Da Il Corriere della Sera del 6
marzo 2004
“Fondi alle università, cambia tutto
Contributi anche in base ai risultati”
Il ministro Moratti: resistenze culturali, ma la riforma
della scuola non si ferma
“Studenti fuori corso, ricerca, lavoro dopo la laurea:
così finanzieremo gli atenei”
“Siamo partiti dall’analisi del
capitale umano, la più grande ricchezza del Paese: la valorizzazione delle
potenzialità di ciascun individuo in senso umano, culturale, sociale e
professionale. Bisognava investire nella conoscenza, smontare un sistema
dirigista, “prescrittivo” e creare opportunità”. Letizia Moratti inizia così,
quasi a riassumere il senso di tutta l’operazione, dopo due anni e mezzo di
interventi che stanno rivoluzionando scuola, università e ricerca. È “pronta al
dialogo” ma altrettanto decisa ad andare avanti “oltre le resistenze culturali,
basate su una concezione di scuola che detta regole e standard uguali per
tutti, non premia le attitudini e le capacità dei singoli e non va incontro
alla libertà di scelta delle famiglie” e per la prima volta traccia il disegno
complessivo del suo operato: “E’ un’unica filiera che deriva dagli stessi
principi, non stiamo parlando di qualcosa d’astratto”, precisa il ministro
dell’Istruzione. Quanto a questo, l’ultima novità in preparazione è destinata a
rivoltare come un guanto il mondo accademico. Cambia il sistema dei
finanziamenti alle università: “Vogliamo che siano valutate e sostenute in base
ai risultati”.
In che modo, signor Ministro?
“Finora i soldi venivano distribuiti
in base al numero di iscritti ma non funzionava, non si incentivavano gli
atenei a migliorare. Abbiamo un tempo medio di laurea superiore ai 7 anni e il
65 percento dei ragazzi abbandona gli studi, in gran parte al primo anno. Ora
c’è una bozza di provvedimento che abbiamo inviato alla conferenza dei
rettori…. Certo, bisognerà dare tempo, fare sperimentazione, studiarla insieme
agli atenei. Ma in sostanza cambia tutto. Ci saranno quattro parametri e
giudicherà il comitato nazionale di valutazione del sistema universitario”.
Quali?
“Per il 30 percento i
finanziamenti saranno dati ancora in base al numero di iscritti, ma con una
differenza fondamentale: non saranno calcolate le matricole e i fuori corso.
Così le università dovranno attrezzarsi per un servizio di tutor che eviti gli
abbandoni, e se non riusciranno a laureare i ragazzi se li terranno in carico”.
Daranno la laurea a tutti?
“No, perché un altro 30 percento
dei fondi sarà calcolato sui risultati dei ragazzi: quanti sono in corso,
quanti trovano lavoro entro un certo periodo di tempo…”.
E il resto?
“Il 30 percento dipenderà dai
risultati della ricerca dei singoli atenei. E il 10 che resta sarà riservato a
incentivi, valutando caso per caso…”.
Perché parlava di “filiera”?
“L’obiettivo di tutti gli
interventi è valorizzare le possibilità di ciascun individuo. Era naturale che
si partisse dalla scuola, insistendo sulla centralità dello studente…”.
Perché, prima non era così?
“All’inizio ho trovato un valzer
di supplenze: i ragazzi arrivavano a settembre e fino a gennaio, talvolta a
marzo, non trovavano un maestro o un insegnante fisso. In uno dei primi decreti
abbiamo fissato le graduatorie al 31 luglio, in agosto si sono assunti 62mila
insegnanti, il primo settembre per la prima volta i docenti erano in classe e
pagati. Abbiamo lavorato per una scuola più libera ed autonoma, meno
centralista, capace di educare e trasmettere valori…”.
E come si spiega le proteste?
“Credo ci siano resistenze
culturali, in fondo è la prima riforma complessiva dopo Gentile”.
Un esempio di queste resistenze?
“Le polemiche sul tempo pieno,
che in parte dipendono da disinformazione e in parte sono dovute a una
concezione culturale diversa. Altrimenti non si spiegherebbe, visto che le ore
restano le stesse: 40. la differenza è che noi diamo libertà di scelta alle
famiglie perché possano personalizzare il percorso di studi e orientare il
ragazzo verso materie dove deve recuperare o al contrario è assai dotato.
Dall’altra parte la concezione è: la scuola deve decidere per le famiglie”.
