1968: l’anno degli
studenti Inizia il
27 novembre 1967 – con l’occupazione del Palazzo Campana – ad
opera degli studenti della facoltà di Legge e di Lettere la
"lunga stagione" della protesta studentesca che si protrarrà per
anni. E che – costretta fin da subito a "difendersi" dalla
persecuzione poliziesca – non riuscirà mai (salvo rarissime occasioni) a
"saldarsi" con la protesta operaia che, proprio in quegli anni
riprende vigore "riscoprendo", tra le altre cose, l’esperienza assembleare (di ispirazione gramsciana)
dei "consigli di fabbrica" e che verrà bollata (perlomeno nelle
fasi iniziali) di "spontaneismo inconcludente" da parte dei
chierici del sindacalismo ufficiale. Il nostro
Paese aveva conosciuto – negli anni ’60 – una rapida espansione della popolazione
studentesca (e universitaria) che era avvenuta, per lo
più, nel contesto di strutture accademiche assai obsolete. Per non dire
inefficienti. E autoritarie. L’opposizione
ai programmi di insegnamento, la richiesta di
democratizzazione degli organismi accademici sommata alla mobilitazione
contro il colpo di stato in Grecia e contro la guerra in Vietnam
costituirono il "leit motiv" della protesta studentesca che, ben
presto, si estese a tutte le Facoltà del Paese. Complice, anche, la miopia
politica dei governanti dell’epoca che – alle richieste studentesche – risposero con, brutale, efficienza. Ci furono scontri tra
studenti e polizia con numerosi arresti, feriti. E
morti. Il 27
dicembre, 1967, infatti, le forze di polizia penetrarono, con la forza, nella
sede universitaria torinese caricando e malmenando gli studenti presenti. La
protesta, però, non si ferma. Al contrario essa acquista maggior vigore
poiché – a fianco degli studenti universitari – cominciano a schierarsi gli
studenti medi. Le prime occupazioni (con relativi, violenti, sgombri)
avvengono già nella primavera del ’68 e si generalizzeranno in tutto il Paese
a partire dal 1969. Alla violenza con la quale le forze di polizia cercano di
arginare la protesta studentesca si dissociano
alcuni Presidi e Rettori. Tra
questi cito i casi del rettore dell’università di Firenze (il prof. Devoto)
che il 30 gennaio 1968 si dimette dall’incarico in segno di solidarietà con
gli studenti e del prof. Mattalia – preside del
liceo "Parini" – di Milano il quale, il 6 marzo 1968, viene sospeso dall’incarico dal
Provveditore agli Studi di Milano. Il
motivo? Si era opposto all’intervento della forza pubblica per far sgomberare
l’ufficio scolastico occupato dagli studenti. Nei giorni successivi il liceo
rientra in possesso dell’autorità scolastica. Con la
forza. Nel corso
dell’anno accaddero anche gravi incidenti tra
lavoratori scioperanti e polizia nell’Italia meridionale. In particolare ad Avola (2 dicembre 1968) e Battipaglia
(9 aprile 1969) [1] dove l’intervento armato della polizia provoca la morte di alcuni braccianti scatenando un’ondata di proteste. Era il
preludio di quanto sarebbe accaduto nel 1969, quando il rinnovo dei contratti
di lavoro scatenò la più massiccia ondata di scioperi che si fosse vista dal
dopoguerra. Fu il cosiddetto "autunno caldo": un ciclo di lotte
condotte dal basso o, meglio, dal sindacalismo di base che rimetteva
in discussione la posizione di primazia a lungo
mantenuta sia dal capitalismo nostrano che dal sindacalismo tradizionale. Numerose
furono le conquiste operaie di quegli anni di lotta che saranno tramutate in
decreti legislativi i cui benefici effetti
riscontriamo ancora oggi. Tra queste cito: ·
l’abolizione della differenziazione
salariale nelle diverse zone del Paese (cd. gabbie salariali); ·
aumento e tutela del
potere d’acquisto della retribuzione attraverso l’introduzione di un
meccanismo di calcolo e di perequazione automatica noto come "scala
mobile"; ·
tutela delle libertà e
