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11 settembre 2001

Guerra diffusa

 

Con l'attacco alle Twin Towers sono stati sovvertiti i canoni di ogni

conflitto: dalla scomparsa del fronte alla presenza del possibile nemico in

ogni parte del mondo. Il grande scrittore italiano riflette sul terrorismo

islamico

di Umberto Eco

 

 Non so se sia lecito indulgere in particolari autobiografici di fronte a un

evento che ha sconvolto il mondo, ma mi offro come esempio normotipo di un

cittadino di questo pianeta. Dunque sono stato sino in tarda età un ipoteso,

vale a dire con pressione molto bassa, al massimo 120, incidente che costa

solo qualche capogiro quando ci si alza da uno scaffale a terra a uno

scaffale alto in una libreria, e per il resto rappresenta una buona

assicurazione sulla vita.

 

Subito dopo l'11 settembre 2001 ho dovuto iniziare, per impegni presi molto

prima, una serie di viaggi aerei attraverso l'Europa, che è durata sino a

metà dicembre. Salivo in aereo, leggevo le notizie dei giornali, vedevo due

sedili più avanti un signore che, se non era arabo, si era travestito

perfettamente da arabo, riflettevo che se fosse stato un terrorista si

sarebbe travestito da banchiere svizzero, mi calmavo, arrivavo alla meta e

guardavo la televisione, e mi eccitavo di nuovo. Così di seguito per tre

mesi. Verso Natale non mi sentivo bene, ho fatto dei controlli, la mia

pressione era salita a 180 e sono stato definito paziente a rischio. Mi ci

sono voluti tre mesi di cure e diete per ricondurla ai livelli di prima.

 

Ecco, credo che il mio caso sia una buona allegoria della situazione del

mondo dopo il crollo delle Twin Towers. La pressione si è alzata nel

pianeta, si sono avuti degli ictus locali (crolli di borsa, sindromi

endemiche di panico) e si attende inconsciamente un attacco più forte.

Questo è avvenuto con maggiore intensità negli Stati Uniti, e per forza, era

gente che non aveva mai subito un attacco sul territorio nazionale (nella

guerra d'indipendenza erano loro che avevano cacciato gli inglesi, persino

il dramma di Pearl Harbour è avvenuto in una zona che era solo politicamente

ma non geograficamente americana). Noi europei dovremmo essere vaccinati

perché di guerre in casa nostra ne abbiamo viste tante, eppure non basta.

Non basta perché fa parte dell'inquietudine generalizzata il fatto che

avvertiamo che il concetto di guerra è radicalmente cambiato.

 

La paleoguerra

Nel corso dei secoli il fine di quella che chiamerò Paleoguerra era quello

di sconfiggere l'avversario in modo da trarre un beneficio dalla sua

perdita. Si cercava di realizzare le nostre intenzioni cogliendolo di

sorpresa, si faceva il possibile perché esso non realizzasse le proprie

intenzioni, si accettava un prezzo da pagare in vite umane per infliggere al

nemico un danno maggiore. Il gioco si svolgeva tra due contendenti, ben

riconoscibili, uno di fronte all'altro - e la frontiera era il limite da

superare per iniziare a battere il nemico. La neutralità degli altri, il

fatto che dalla guerra altrui non traessero danno ma se mai profitto, era

condizione necessaria per la libertà di manovra dei belligeranti.

 

A metà Novecento, una nozione di "guerra mondiale", tale che potesse

coinvolgere anche società senza storia come le tribù polinesiane, ha

eliminato il rapporto tra belligeranti e neutrali. L'energia atomica faceva

sì che, chiunque fossero i contendenti, da una guerra nucleare era

danneggiato l'intero pianeta. La conseguenza è stata la transizione dalla

Paleoguerra alla Neoguerra attraverso la Guerra Fredda, che stabiliva una

tensione di pace belligerante o belligeranza pacifica (l'equilibrio del

terrore), che permetteva, o rendeva indispensabili., delle forme di

paleoguerra marginali (Vietnam, Medio oriente, stati africani, eccetera). La

guerra fredda garantiva la pace al primo e secondo mondo, a prezzo di alcune

guerre stagionali o endemiche nel terzo.

 

La Neoguerra

Con l'invasione del Kuwait e la Guerra del Golfo ci si è subito accorti che

la guerra non era più soltanto tra due fronti separati. Lo scandalo dei

giornalisti americani a Bagdad era in quei giorni pari allo scandalo, di

dimensioni ben maggiori, di milioni e milioni di musulmani filo-irakeni che

vivevano nei paesi dell'alleanza anti-irakena.

