L'assedio dei campesinos

 


Si apre tra gli scontri il vertice del Wto a Cancun. Un gruppo di manifestanti riesce a sfondare la rete che protegge il «chilometro zero», la zona rossa che separa il summit dal resto del mondo. La polizia carica il corteo di migliaia di contadini. Drammatica protesta di un manifestante coreano, Lee Yung Hal, che si suicida. Gli amici: «Siamo orgogliosi di lui»


ROBERTO ZANINI
INVIATO A CANCUN (Messico)


Cadono i primi cento metri di rete metallica, la saracinesca alla genovese che blocca la strada, partono i primi lacrimogeni, arriva la prima carica. E' l'inizio degli scontri che culmineranno nella tragedia di un manifestante coreano che ha fatto platealmente «harakiri» accoltellandosi e rimettendoci la vita. Cancun ore tredici, sole a picco, camionette che distribuiscono acqua in buste di plastica, e diecimila, forse quindicimila campesinos che imboccano il Boulevard Kukulcan, la strada che porta alla riunione della Wto. E' il kilometro cero, il chilometro zero di un boulevard che costeggia un paradiso intasato di cemento. Caraibi a destra, laguna a sinistra, albergoni ovunque. Tra le bandiere dell'internazionale contadina in formazione e la cassaforte blindata della Wto passano dieci chilometri, ed è un'eternità. La marcia di Via Campesina è la prima manifestazione del calendario anti-Wto, e non è un caso. E' l'agricoltura il nodo che divide il ventre stesso della Wto, è per i milioni di contadini poco o nulla assistiti del sud del mondo che il cosiddetto G-20 ha imboccato la strada della contestazione aperta, paesi giganteschi come Brasile, India, Cina si mettono di traverso sul cammino della cupola Usa-Ue-industria. Mentre i contadini di Via Campesina e del'Unorca, la sigla internazionale e quella messicana che riuniscono le bandiere dei contadini, si mettono di traverso contro l'inferriata di acciaio e poliziotti che li separa dalla sede del vertice.

Niente accordi, questa volta, la proposta di parlamentare un po', ottenere il passaggio di una delegazione, consegnare umilmente il solito documento che verrebbe accettato con un sorriso, e con un altro sorriso stracciato, viene bocciata e non servono nemmeno ore di discussione. La marcia parte dalla tendopoli fuori dalla zona hotelera di Cancun, preventivamente circondata di poliziotti in motocicletta che bloccano il traffico ben prima che la manifestazione abbia inizio, e punta subito verso il kilometro cero.

Le organizzazioni contadine si sono radicalizzate più di quanto abbia fatto la cosiddetta «società civile», che in Messico esiste pochino e quando esiste tende a mettersi immediatamente in rapporto con il potere. Le organizzazioni non governative che per molto tempo hanno dominato la relazione tra contadini (e lavoratori in genere) e sedi del potere politico sono state letteralmente fatte fuori. Così, d'autorità. La Red mexicana de accion ante libre comercio, la principale ong che gestiva i rapporti tra il campo e il palazzo, è «dentro», partecipante ufficiale della Wto. Sta, quindi, dalla parte fisicamente sbagliata della barricata.

La maggior parte dei contadini in marcia sono messicani. Hanno facce maya e indie in genere, cognomi tronchi come Cob, Puc, Xcaret, che portano con orgoglio dopo il patronimico spagnolo perché, a parte il taglio degli occhi e il misterioso suono di ciascun dialetto, è la sola eredità india che ancora rimane. Per molti, raccontano gli attivisti messicani metropolitani venuti da Città del Messico, è il primo incontro con il paradiso terrestre da cartolina che si chiama Cancun. E vivono lì a due passi, sgobbano su quei campi al confine col mare turchese da una quantità di generazioni, i loro nonni erano là ben prima che il governo messicano decidesse di far piazza pulita delle capanne e dare il via al suo più ambizioso progetto turistico. Non hanno mai messo piede nel «nido dei serpenti», il significato del termine maya Cancun. Molti sono stati rovinati proprio dalla Wto, dal legname del Cile e dell'Indonesia, dal mais americano superassistito per produrre e ancor di più per distruggere le eccedenze, la chiamano concorrenza ma è poco leale.

