Il "mostro" che ci ha fatto piangere (…)"Gli
italiani che l’indomani (ovvero il 16 dicembre 1969 – nota di gp) vogliono sapere chi è il "mostro" non
hanno che l’imbarazzo della scelta. Mentre, con sorprendente rapidità, i muri
di parecchie città si tappezzano di manifesti con la fotografia di Valpreda – giubbotto aperto sul torace, medaglione con l’A di anarchia, il pugno chiuso levato in alto – e la
scritta "Assassino", la stampa benpensante si scatena in ritratti a
tutto tondo, di una ferocia e di un livore reazionario senza precedenti. Il
presunto responsabile della strage viene presentato
come un uomo ai margini del sistema civile, vagamente di sinistra, un
contestatore da strapazzo. Il titolo più significativo
è quello in prima pagina nel quotidiano monarchico "Roma": "Il
mostro è un comunista anarchico ballerino di Canzonissima".
Il missino "Secolo d’Italia" lo definisce una "belva oscura e
ripugnante, penetrata fino al midollo dalle lue comunista."
Il "Corriere d’Informazione", sotto il titolo La
furia della bestia umana, fa un ritratto esemplare:"la bestia umana
che ha fatto i 14 morti di piazza Fontana e, forse, anche il morto, il
suicida, di via Fatebenefratelli, è stata presa, è
inchiodata … non la dimenticheremo mai, la bestia che ci ha fatto piangere …
ora si comincia a respirare … Il massacratore si chiama Pietro Valpreda, ha 37 anni, mai combinato niente in vita sua,
rottura con la famiglia; soltanto una vecchia zia, che stira camicie e
spazzola cappotti, gli dà una mano; viene dal giro forsennato del be-pop, del rock; un giro dove gli uomini sono quello che
sono e le ragazze pure. S’è dimenato sulle piste delle balere
fuori porta e sotto le strade del centro, faceva il boy, uno di quei tipi con
le sopracciglia limate e ritoccate a matita grassa che fanno ala, in
pantaloni attillatissimi, alla soubrette… un
mestiere corto, infelice, di pochi soldi… Di più questo refoulé
si ammala. Il sangue non gli circola più normale nelle arterie delle gambe…
un passo dietro l’altro, Pietro Valpreda si avvia a
diventare la bestia … Chissà come si incolla, come
coagula questa sciagurata umanità: parlano, parlano, fanno finta di leggere o
d’aver letto, si ritrovano oziosi nei caffè, giocano a scopa, si ubriacano,
ogni due o tre settimane presentano ai compagni una "moglie" nuova,
scendono in piazza obbedendo a un misterioso ordine di rendez-vous, qualche
volta, anzi spesso, hanno guai con la polizia … Così nasce un Pietro Valpreda. Da questo entroterra
arriva il massacro". Con
insistenza sadica è descritto il morbo di Burger
(diventerà, in pochi giorni, il "morbo di Valpreda")
la malattia che avrebbe trasformato un ballerino velleitario
"nell’uomo che odia il mondo" (Epoca): si arriva fino a inventare
l’amputazione di un alluce. Per la
stampa, l’autore del più scientifico e organizzato massacro della storia del
terrorismo in Italia non può essere che un
disadattato, un sottoproletario che l’impossibilità di accedere al paradiso
del successo borghese ha trasformato in un mostro vendicativo. E contro gli
altri potenziali "mostri", anarchici, comunisti o
"sovversivi" sui generis, viene chiesta a
gran voce (e promessa dai ministri in carica) una "repressione
infallibile". FONTE: Valpreda: processo al
processo di Marco Fini e Andrea Barberi – Feltrinelli
Editore, 1971, pagg. 8 e 9 Per
ricordare come fu costruito il "mostro" guarda anche http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2454&Class_ID=1001 http://www.anarcotico.net/storia/valpreda.html http://digilander.libero.it/infoprc/gli%20articoli%20della%20memoria001.html http://www.informagiovani.it/Terrorismo/terint3.htm http://www.xs4all.nl/~welschen/Archief/itvalpreda.html http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2002/07_Luglio/08/valpreda.shtml
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GLI ANARCHICI (FONTE: http://www.ecn.org/ponte/doss12/giuseppepinelli.html
) "Noi
accusiamo la polizia di essere responsabile della
morte di Giuseppe Pinelli, arrestato violando per
ben due volte gli stessi regolamenti del codice fascista. Accusiamo il
questore e i dirigenti della polizia di Milano di
aver dichiarato alla stampa che il suicidio di Pinelli
era la prova della sua colpevolezza, e di aver volontariamente nascosto il
suo alibi dichiarando che "era caduto".
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Una voce discordante Se mai ha
un senso parlare di polizie e magistrature parallele – si legge
nel libro La strage di Stato, pag. 97 – nel caso in specie ci sono
parecchi esempi. Il
procuratore della Repubblica di Milano, Ugo Paolillo,
al quale spetterebbe la competenza territoriale dell’inchiesta perché
è il procuratore di turno il pomeriggio del 12 dicembre, non sembra d’accordo
con la tesi, prevalente tra gli inquirenti, degli "attentati di
sinistra". Sin dalle prime ore l’onesto e scrupoloso magistrato protesta
duramente contro la polizia che procede alle retate negli ambienti anarchici
e della sinistra extraparlamentare, ammonendo che qualora non fossero state
rispettate le regole formali dei fermi (quello di Pinelli
è un esempio macroscopico di violazione: viene
trattenuto per tre giorni e tre notti in questura senza che il suo fermo di
polizia venga notificato al magistrato inquirente), egli avrebbe sconfessato
il comportamento della polizia politica. Quando l’inchiesta è ancora, formalmente, affidata alla
Magistratura milanese e al procuratore Ugo Paolillo
in particolare, da Roma giunge il pubblico ministero Vittorio Occorsio (che, qualche anno dopo, sarà assassinato da
terroristi dei Nar) che "per ordini
superiori" e scavalcando, di fatto, Paolillo,
procede agli interrogatori degli anarchici rinchiusi a san Vittore. Al
magistrato milanese, frattanto, i superiori affiancano un nuovo "verbalizzatore" che ha ricevuto l’ordine di essere
sempre presente agli interrogatori. Verso la
fine del mese di dicembre, infine, l’inchiesta viene
definitivamente trasferita da Milano a Roma, ovvero in una sede più vicina al
potere centrale. Ugo Paolillo, però non demorde e continua suo dovere
proseguire nelle indagini che lo stanno conducendo ad esplorare piste decisamente di destra e, in particolare, quella che
dimostra che almeno un "agente provocatore" si sia infiltrato negli
ambienti anarchici milanesi. E’ aiutato, in questo lavoro di
"intelligence" (diremmo oggi) da due valenti sottufficiali dei
carabinieri. Sino a quando, improvvisamente, uno dei due viene
posto in pensione, l’altro trasferito a La Spezia. Da quel
momento su Ugo Paolillo, magistrato che non crede
alle versioni precostituite, cala il sipario.
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