Nelle guerre di un tempo i potenziali nemici venivano internati (o

massacrati), un compatriota che dal territorio nemico parlava delle ragioni

dell'avversario veniva, a fine guerra, impiccato - fu impiccato dagli

inglesi John Amery, che attaccava il suo paese dalla radio fascista, e solo

il soccorso degli intellettuali di ogni paese ha salvato, a prezzo di una

conclamata malattia mentale, Ezra Pound. Nella Neoguerra era incerto chi

fosse il nemico. La guerra non era più frontale, a causa della natura stessa

del capitalismo multinazionale. Che l'Irak fosse stato armato dalle

industrie occidentali non era un incidente, era nella logica del capitalismo

maturo, che si sottrae al controllo dei singoli stati. Gli aerei alleati

avevano creduto di distruggere un deposito di carri armati o aerei di Saddam

e poi si è scoperto che erano modelli civetta prodotti, e venduti

regolarmente a Saddam, da una industria italiana.

 

Con le Paleoguerre si avvantaggiavano le industrie belliche di ciascuno dei

paesi belligeranti: la guerra ingrassava i mercanti di cannoni, e questo

guadagno faceva passare in secondo piano l'arresto provvisorio di alcuni

scambi commerciali. La Neoguerra arricchiva i mercanti di cannoni ma metteva

in crisi le industrie dei trasporti aerei, del divertimento e del turismo,

degli stessi media (che perdevano pubblicità commerciale) e in genere tutta

l'industria del superfluo - ossatura del sistema - dal mercato edilizio

all'automobile. Era dunque indispensabile per una Neoguerra durare poco,

perché prolungarla non giovava a nessuno. Così la neoguerra non poteva

spingersi sino alla vittoria finale, e prova ne sia che Saddam non è finito

a Sant'Elena, né è stato spinto al suicidio dagli agenti romani, come è

accaduto ad Annibale.

 

Ma la Neoguerra doveva anche sottostare alle esigenze dell'industria dell'

informazione. Con la guerra del Golfo si è assistito al fatto, per la prima

volta nella storia, che i media occidentali davano voce alle riserve e alle

proteste non solo dei rappresentanti del pacifismo occidentale, il papa in

testa, ma persino degli ambasciatori e dei giornalisti dei paesi arabi

simpatizzanti per Saddam. L'informazione dava continuamente la parola all'

avversario (mentre il fine di ogni politica bellica è bloccare la propaganda

avversaria), e demoralizzava i cittadini delle singole parti nei confronti

del proprio governo (mentre Clausewitz ricordava che condizione della

vittoria è la coesione morale di tutti i combattenti).

 

Ogni guerra del passato si basava sul principio che i cittadini, credendola

giusta, fossero ansiosi di distruggere il nemico. Ora invece l'informazione

non solo faceva vacillare la fede dei cittadini, ma li rendeva vulnerabili

di fronte alla morte dei nemici - non più evento lontano e impreciso, ma

evidenza visiva insostenibile. Con la guerra del Golfo per la prima volta i

belligeranti compiangevano i nemici.

 

Peter Arnett trasmetteva le sue notizie da un hotel di Bagdad e i

filo-irakeni protestavano dagli schermi delle nostre televisioni: chiunque

aveva il nemico nelle retrovie. Quand'anche i media fossero stati

imbavagliati, le nuove tecnologie della comunicazione permettono la

circolazione di flussi d'informazione incensurabili, si veda Al Jazeera

oggi. Questo flusso d'informazione svolge la funzione che nelle guerre

tradizionali svolgevano i servizi segreti: neutralizza ogni azione di

sorpresa - e non è possibile guerra in cui non si possa sorprendere l'

avversario. La Neoguerra istituzionalizzava il ruolo di Mata Hari e

produceva una intelligenza col nemico generalizzata.

 

Mettendo in gioco troppi poteri, spesso in conflitto reciproco, la Neoguerra

già non era più un fenomeno in cui il calcolo e l'intenzione dei

protagonisti avesse valore determinante. Per la moltiplicazione dei poteri

in gioco (eravamo davvero all'inizio della globalizzazione) essa si

distribuiva secondo assetti imprevedibili. Di conseguenza era anche

possibile che l'assetto finale risultasse conveniente per uno dei

contendenti ma, in linea di principio, la guerra era perduta per entrambi.

