
ingenerose e "brillanti"... Il problema che solo è degno di
indagine e di meditazione non riguarda la personalità di lui, che è nulla, ma
la storia italiana ed europea, nella quale il corso delle idee e dei sentimenti
ha messo capo alla fortuna di uomini siffatti». Evidentemente quell´appello di Croce non è stato recepito
da quei liberali da bandana che allignano nell´Italia
d´oggi.
GENTILE, PAGINA
NERA O TRISTE CASTIGO?
da Repubblica - 8 novembre
2004
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La morte
di Giovanni Gentile seguita ad essere periodicamente rievocata dalla
pubblicistica revisionistica nel quadro della
campagna tendente a svilire i valori della Resistenza, sia ponendo sullo
stesso piano chi si batteva per la libertà e chi militava a fianco delle SS
naziste, sia assimilando le azioni patriottiche di quell´epoca
all´odierno terrorismo. Se ne deduce un giudizio
morale astratto dalla storia, come se i fatti analizzati non andassero
ricondotti, anche a livello etico, alla terribile stagione aperta con l´armistizio e segnata, da un lato, dalla crescente
resistenza agli invasori tedeschi e ai loro complici delle brigate nere e, dall´altro, dalle spietate rappresaglie tedesche - da
Cefalonia alle Fosse Ardeatine, ai mille eccidi in
tante parti d´Italia - dalle razzie degli ebrei che
condussero ad Auschwitz ben 8000 uomini, donne e
bambini, dai bandi sotto minaccia di morte per obbligare i giovani ad
arruolarsi con Salò, dalle torture inflitte agli
antifascisti. In questo contesto tragico si colloca l´adesione proclamata di Giovanni Gentile al regime di
Salò di cui assunse la più alta carica culturale, avallandone i misfatti. In
questo contesto si colloca la decisione che maturò
nelle fila dei comunisti di Firenze di giustiziare il filosofo, pagando
peraltro con la vita - a cominciare dall´esecutore,
Bruno Fanciullacci - il loro gesto.
Personalmente
ricordo che ascoltai la notizia alla radio mentre
ero rifugiato con i miei famigliari in un casolare abruzzese per sfuggire
alla cattura e alle camere a gas. Mi dispiacque per il filosofo cui si doveva
l´ordinamento scolastico dove mi ero
formato. Nel contempo mi sembrò dolorosamente
giustificato che un così cattivo maestro rispondesse dell´ultimo
tradimento. Detto questo mi appaiono pretestuose le
interpretazioni su presunti retroscena dell´evento.
La versione più verosimile è quella fornita da una protagonista di assoluta attendibilità, Teresa Mattei,
che fu la più giovane parlamentare della Costituente, il cui fratello
Gianfranco si era suicidato a via Tasso per non cedere alle torture. Ella ha raccontato recentemente come l´esecuzione
venne decisa a Firenze da un piccolo gruppo clandestino cui partecipava il
suo futuro marito, Bruno Sanguinetti, ed altri,
(Ranuccio Bianchi Bandinelli, Giuseppe Rossi,
ecc.). «La decisione di eliminare Gentile presa da noi - narra la Mattei,
che lo aveva pedinato nei giorni precedenti l´attentato
- non è stata dettata da ansia di vendetta, ben al contrario è stata un atto guidato dalla consapevolezza che con la
sua esecuzione si chiudevano definitivamente i conti con il maggior
responsabile della cultura fascista. Sicuramente le torture efferate e la
morte di mio fratello Gianfranco, dei suoi compagni e di tanti altri, assieme
ai proclami contro i renitenti alla leva della Repubblica di Salò di cui Gentile era il celebratore, così come la
conseguente fucilazione sotto i nostri occhi di tanti giovani a Campo di
Marte a Firenze, come in tante altre piazze d´Italia,
ci hanno determinato ad agire esattamente in quel momento». Queste ammissioni
lasciano, però, «perplesso» lo storico Francesco Perfetti che in un libro
appena uscito, («Assassinio di un filosofo» ed. Le Lettere), vorrebbe
dimostrare che il mandante morale fu personalmente Palmiro Togliatti, desideroso di debellare fisicamente l´attualismo gentiliano per cui l´uccisione del suo vate
apparirebbe «funzionale al disegno rivoluzionario ed egemonico del Pci». Gli stravolgimenti del revisionismo toccano i
vertici dell´assurdo, anche perché la contesa
culturale si giocava allora tra marxismo e idealismo crociano.
Ci aveva già pensato, infatti, don Benedetto a liquidare l´attualismo,
non solo sul piano filosofico. Scriveva infatti Croce («Taccuini di guerra»
ed. Adelphi), proprio dopo la morte dell´ex allievo, ricordando antichi colloqui con lui:
«Ciò che allora il mio affetto pel Gentile non mi
lasciava vedere era il diretto rapporto che quel filosofare aveva con l´abbassamento della vita morale, con una sorta di
ottusità morale... ma mi divenne chiarissimo... nei suoi detti e nei suoi
fatti, quando prese a partecipare alla vita politica dell´Italia...
per incapacità o pigrizia mentale che lo faceva correre al comodo riposo...
scendendo dal quale era lecito e gradevole adeguarsi... alla più disonesta
vita politica e morale che abbia bruttato l´Italia
e il mondo... Certo, io avrei desiderato che gli fosse risparmiato il triste
castigo che gli è stato inflitto... con la morte miseranda di un uomo non si
sradicano gli errori filosofici». Un giudizio ben
diverso dalla «pagina più nera della resistenza» di cui discetta Perfetti.
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