Il corteo si dispone con ordine, davanti ci sono solo contadini, un selezionato manipolo di anziani per rendere più difficile la reazione dei posti di blocco. Ce ne sono sei, di posti di blocco, lungo il chilometrico boulevard, ognuno in un punto dal nome soave (Playa Tortugas, embarcadero, Playa Las Perlas...) e l'intera area della Wto è a sua volta un unico posto di blocco, interamente recintata d'acciaio, con un ristretto numero di ponti mobili in tubi di ferro a cui le guardie accompagnano con gentilezza inesorabile chiunque tenti di scavalcare. Tutte le organizzazioni non contadine - un certo numero di giovanotti vestiti di nero c'è, da sotto i passamontagna sale uno spagnolo molto messicano - vengono pregati, si fa per dire, di stare dietro il servizio d'ordine, i grandi bidoni usati come tamburi in una quantità di manifestazioni rimangono per forza in seconda fila, il blocco nero è anche fisicamente isolato dal resto del corteo. C'è una rappresentanza del comitato nazionale indigeno, sono quelli del Chiapas, la vera saldatura tra l'Ezln delle montagne del sudest messicano e il movimento anti-globalizzazione. La sinistra politica messicana non c'è nemmeno per sogno, quella civile poco.

Erano state ben terrorizzate, le comunità contadine. Ogni membro della Unorca racconta la stessa musica: arrivava il rappresentante del governo, avvertiva dei gravi rischi che si correvano partecipando alle manifestación di Cancun, avvertiva anche dei gravi danni collaterali per quell'acquedotto che state aspettando, per quel pezzo di strada che da anni sogna l'asfalto, per quel cavo elettrico da un pollice che a ogni elezione sembra che arrivi e dopo ogni elezione sembra che svanisca. Non è bastato a fermare una mobilitazione che gli addetti di cose messicane definiscono storica, e non parlano del numero.

Davanti alle grate del «chilometro zero» si ferma la manifestazione. Una gigantografia del sindaco Juan Ignacio Garcia Zalvidea detto Chacho (il soprannome è scritto più grosso del nome) saluta bonario da un cartellone di trenta metro quadri, «Bienvenidos todos a Cancun», ma quel «todos» non dice proprio tutta la verità. Il gruppo più numeroso dopo i messicani è quello coreano, saranno quattro o cinquecento, portano un coloratissimo feretro che chiamano «il funerale del Wto», e dovrebbe servire ottimamente da ariete: viene bruciato dopo un certo numero di infruttuosi tentativi di abbattere la recinzione, uno dei coreani si pianta un coltello nel petto e finisce sotto le grate, le ambulanze vengono fatte passare giusto prima che la recinzione venga finalmente abbattuta per una decina di metri, poi cinquanta, mentre coreani e messicani e qualche americano cercano di spezzare il cordone di polizia. Volano sassi e lacrimogeni, entrambi in modica quantità (i sassi vengono rilanciati indietro da poliziotti di buon braccio e uno di questi ferisce alla testa il leader di Via Campesina Paul Nicholson), l'assalto è respinto, riprende, è respinto ancora, arrivano gli idranti. Niente da fare, non si passa, gli uomini in divisa hanno l'ordine di tenere la posizione. Intanto, sono passate quasi due ore dell'arrivo del corteo nella zona rossa, e la prima giornata della Wto è segnata dalla notizia che gela il controvertice: dall'ospedale comunicano infatti che Lee Yung Hau, il manifestante coreano sui 50 anni accoltellatosi, è morto. I suoi compagni a botta calda diranno: «Siamo orgogliosi di lui».

In mattinata, invece, alcuni campesinos avevano guadagnato con discrezione la zona del vertice, a piccoli gruppi, estraendo tuniche bianche con scritte anti-Wto e parcheggiandosi nelle poche aiuole non circondate di grate d'acciaio. Il tempo di una ripresa televisiva e dell'arrivo della polizia, poi basta. Il tempo, inoltre, per apprendere che «dentro» l'economista filippino Walden Bello e un'altra settantina di attivisti erano riusciti a contestare l'inaugurazione.

 

 

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10 settembre 2003