 

Il fine della Paleoguerra era distruggere quanti più nemici fosse possibile,

accettando che morissero anche molti dei nostri. La morte degli altri era

pubblicizzata, magnificata e i cittadini, a casa, dovevano godere e

rallegrarsi per ogni nemico in più che fosse stato distrutto. Con il Golfo

si stabiliscono due principi: non dovrebbe morire nessuno dei nostri e si

dovrebbero uccidere gli avversari il meno possibile. È vero che nel deserto

gli iracheni sono morti in grande quantità, ma il fatto stesso che si

cercasse di non enfatizzare questo dettaglio era già un segno interessante.

Di qui l'uso e la celebrazione delle bombe intelligenti. A molti giovani

tanta sensibilità sarà forse parsa normale, dopo cinquant'anni di pace

dovuti alla benefica guerra fredda, ma riuscite a immaginarvi questa

sensibilità ai tempi in cui le V1 distruggevano Londra e le bombe alleate

radevano al suolo Dresda?

 

Con la Neoguerra appariva inaccettabile perdere anche un solo uomo. Si è

giunti a celebrare dagli schermi televisivi militari catturati dal nemico

che, per salvare la vita, avevano acconsentito a farsi interpreti della

propaganda nemica (poverini, si diceva, sono stati costretti a suon di

botte - dimenticando il sacro principio che il soldato catturato non parla

neppure sotto tortura). Una volta liberati costoro sono stati compresi,

avvolti da sensi di calda solidarietà, premiati dalla curiosità mediatica,

perché in fondo erano riusciti a sopravvivere.

 

I media vendono per definizione felicità e non dolore: i media erano

obbligati a introdurre nella logica della guerra un principio di felicità

massimale o almeno di sacrificio minimale. Ora, una guerra che non debba

comportare sacrificio e si preoccupi di salvare il principio di felicità

massimale, è molto curiosa.

 

Tutte le caratteristiche della Neoguerra, profilatesi ai tempi del Golfo, si

sono riproposte con la guerra del Kossovo. I giornalisti occidentali

rimanevano a Belgrado, l'Italia inviava aerei in Serbia e contemporaneamente

manteneva relazioni diplomatiche e commerciali con la Jugoslavia, le

televisioni della Nato comunicavano ora per ora ai serbi quali aerei Nato

stessero lasciando Aviano, agenti serbi sostenevano le ragioni del loro

governo dagli schermi della televisione, una giornalista serba inviava

giorno per giorno corrispondenze anti-Milosevic alla Repubblica. Come

bombardare una città i cui abitanti inviano lettere di amicizia al nemico

manifestando ostilità verso il loro governo? Il conflitto non era frontale e

le parti in gioco non erano separate da una linea retta ma da serpentine

intrecciate.

 

La Guerra Diffusa

Con l'11 settembre si verifica un nuovo ribaltamento della logica bellica.

Non parlo della guerra afgana, curiosa riproposta di un conflitto

addirittura ottocentesco, quando le truppe inglesi venivano attaccate dai

ribelli al Kyber Pass. Proprio perché era l'imitazione di una Paleoguerra,

la guerra in Afghanistan non è servita a nulla - salvo che, proprio come una

volta, a qualche petroliere: se doveva servire a catturare Bin Laden e a

neutralizzare Al Qaeda, l'impresa non è riuscita. Parlo invece della nuova

forma di confronto bellico, la confrontazione, ora in atto, tra mondo

occidentale e terrorismo fondamentalista.

 

Il terrorismo contro cui ci confrontiamo oggi non ha nulla a che fare coi

piccoli terrorismi locali (Bader Meinhof, Brigate Rosse, Ira, baschi) che

coinvolgeva un solo paese e si riduceva alla contrapposizione tra la

maggioranza dei cittadini e un gruppo quantitativamente ridotto di persone

che alla fin fine venivano identificate. Il possibile nemico ora è

dappertutto, e può essere legione. In questa nuova fase di Guerra Diffusa si

è completamente dissolto il principio di frontalità. Anche coloro che

pensano che il conflitto opponga il mondo occidentale a quello islamico

sanno che in ogni caso il confronto non è più territoriale. I famosi stati

canaglia sono al massimo punti di appoggio al terrorismo, ma il terrorismo

oltrepassa territori e frontiere. Soprattutto esso sta anche all'interno dei

paesi occidentali. Questa volta e definitivamente il nemico sta solo nelle

retrovie.

