Aspettando l'autunno precario
GIUSEPPE ALLEGRI

Il Manifesto, 8 0ttobre 2004


Nell'affollato presidio di ieri mattina alla Sapienza di Roma sembrava di esser tornati alla scorsa primavera, quando il timido movimento contro il ddl Moratti cominciava a prendere le mosse. In contemporanea - e non a caso - si svolgeva una riunione del senato accademico. Il progetto morattiano di riforma dello stato giuridico dei docenti, liberatosi dalle paludi in cui lo aveva inabissato il ministro Tremonti, appare ora in dirittura di arrivo, benché destinato a tornare a Montecitorio solo in novembre. Nel frattempo quel movimento di contestazione ha perso visibilità, e ha faticosamente traversato l'estate provando a lavorare per minare il consenso intorno alla riforma.

Ma come è stato più volte sottolineato sulle pagine de il manifesto, la nostra università sembra avvitarsi - da almeno un quindicennio - in un circolo vizioso di riforme e riforme delle riforme le cui spese vengono pagate dai soggetti più deboli della catena formativa. Gli studenti - che arrancano spaesati nel mercato dei mille crediti e degli infiniti microinsegnamenti - e la forza lavoro precaria della ricerca, sottoposta a un'ormai cronica instabilità lavorativa, di studio ed esistenziale che si protrae fin oltre i 40 anni.

Entrambi i poli si dividono equamente la responsabilità di questo gioco al massacro del sistema formativo universitario. Se dal punto di vista della rappresentanza istituzionale ciò rende privo di sponde il movimento, dall'altra dovrebbe rendergli la vita più facile. Infatti potrebbe essere questa la condizione ideale per rimettere in discussione il sistema universitario. Purché il (rinato?) movimento non indugi in atteggiamenti resistenziali e sappia tenere insieme ricerca, saperi e didattica, stringendo alleanze con quelle generazioni più giovani che intendono riappropriarsi del proprio destino, affrancandosi da precarietà e ricattabilità. In questo senso appare confortante la partecipazione maggioritaria e propositiva al presidio romano.

Al contempo le soggettività che contribuiscono alla Rete Nazionale dei Ricercatori Precari (www.ricercatoriprecari.org) hanno avviato tavoli di confronto con la controparte accademica (Bologna, Cosenza, Milano, etc.) per contrastare dal basso la precarietà della ricerca. E per proporre meccanismi di diffusione e riproducibilità capillare di queste forme di auto-organizzazione. Ciò potrebbe incidere sulla possibilità di far rivivere le università come nuovi spazi pubblici di pensiero critico e pratiche conflittuali. Servirebbe allo stesso tempo come monito nei confronti di una sinistra istituzionale (moderata e sedicente alternativa) che in ambito universitario è stata la prima forza motrice del processo di involuzione della ricerca e formazione.

In questa grigia congiuntura, a voler essere ottimisti, i sindacati potrebbero rappresentare l'unica realistica sponda, qualora riuscissero a evitare le accattivanti sirene concertative confindustriali. In ogni caso le poche (ma si spera vitali) forze che continuano a mobilitarsi dovrebbero prendere l'iniziativa per una giornata nazionale di mobilitazione congiunta di tutti i settori della formazione e ricerca (dagli asili nido alle università) per rifiutare definitivamente le riforme morattiane.

Allo stesso tempo rimane all'ordine del giorno la questione della precarietà sociale diffusa del lavoro cognitivo e non solo: è l'altro campo di mobilitazione e di vertenze quotidiane (locali, nazionali e continentali dato per decisivo il livello europeo di lotte per l'affermazione di un nuovo modello sociale) in cui resiste ancora in ballo l'apertura di un autunno precario. Va intanto registrato che qualcosa - magari di piccolo, occasionale, a tratti invisibile - continua a lavorare per cambiare l'ordine esistente delle cose.