Gian Luigi Beccaria
La perdita della memoria storica
sta investendo non soltanto la classicità, ma l’intero passato. Tra un po’
anche il Novecento, «il secolo scorso» come già diciamo, non tarderà ad
allontanarsi al pari delle altre antichità. La scuola sta esiliando i «classici»,
che finiranno per essere espulsi dalla coscienza della nazione. Improvvidi
riformatori di ieri e di oggi (alcuni li vedrei meglio
a dirigere catene di supermercati, piuttosto che occuparsi di scuola), tutti
affannati a inseguire (com’è giusto) il «nuovo», stanno chiudendo lo scrigno
che contiene i tesori del passato. Pensano a una
scuola totalmente appiattita sull’oggi. Ma come potranno i giovani capire
l’oggi senza l’ieri! Non coglieranno nulla, neppure il
senso delle parole. Il passato diventerà un territorio perduto, la scuola non
lo riconquisterà più, passeggeremo nelle nostre città d’arte, tesori a cielo
aperto, come ignari, noi che abitiamo un paese benedetto dagli uomini, dove è
concentrato più della metà del patrimonio artistico e archeologico mondiale. Come è possibile che si sia giunti a pensare di mortificare
o addirittura potare drasticamente lo studio dell’antichità greco-romana, il
medioevo, l’età moderna, per concentrarsi sul solo presente? E
questo è accaduto in un paese come l’Italia, che in quei secoli e millenni
affonda le radici della sua identità storica e culturale.
* * *
Ora le tendenze generali nelle
riforme europee delle scuole di ogni grado - e qui non
c’è destra o sinistra, non c’è schieramento politico che tenga - stanno emarginando
le discipline umanistiche, penalizzando fortemente chi si occupa di storia,
filosofia, di letteratura, a vantaggio di altre ritenute più «utili», perché il
nuovo che avanza, secondo lo slogan di buona memoria, ha da sconfiggere
l’antico. La letteratura per prima gode di sempre più
scarso prestigio, e qualche ragione potremmo anche indicarla, una almeno,
relativa alla sua funzione, che è profondamente cambiata rispetto
all’Ottocento. La letteratura valeva allora come contenuto. E
valeva come esperienza. In seguito, in tempi a noi più vicini, non ha più avuto
questo compito: sociologia, psicologia, hanno
affrontato quei temi. Molti giovani hanno abbandonato le lettere per queste
nuove discipline. Senza contare poi che, a più buon mercato,
i mass-media si sono fatti carico di procurare le emozioni e i contenuti che
prima ci offriva la letteratura. Abbiamo così assistito al rapido
declassamento dell’umanesimo. Ciò rientra anche nella generale disaffezione
(chi insegna lo può con preoccupazione testimoniare) verso la memoria e
l’eredità del passato, e verso le lettere che del passato (non solo esse per la
verità) sono per qualche parte custodi. Le stesse
tendenze delle riforme in atto per la scuola di tutta Europa stanno alimentando
questa disaffezione. Privilegiano un appiattimento sul
presente.
* * *
È dovere di noi docenti, per quel
che mi compete, fare tutto il possibile (non è molto quel che ci è concesso) per ribadire il principio sacrosanto che una
società funziona non quando le persone sanno un inglese itinerario, sanno usare
il computer, navigare su Internet, far girare bene le macchine, far quadrare i
conti (le tre I, Inglese Internet Impresa, del radioso futuro di cui si
vocifera), ma quando sono innanzitutto capaci di riflettere sul senso del proprio
operare, e di conseguenza sui casi della vita, sul destino dell’uomo di oggi e
di ieri, sulle scelte fondamentali etiche e politiche. Il che è in definitiva
quanto di noi stessi è per grossa parte depositato,
svolto nella memoria storica, cioè nelle parole d’altri, nei libri. Anche, o
soprattutto, nei libri del passato o a esso dedicati,
quelli che certo allontanano dall’immediatezza, ma che proprio per questo ci
permettono talvolta di formulare migliori e più obiettivi giudizi sul mondo, di
riconoscere meglio dalla distanza il movimento delle cose. Temiamo forse una
scuola che sappia creare un elettorato in grado di
pensare?