 

Ai tempi ormai remoti della Neoguerra gli agenti nemici che agivano in casa

li si conosceva (tanto è vero che andavano alla televisione) mentre con la

Guerra Diffusa essi rimangono ignoti (tranne poche individuazioni, sempre in

ritardo), girano con passaporto del paese ospite, i media dei nostri non

possono monitorarli come Peter Arnett monitorava la vita di Bagdad, e del

nemico potenziale non fanno parte soltanto dei soggetti etnicamente

stranieri infiltratisi a casa nostra, ma potenzialmente anche dei nostri

compatrioti - al punto che non è mai stato chiaro se le buste all'antrace

erano messe in circolazione da kamikaze musulmani o da gruppi settari

yankee, neonazisti o fanatici di altra specie, tutti oggettivamente (anche

se non intenzionalmente) alleati.

 

Nella Neoguerra i media davano voce alle opinioni dell'avversario, ma ne

controllavano le mosse. Oggi (come era nella logica dei terrorismi locali) i

media non possono dirci chi sono i nemici che ci minacciano, e se lo dicono

di solito sbagliano bersaglio. Ma non solo. L'atto terroristico viene

compiuto per lanciare un messaggio che appunto diffonda terrore o almeno

inquietudine. Il messaggio terroristico destabilizza anche se l'impatto è

minimo, e a maggior ragione destabilizza se l'obiettivo è un simbolo "forte"

. Il proposito di Bin Laden nel colpire le due torri era creare "il più

grande spettacolo del mondo", mai immaginato neppure dai film catastrofici,

dare l'impressione visiva dell'assalto ai simboli stessi del potere

occidentale e mostrare che di questo potere potevano essere violati i

maggiori santuari. Se questo era il fine di Bin Laden, i mass media sono

stati obbligati a enfatizzare il suo messaggio, collaborando oggettivamente

(anche se non intenzionalmente) con lui, reiterando per mesi, con servizi

televisivi, foto, filmati, infiniti racconti ripetuti di testimoni oculari,

agli occhi di chiunque l'immagine di quella ferita. In questo modo i mass

media hanno regalato a Bin Laden miliardi di dollari di pubblicità

gratuita - e, a dire il vero, lo stesso stiamo facendo oggi ("L'Espresso"

compreso) nel rigirare il coltello in una ferita non rimarginata. Eppure non

si può fare diversamente.

 

La Guerra Diffusa non mette più di fronte due patrie ma pone in concorrenza

infiniti poteri, salvo che questi vari poteri nelle due Neoguerre precedenti

potevano lavorare per abbreviare il conflitto e indurre alla pace, mentre

questa volta rischiano di prolungare la guerra.

 

L'ex direttore della Cia ha detto mesi fa in una intervista a "Repubblica"

che paradossalmente il nemico da bombardare sarebbero state le banche "off

shore" e forse quelle delle grandi città europee. Pochi giorni prima, a una

trasmissione di Vespa, di fronte a una insinuazione del genere (che però era

indebolita dal fatto di venire non dall'ex direttore della Cia ma da un

no-global), Gustavo Selva ha reagito sdegnato, dicendo che è pazzesco e

criminale pensare che le grandi banche occidentali facciano il gioco dei

terroristi. Non era in grado di concepire la vera natura di una Guerra

Diffusa. Certamente l'aveva concepita qualcuno a Washington, e sappiamo

benissimo che in una prima fase gli Stati Uniti avevano pensato di poter

condurre il conflitto paralizzando il terrorismo nei suoi centri economici.

Ma come fai a combattere distruggendo le tue truppe migliori?

 

Dunque, nella Guerra Diffusa non contano più le forme militari tradizionali

e quelle che potrebbero essere adeguate (i servizi segreti) appaiono

insufficientemente preparati. A questo punto la contraddizione è massima e

massima la confusione sotto il cielo. Da un lato sono cessate tutte le

condizioni per cui si possa condurre una guerra, perché il nemico si è

totalmente mimetizzato, e dall'altro per poter dimostrare che in qualche

modo al nemico si tiene ancora testa, si debbono costruire simulacri di

paleoguerra (per esempio una invasione dell'Irak), che però servono solo a

tenere saldo il fronte interno, e a fare dimenticare ai propri cittadini che

il nemico non è là dove lo si sta bombardando, ma è tra noi.

 

Di fronte a questo smarrimento l'opinione pubblica ha cercato disperatamente

di ritrovare l'immagine di una Paleoguerra possibile, e la metafora è stata

quella della crociata, dello scontro di civiltà, del rinnovato conflitto di

Lepanto tra cristiani e infedeli. Messa così sembra una cosa da fumetto, ma

il successo del libro di Oriana Fallaci ci dice che, se fumetto è, viene

letto da molti adulti. Il fumetto del conflitto tra civiltà è un palliativo

per dominare l'inquietudine che ci fa salire la pressione.