delle prerogative sindacali (legge 300/70 o Statuto dei Lavoratori) e la
"devoluzione" alla giurisdizione del Lavoro di tutte le
controversie di lavoro; ·
riforma e trasparenza nel
meccanismo delle assunzioni a tempo indeterminato; ·
tutela della maternità e
della lavoratrice madre (Legge 1204/71) ·
fine del tabù dell’inscindibilità
giuridica del matrimonio: divorzio; ·
possibilità giuridica di
aborto assistito in strutture pubbliche e non più in forma
"illegale", semiclandestina … e a pagamento. [1] L’eccidio
di Avola avviene nel corso
dello sciopero generale dei braccianti che erigono blocchi stradali
all’ingresso della cittadina. Il prefetto di Catania ne ordina
la rimozione con la forza. Risultato: i braccianti Angelo Sigona
e Giuseppe Scibilia sono uccisi a raffiche di
mitra. Numerosi i feriti da arma da fuoco. A Battipaglia, invece, è in corso lo sciopero delle operaie
del locale tabacchificio minacciato di chiusura. Anche qui sono due le vittime delle cariche
poliziesche: il tipografo Carmine Citro di 19 anni
ucciso da un proiettile al capo e l’insegnante Teresa Ricciardi
colpita – in pieno petto – mentre sta seguendo gli scontri
affacciata al balcone della propria abitazione. |
Milano: 19 novembre 1969 Sciopero
generale nazionale per la casa. La polizia attacca operai e attivisti
sindacali al termine di una manifestazione presso il teatro Lirico. Gli
scontri si estendono subito alla vicina Università Statale. Durante una delle
violente cariche della polizia, due gipponi della polizia si scontrano quasi
frontalmente e il conducente di uno dei due mezzi, l’agente
di PS Antonio Annarumma, resta ucciso. Benché la stampa borghese accetti senza riserve la versione
ufficiale secondo cui l’agente sarebbe stato ucciso dai dimostranti, esiste
un film di un giornalista straniero in cui la scena dello scontro è
chiarissima. Ciononostante il prendente Saragat
parla di assassinio e indica nei "rossi' i colpevoli. Il risultato delle cariche dà anche
63 feriti e 19 arrestati. "Alcuni
giorni dopo la morte di Antonio Annarumma
un gruppo di dirigenti della RAI-TV, tra i quali alcuni giornalisti, ha
assistito ad una proiezione privata di un film sugli incidenti di via Larga.
Verso la fine del film appariva questa sequenza: un gippone isolato avanza
contro mano in direzione di Largo Augusto, con le ruote di sinistra in bilico
sul marciapiede. Ridiscendendo sulla strada l'automezzo ha uno sbandamento. Il berretto a visiera cala sugli occhi dell'autista che cerca di
liberarsene scuotendo il capo. In quel momento una jeep gli taglia la
strada. Nello scontro l'autista del gippone viene
proiettato in avanti e sbatte violentemente la testa contro il parabrezza,
poi ricade sul sedile esanime, abbandona il suo capo sulla spalla. (...) La
ferita mortale di Annarumma
è stata prodotte dalla guida di ferro sporgente che si trova al lato
dell'intelaiatura del vetro.Dopo la proiezione
privata nella saletta di via Teulada, questo film è
scomparso. A quanto si sa è stato girato da una équipe che lavorava per conto
dellOffice del la Radio et Television Francaìse. Sono state fatte ricerche negli archivi della ORFT a Parigi ma senza successo. Dove
è finito? Chi lo ha fatto scomparire? (…)". (Da:
AA.VV. - La strage di Stato - ed. Samonà e Savelli, 1971, p. 28). |
Verso il 12 dicembre (…)"Tra
la fine degli anni '50 e i primi anni '60, la geografia politica greca ha
subito una rapida trasformazione. Si è formato un partito conservatore,
l'Ere, che comunque crede nel processo democratico,
Giorgio Papandreu ha dato vita all'Unione di
Centro, mentre si è formato uno schieramento di sinistra denominato Eda,
che raccoglie socialisti e comunisti, anche se quest'ultimi
sono "fuorilegge" dal 1949. Ma le trasformazioni maggiori sono avvenute nella
struttura sociale. L'emigrazione interna ha trasformato Atene in una