* * * La filologia è un antidoto
al pressapochismo, alla manipolazione, alla fretta,
ai rapidi flash momentanei. La civiltà acustico-visiva,
la modernità insomma, sta facendo sparire dalla nostra vita ogni residuo
momento di indugio; nessuno sfugge più al flusso di
messaggi che proliferano nei media, e i linguaggi della velocità e della
vitalità si sono risolti in spettacolo continuato, in straripante accumulo di
messaggi decentrati, trasgressivi, effimeri, anche piacevoli, oppiacei... Ma
rispetto a chi vede, chi legge deve di necessità fare attenzione a un testo,
deve capire, e anche faticare, perché spesso deve tornare sui suoi passi, per
riletture, riesami, gestendo da solo il proprio movimento di comprensione. Ce lo ha già spiegato Quintiliano, illustrando i vantaggi
della lettura sull’audizione, o quelli della rilettura, che permette di
possedere il testo: la lettura che indugia nella continua ripetizione
«ammorbidisce» e «sminuzza» il testo come fa la masticazione con un cibo, e
dunque meglio lo digerisce e lo assimila.
La nostra scuola ci dovrebbe
insegnare a digerire e ad assimilare, anche in modo personale, e a far ciò
riesce solo quando mette a tu per tu con un oggetto,
un testo da leggere, da capire, da interpretare. Forse ci stiamo dimenticando
che proprio dalla scuola, dal leggere testi, sono nate le grandi democrazie del
mondo occidentale.
* * *
Grande consolazione è il sapere che il mondo sta tutto nei
libri, nella loro presenza fisica. «Noi non sappiamo - scrive Andrea Zanzotto - se esiste un paradiso, ma sappiamo che esiste il
Paradiso scritto da Dante, e quello c’è di sicuro: è
là per tutti, basta che si abbia l’amorosa e paziente volontà di entrarci».
Avremo raggiunto un grande risultato se riusciremo a
inculcare quanto a noi pare così ovvio, ma che i più giovani ancora non sanno,
l’idea cioè che non occorre loro fare tutte le esperienze per sentirsi
pienamente realizzati. Una persona deve fare, nella sua breve vita, soltanto le
esperienze che si sente di fare, ma soprattutto ha da tenere in conto che le
migliaia di altre sono tutte descritte nei libri nuovi e antichi, e così a
fondo, a tutto tondo... basta leggerle! Quei libri hanno parlato e vissuto per
noi. E questo dovrebbe impegnarsi a insegnartelo una
scuola che irresponsabilmente oggi stiamo impegnandoci a distruggere, perché
stiamo optando per un’università incamminata sulla via del risparmio, che tende
a diminuire la fatica, a misurare col bilancino i «saperi minimi» (quale
pedagogo è l’onomaturgo di tanta scempiaggine!) e non
già a proporre indicazioni, spunti, suggestioni, le possibilità infinite,
inesauribili racchiuse nei testi: un’università che tende a predisporre il
numero di pagine (il minimo indispensabile, cioè pochissime) che occorre
leggere per avere un poco di «crediti», e a indicare addirittura il numero di
battute non superabili per redigere la poco significativa «tesina» che chiude
un magro triennio. Quest’università non promette
nulla di buono. Siamo passati com’era giusto e come abbiamo voluto da una università di élite a una di
massa, ma ora l’abbassamento del livello sta diventando offensivo per quelle
masse, le quali hanno diritto a un insegnamento del più alto livello possibile:
a una tavola imbandita, non alle briciole di un pasto. È vero che «se potesse
scegliere liberamente, la maggior parte dell’umanità opterebbe
per il calcio, la telenovela o la tombola, piuttosto che per Eschilo» (ho citato
Steiner), e che i circenses
sponsorizzati da una omologata tv di Stato e tv commerciale già stanno avendo
la meglio. Ma non vedo perché anche noi, che da una vita ci occupiamo
di scuola, dobbiamo assecondare questa tendenza al ribasso e alla svendita. Se
poi (come qualcuno vorrebbe per la formazione degli insegnanti: penso al futuro
della SSIS o a soluzioni peggiori come il 3+2 con quel 2 tutto pedagogico o a
specializzazioni fondamentalmente didattiche), se poi la riduzione dei saperi
del presente e del passato privilegerà la dimensione
pedagogica, allora le scienze della comunicazione e della didattica si
preparino a formare insegnanti preparati a comunicare il nulla, non più
l’antico ma neppure il nuovo. Come si farà la storia di quello che non si conosce,
il commento di testi che non si sono letti, come si farà la didattica di una
lingua che più non si sa? Quei tre anni per la laurea breve possono essere
sufficienti per programmatori e tecnici di vari settori, ma sono assolutamente
inadeguati per le scienze umane. Tre anni di università
permettono ad alcuni di svolgere immediatamente un’attività lavorativa, ma ad
altri assolutamente no. Chi di noi potrebbe
seriamente pensare un futuro scolastico dei nostri figli in mano a triennalisti cui abbia fatto seguito per l’abilitazione
all’insegnamento un mero allenamento alla didattica... del nulla?