 

Sulla impossibilità della crociata, valga immaginare uno scenario da

fantascienza, calcolando che cosa costi l'equivalente di una nuova crociata.

I crociati cristiani non avevano bisogno del ferro arabo per fare le loro

spade, né i musulmani del ferro cristiano. Oggi invece anche la nostra

tecnologia più avanzata vive sul petrolio, e il petrolio ce l'hanno loro,

almeno per la maggior parte. L'occidente dovrebbe dunque ristrutturare tutta

la sua tecnologia in modo da eliminare il petrolio. Visto che ancora oggi

non siamo riusciti a fare un automobile elettrica che vada a più di ottanta

chilometri all'ora e non impieghi una notte per ricaricarsi, non so quanto

tempo questa riconversione prenderà. E poi non mi stupirei se dei petrolieri

occidentali, pur di continuare a fare profitti, fossero pronti ad accettare

un mondo islamizzato.

 

Ai tempi delle crociate medievali i saraceni stavano da una parte,

oltremare, e i cristiani dall'altra. Oggi invece l'Europa è piena di

islamici, che parlano le nostre lingue e studiano nelle nostre scuole. Se

già oggi alcuni di loro si allineano coi fondamentalisti di casa loro,

immaginiamoci se si avesse il confronto globale. Avremmo (ma in parte l'

abbiamo già) la prima guerra col nemico non solo sistemato in casa ma

assistito dalla mutua.

 

Se il conflitto si radicalizza oltre misura si avrà la caccia al musulmano.

Una sorta di Vespri Siciliani: si prende chiunque abbia i baffi e la

carnagione non chiarissima e lo si sgozza. Ma si tratta ora di ammazzare non

centinai bensì milioni e milioni di persone. Oppure si catturano tutti, come

i giapponesi residenti in America dopo Pearl Harbour, e li si mette. Dove?

Si avrebbe bisogno di spazio, organizzazione, sorveglianza, cibo e cure

mediche insostenibili, senza contare che quei campi sarebbero delle bombe

pronte a esplodere. Oppure li si prende, tutti (e guai se ne resta appena

uno, e bisogna farlo subito, in un colpo solo), li si carica su una flotta

di navi da trasporto e si scaricano. Dove? L'unica soluzione sarebbe quella

degli scafisti, li si buttano a mare. Milioni di cadaveri a galla sul

Mediterraneo. Altro che "desaparecidos", persino Hitler massacrava poco alla

volta e di nascosto. Ma anche in questo caso (fantascientifico) si

creerebbero all'interno dello schieramento occidentale gruppi filoislamici

non per fede ma per opposizione alla guerra, nuove sette che rifiutano la

scelta dell'occidente, ghandiani che incrocerebbero le braccia e si

rifiuterebbero di collaborare coi loro governi, fanatici come quelli di Waco

che inizierebbero a scatenare il terrore per purificare l'occidente

corrotto. Si creerebbero per le strade di Europa cortei di oranti che

attendono disperati e passivi l'Apocalisse. Quanto si identificherebbero

ancora con l'occidente i neri di Harlem, i diseredati del Bronx, i

 "chicanos" della California? Che cosa farebbero i paesi dell'America

Latina, dove molti, senza essere musulmani, hanno elaborato sentimenti di

rancore verso i "gringos", tanto che anche laggiù, dopo la caduta delle due

torri, c'è chi sussurra che i gringos se la sono cercata?

 

Quindi la Guerra Diffusa si presenta come una Fenice capace di risorgere

continuamente dalle proprie ceneri e di riproporre a ogni eventuale (e

impossibile) sconfitta, la sua continua rigenerazione. Continuando con le

previsioni fantascientifiche, si produrrebbe uno scenario che ricorderebbe

(e renderebbe reali) i film di Conan il Barbaro.

 

Rinunciamo allora al fumetto del confronto di civiltà. Abbiamo risolto

qualcosa? No, la Gerra Diffusa c'è già e continua.

 

Ecco in che senso l'11 settembre ha cambiato il mondo e ne ha elevato la

pressione arteriosa. La nostra inquietudine permanente è dovuta al fatto che

tutte le soluzioni possibili sono impossibili, perché erano state pensate e

sperimentate sul modello della Paleoguerra, che non c'è più. Non conosciamo

ancora terapie per questo virus. Per questo siamo inquieti, angosciati da

una malattia che non ha neppure il confortevole vantaggio di annunciarsi

"terminale".

 

 

05.09.2002