28 agosto 2004 – Il Manifesto

 

LA RISPOSTA
Non tutte le reazioni sono uguali, anzi non tutte sono reazioni
RICCARDO BARENGHI
Sono addolorato per la morte di Enzo Baldoni, vittima innocente, come tante migliaia di vittime innocenti, di una guerra «preventiva». Di questa guerra, pur condannando ogni singolo atto di barbarie, occorre non perdere mai di vista le responsabilità politiche e militari originarie, dirette e indirette, che stanno provocando nell'intera area una carneficina senza fine. La gestione del sequestro Baldoni da parte dell'entourage governativo italiano è stata, a mio avviso, irresponsabile. La decisione di palazzo Chigi di rispondere, dopo pochi minuti dall'ultimatum, con un atto di sfida, «noi non ce ne andremo», ha il sapore e il tono di un paese belligerante e non di un paese neutrale in missione umanitaria. Come si fa ad assumere posizioni mediatiche assimilabili alle trattative con il terrorismo interno? C'è una bella differenza tra i sequestri delle Br e quelli in terra irachena. Palazzo Chigi con la sua nota di sfida che io definisco profondamente sbagliata ha deciso di emulare il modo di fare del suo alleato occupante, recando così, a mio parere, un grave pregiudizio alla sorte del sequestrato. Perché il presidente Berlusconi non ha scelto la via del silenzio, della moderazionee del prendere tempo? A ciò si è aggiunto poi lo stesso appello del ministro Frattini che è stato anch'esso, secondo me, improprio e controproducente. Non ci si può presentare alle telecamere di al Jazeera chiedendo la liberazione di Baldoni dopo che il presidente del consiglio, individuato come nemico dai sequestratori, aveva lanciato la sfida del «non ce ne andremo».Bastava l'appello dei figli. Invece no. Ma oramai, lo so, rimangono solo le lacrime per piangere.

Ma rimane anche la rabbia verso coloro che hanno voluto questa guerra preventiva, verso coloro che l'hanno favorita o giustificata con il pretesto del «dittatore» mettendo a repentaglio gli equilibri delicati di quell'area e facendola sprofondare in un oceano di sangue innocente. Mandiamo a casa i politici e quei partiti che pensano di essere ad un tavolo di risiko mettendo in gioco le vite degli altri. Via dall'Iraq subito. La «coalizione democratica» o «centro-sinistra» escano dall'ambiguità. Domenico Ciardulli, via e-mail




Concordo su tutto, analisi, rabbia, indignazione, dolore, posizione politica. Non concordo solo su una cosa, una cosa che non c'è. E che non essendoci non suona solo come un'omissione ma anche come se si trattasse di un'inevitabile conseguenza di tutto il resto. Parlo ovviamente di quel che accade in Iraq dalla parte degli iracheni e o di chi pretende di interpretarne i desideri. Il terrorismo, insomma, in tutte le sue manifestazioni, autobombe, kamikaze, sequestri, teste tagliate, esecuzioni e via inorridendo. Ecco, la mia opinione è che derubricare tutto questo a una semplice, seppur barbarica, reazione alla guerra sia sbagliato e soprattutto comporta il rischio della semplificazione. Semplifico a mia volta per capirci: tutto quel che accade nel mondo povero è colpa del mondo ricco, che depreda, affama, domina, bombarda. Dunque, se il mondo povero reagisce male la colpa è sempre nostra. Conclusione: se noi ci comportassimo in altro modo, scomparirebbero anche le reazioni più mostruose.

Se ce la raccontiamo così, ci rifugiamo in un facile manicheismo che ci impedisce di capire che non tutti i buoni sono buoni e viceversa, ma soprattutto che i cattivi schierati con i buoni rischiano di contaminare la giusta causa, facendole cambiare natura. E che forse in quel mondo esiste una cultura (chiamiamola così) della vita e soprattutto della morte che prima o poi bisognerà affrontare s e non vogliamo sprofondare nel relativismo culturale.

In altre parole, se la liberazione dell'Iraq deve passare attraverso decine centinaia di iracheni fatti saltare in aria da altri iracheni o supposti tali, o decine di stranieri sequestrati e decapitati, io non so quanto questa liberazione sia sul serio una liberazione. Non solo per quel che accadrà dopo in un paese liberato anche grazie al terrorismo il quale farà sentire il suo peso nella gestione politico-religiosa dell'Iraq, ma proprio per il fatto in se stesso.

Parlo ovviamente a titolo strettamente personale, non penso infatti che qui tutti siano d'accordo con quel che sto per dire, ma tra un Iraq liberato a colpi di teste tagliate e un Iraq occupato dagli americani, io scelgo la seconda ipotesi. Obiezione: ma se gli americani non se ne vanno, quelli continueranno a tagliare teste. Controbiezione: e se invece continuassero a tagliarle anche senza gli americani?