metropoli a tutti gli effetti e nelle città greche si è andato formando un
ceto medio che, su posizioni politiche sempre più radicali, vuole una
modernizzazione del paese all'interno di istituzioni
democratiche. Ulteriore conseguenza dell'urbanizzazione è la
scolarizzazione di molti giovani, che accedono per la prima volta nella
storia della Grecia moderna all'istruzione superiore e alla formazione
universitaria e che, affrancati dalla memoria della guerra civile che ha
paralizzato la vita politica della Grecia, sono diventati i protagonisti
della vita pubblica fino al colpo di stato dei militari. Sono
stati infatti proprio gli studenti universitari che
hanno animato, nel '63, le manifestazioni di protesta dopo l'assassinio da
parte della polizia del giovane comunista Gregori Lambrakis. Una mobilitazione che ha portato alla caduta
del governo, a elezioni politiche anticipate e alla
vittoria dell'Unione di Centro di Giorgio Papandreu,
un eterogeneo schieramento politico che raggruppa socialisti, moderati,
liberali. Dall'insediamento
del nuovo governo in poi, i contrasti politici e sociali si sono però radicalizzati: il re Costantino si è espresso più volte
contro il governo, l'intervento della polizia nella
manifestazioni dell'Unione di Centro o dell'Eda è arrogante e
provocatorio. L'esercito è rimasto però in disparte, ma in più di una occasione alcuni ufficiali dichiarano che non
"assisteranno inermi al dilagare del caos e dell'anarchia". Inoltre,
la scena politica greca è in tumulto. Alla richiesta del governo di rimuovere
il ministero della difesa nazionale e il capo di stato maggiore
dell'esercito, il re oppone il suo rifiuto e convoca nuove elezioni, mentre
le piazze di Atene, Salonicco e delle altre città
diventano il teatro di manifestazioni e di ripetuti scontri tra studenti e
forze di polizia. L'Unione di Centro si spacca, Papandreu
perde la maggioranza parlamentare e vengono indette
nuove elezioni. Re
Costantino dichiara che la Costituzione deve essere modificata per rafforzare
il potere dell'esecutivo e subordinare le libertà civili e politiche alla
pace sociale. Nel marzo del '67, a un mese dal colpo
di stato, il quotidiano Etnos diretto dal
figlio di Giorgio Papandreu, Andreas,
esce con il titolo: "Noi scateneremo la rivoluzione se tenteranno di
violare la Costituzione", mentre il più moderato Ta
Nea scrive che "Se il re sceglie il colpo di stato, l'unica
soluzione è la rivoluzione". È in
questo clima che il 21 Aprile del '67 viene attuato
il colpo di stato da Giorgio Papadopoulos, Stylianos Pattakos e Nikola Makarezos. I tre
militari dichiarano la loro fedeltà alla corona, annunciano che i capi dei
maggiori partiti sono agli arresti domiciliari e che nel paese il putsch è
stato incruento. Tuttavia, migliaia di persone sono deportate nelle isole di Yaros e Leros, compresi
moltissimi intellettuali, tra cui il famoso compositore Mikis
Theodorakis. Nel
frattempo sono state abolite tutte le riforme del governo Papandreu,
sospesa la libertà di stampa e le libertà politiche. "Vogliamo salvare
la Grecia dei greci cristiani" è lo slogan della giunta militare che,
come prime misure amministrative, vieta i capelli lunghi per gli uomini e i
pantaloni per le donne, impone il greco antico nei documenti pubblici. Gran
parte dei paesi europei, però, condannano il golpe
e, dopo mesi di audizioni in cui vengono denunciate le torture e la
sistematica violazione dei più elementari diritti umani nei confronti degli
oppositori del regime, il 31 gennaio 1968, viene avanzata una clamorosa
richiesta: l’espulsione della Grecia dal Consiglio europeo in caso di mancato
rispetto delle più elementari norme di convivenza civile e democratica. Gli USA, invece, riconoscono il regime dei colonnelli. E’ in
questo clima che Alexandros Panagulis
organizza l'attentato contro Papadopoulos.