Si sospetta l’abbiate fatto per risparmiare. Gli organici
degli insegnanti saranno calcolati su 27 ore settimanali, 30 o 40?
“I provvedimenti attuativi della
legge sulla scuola precisano che gli organici sono calcolati sulle 40 ore. Si
confermano gli organici attuali”.
Altra questione: alle superiori si crea una scuola
classista e chi va al professionale, al di là della possibilità teorica, non
farà mai il passaggio al liceo.
“Non è vero. La provincia di
Trento ha iniziato la sperimentazione e i risultati sono ottimi: non c’è
passaggio da licei a istituti professionali, c’è passaggio da istituti
professionali a licei”.
E l’università?
“Anche qui abbiamo cercato
anzitutto di rimettere al centro lo studente. Deve avere la possibilità di
laurearsi bene, in tempo e con sbocchi concreti. Vogliamo un’università
efficiente, efficace e qualitativa. Anche il concorso nazionale eviterà i
localismi che hanno abbassato la qualità dei docenti. Agli insegnanti chiediamo
più impegno – almeno 120 ore di insegnamento ai ragazzi su 350 di didattica – e
al contempo li liberiamo: liberi di fare ciò che vogliono, professioni, altre
ore nell’ateneo, purché garantiscano il numero minimo di ore”.
E le proteste dei ricercatori?
“Un po’ c’è paura del
cambiamento, un po’ la vecchia mentalità del posto sicuro”.
L’accusano di creare precari…
“E’ l’esatto contrario. Ora è una
piramide rovesciata, ci sono troppi ordinari e associati e pochi ricercatori.
Noi vogliamo assumere giovani ricercatori”.
Con il contratto di 5 anni più 5 non rischiano di
diventare vecchi?
“Anzitutto non parliamo di
co.co.co. ma di contratti a tempo determinato. E poi, calcolando la laurea, il
dottorato e al massimo due contratti, potranno diventare professori intorno ai
35 anni. Se in base al dibattito e al confronto con il mondo accademico e
parlamentare cinque anni risultassero troppi, potremmo diminuirli. Del resto se
uno è bravo potrebbe essere assunto anche dopo un anno, mentre adesso la media
dei ricercatori è sui cinquanta”.
Resta la ricerca…
“abbiamo portato la percentuale
pubblica dallo 0,53 allo 0,65 del pil, la media europea è lo 0,66. i principi
si ripetono: valutazione della qualità e delle ricadute socioeconomiche, niente
finanziamenti a pioggia…”.
Dicono abbiate tagliato i fondi.
“E’ falso, e non è questione di
opinioni. Parlano i bilanci ufficiali. La scuola: il bilancio 2001 era 35,7
miliardi di euro, nel 2002 è salito a 37,7, nel 2003 a 39,7. in tre anni lo
abbiamo aumentato di quattro miliardi di euro…”.
In totale. Ma la scuola pubblica?
“L’aumento si riferisce proprio
alla componente statale del sistema pubblico. Nel bilancio, i soldi alle scuole
paritarie sono rimasti gli stessi”.
Un problema di “percezione” come l’euro?
“No, la percezione non c’entra
nulla. È solo cattiva informazione. Anche il fondo ordinario di finanziamento
dell’università era di 5,8 miliardi nel 2000, prima che arrivassi, e ora è di
6,5 miliardi”.
Come ha convinto Tremonti ad aprire i cordoni della borsa?
Ha avuto problemi?
“No, nel modo più assoluto. I
problemi semmai li ho ereditati dal passato: debiti, leggi di spesa non
coperte… Al ministero ho trovato un’eredità pesante”.
Tipo?
“Quest’anno in Finanziaria ho
avuto 500 milioni di euro, e 375 sono serviti a coprire i debiti sulle
convenzioni del ministero per i lavori socialmente utili. Avevano firmato contratti
da 60 mesi e ne avevano pagati 12. altro esempio: 70 mila bidelli passati dagli
enti locali allo Stato senza copertura. Debiti che ho dovuto pagare”.
Ora ci saranno scioperi, manifestazioni. Cosa farà?
“Dialogo, dialogo, ancora
dialogo. E disponibilità a modificare ciò che non funziona. Lo ripeto: la
riforma è flessibile, parte come sperimentazione, nel giro di 18 mesi vedremo
le cose che funzionano e quelle che non funzionano. E nel frattempo continuerò
a confrontarmi e ad ascoltare tutti”.
Gian Guido Vecchi