Silvio e Letizia, cinguettio nel nulla


Gaffe e banalità nella conferenza stampa del premier e del ministro dell'istruzione
I. VA


Comincia con grande ritardo la conferenza stampa convocata da Letizia Moratti e Silvio Berlusconi per annunciare il varo della riforma della scuola. Una attesa di circa tre ore ma ne è valsa la pena. Entrano in fila indiana e fanno gli indiani: Lei, Lui e una muta ma sempre sorridente Valentina Aprea (di verde pisello vestita per accendersi un po'). Si danno naturalmente del tu - evidentemente devono conoscersi - ma si esibiscono in minuetti tanto galanti quanto poco convincenti del tipo «Accomodati, ministro» oppure «Presidente, comincia tu». E, ahimé, è ciò che accade. Il «presidente di tutti gli italiani» - nonostante lo sforzo evidente di sembrare sereno dopo la burrasca mussoliniana - appare tirato e sbaglia clamorosamente l'esordio: «I ragazzi - afferma senza smentirsi - devono diventare imprenditori di se stessi». Siamo alle solite: ogni volta che vorremmo sentire parlare di scuola spunta fuori l'azienda. E l'italiano - quello che Moratti, di lì a poco, dirà di voler rilanciare - ci perde: «La nostra riforma prevede, tra le tante novità, anche nuove materie, per esempio quella di connettersi con gli altri (il corsivo è nostro)».

Per fortuna che c'è l'inglese. Qui il cavaliere è forte - «Ho fatto molti contratti senza mai sbagliare una clausola» - e in una lingua che più assomiglia all'esperanto dichiara: «Peccato che quando vanno a fare l'inglese (il corsivo è sempre nostro) molti si sfidanzano perché lasciano qui le loro fidanzate». Vale la pena ricordare che siamo a Palazzo Chigi e che a parlare è il presidente del consiglio. No, scusate, di tutti gli italiani. Aprea annuisce estasiata e sempre sorride, ripetendo come a scuola le ultime sillabe del suo presidente. Che di stupirci non finisce: «all'educazione ai valori e ai sentimenti abbiamo puntato con questa riforma e abbiamo fatto bene». Il perché - con buona pace del ministro Sirchia - risulta contorto: «Gli anziani morti questa estate - ci spiega benevolmente il cavaliere - non sono stati uccisi dal caldo ma dalla scuola». Non è una semplice perdita di lucidità ma una - umanamente comprensibile - voglia di parlare di sè, di «connettersi con gli altri»: «Io per esempio, non vado mai a letto senza prima chiamare la mia mamma e la mia mamma vive di queste telefonate». Siamo sempre a palazzo Chigi per parlare di scuola.

Per la cronaca, Aprea continua a sorridere mentre Moratti che del suo trionfo vorrebbe parlare comincia a scolorire. Niente da fare, il premier davanti ai giornalisti si scatena: un toro che vede rosso (non è una metafora) e che contro tutti si scaglia: «Dall'opposizione, solo critiche, insolenze e insulti».

Moratti timidamente ci prova: decreti attuativi, rapporto scuola-famiglie, nuove materie come - piccolo sussulto e impalpabile fremito - l'educazione sessuale. E poi di corsa - per non sembrare troppo impudica - quella stradale, civile e alimentare. Ma è qui che le scappa la parola sbagliata: «storia», dice storia e il presidente non si tiene. «Secondo la sinistra, anch'io dovrei andare a scuola per studiare la storia di Mussolini...». Tranquillo Silvio, l'intervento di Moratti - equilibrato e attento come sempre - mirava solo a rivalutare la storia del medioevo, «quella dei comuni che i nostri ragazzi non conoscono più». Aprea sorride e annuisce ad entrambi. Moratti ci riprova e riparte: personalizzazione dei percorsi, lotta alla dispersione...«Cioè sono quelli che si ritirano da scuola» spiega, interrompendola per l'ennesima volta, il cavaliere. Letizia impallidisce. Aprea cinguetta. Berlusconi lancia strali contro la stampa. E così parte la riforma della scuola.

 

il manifesto - 13 Settembre 2003