Nonostante il fallimento, l'attentato si trasforma in un atto d'accusa contro
la giunta militare che ha una eco internazionale.
Durante il processo, Panagulis denuncia l'uso
sistematico della tortura e il coinvolgimento della Nato
nel colpo di stato. Il giovane greco sarà condannato a morte [1], ma la
condanna non sarà mai eseguita e Panagulis espulso
dal paese per le pressioni internazionali che chiedono
il suo rilascio. La eco del processo e l'isolamento internazionale della
Grecia sono considerati da re Costantino l'occasione per ritornare a far
pesare la corona nella vita pubblica. Emarginato dopo il colpo di stato,
Costantino ha però appoggiato la giunta militare su forti pressioni
dell'ambasciata americana. Ma nei mesi successivi ha
cercato di organizzare un pronunciamento dei militari contro la giunta di Papadopoulos, Pattakos e Makarezos. Non ci sarà nessun pronunciamento, solo una
dichiarazione pubblica di Costantino contro la giunta e la sua fuga dalla Grecia, il 13 dicembre del 1968. I
militari sono così rimasti i padroni del campo. Il voto al referendum-farsa
nel settembre 1968, indetto per approvare la nuova Costituzione si trasforma
in un plebiscito a loro favore. (…)"Nell’aprile
1968 una quarantina di giovani fascisti italiani compie un viaggio in Grecia.
Il viaggio è promosso dall’ESESI (…)" [3] Nell’estate
del 1969 alcuni giornali stranieri (tra i quali l’Observer)
pubblicano la notizia che ufficiali delle forze armate italiane si sono
riuniti clandestinamente in diverse sedi per "esaminare la situazione
politica italiana". L’Unità rende noto un documento approvato in una di
queste riunioni in cui si dice tra l’altro: (…)"si deve pensare all’eventualità
che le forze armate debbano entrare in azione per difendere le libertà
democratiche e la Costituzione (..)".[4] Secondo Marco Fini e Andrea Barberi [5] nell’autunno del
1969 ci furono "riunioni molto importanti" negli ambienti della
destra finalizzati alla preparazione di "qualcosa di grosso"
programmato per il 19 novembre o, in subordine, per il giorno della
definitiva cacciata della Grecia dal Consiglio d’Europa (che il regime dei
colonnelli riuscirà ad evitare in extremis solo mediante la formulazione di
rabbiose dimissioni). Ovvero per il 12 dicembre 1969. [1]
contro questa sentenza si svolgono – il 19 novembre
1968 – imponenti manifestazioni di protesta in quasi tutte le principali
città italiane organizzate dai comitati antifascisti. La più imponente è quella
che si svolge a Roma, davanti all’ambasciata greca. Nel corso della
manifestazione la polizia aggredisce con violenza i manifestanti. Il bilancio
finale è di una ventina di feriti tra i quali un giornalista ed un
parlamentare del PCI. [2] cfr. http://www.media68.com/ita/grecia/grecia.htm [3] cfr. AAVV – La strage di Stato – Savelli Editore, 1971, pag. 137 [4]
ibidem, pag. 49 [5] cfr. Valpreda: processo al
processo – Feltrinelli Editore, Milano, 1971, pag.
138 e seguenti |