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(Episodi di violazione di diritti umani da parte di soldati americani in Iraq - n. 2-01095)
PRESIDENTE. L'onorevole Pisa ha facoltà di
SILVANA PISA. Signor Presidente, si
tratta di un fatto assolutamente noto. Panorama, una trasmissione della
televisione tedesca, ha trasmesso alcuni video che mostrano soldati americani
che sparano su feriti iracheni ed esultano dopo averli colpiti. I filmati
riguardano due episodi differenti. Il primo video è stato ripreso il 1o
dicembre scorso a nord di Baghdad e mostra tre persone che si
incontrano di notte e vengono ritenute un obiettivo: alcune vengono
uccise ed una gravemente ferita. Il soggetto ferito si contorce al suolo mentre
un soldato domanda se deve sparare ancora sul ferito. La risposta arriva via
radio e la voce dice «Hit him!», cioè
«Colpiscilo!». Subito dopo viene sparata una raffica
sul ferito: in tutto quasi cento colpi.
Il secondo episodio è stato ripreso da una telecamera della CNN l'8 aprile
2003: alcuni marines sparano durante una
perquisizione di una zona industriale vicino a Baghdad
su un iracheno già ferito gravemente. Dopo si sente l'esultanza dei soldati
americani.
Anche in questo caso molti indizi rimandano a
violazioni del diritto internazionale. La Convenzione di Ginevra vieta infatti di sparare su feriti incapaci di combattere sia in
guerra, sia in una situazione di occupazione.
In base al quadro generale del diritto internazionale umanitario le parti
coinvolte in un conflitto armato internazionale sono tenute a rispettare
integralmente le disposizioni del diritto internazionale umanitario conosciute
anche come «leggi di guerra». Il diritto internazionale umanitario è il
risultato dello sforzo della comunità degli Stati di
sottoporre anche un evento violento e drammatico come la guerra ad alcune
limitazioni. Rappresenta anche lo sforzo di mantenere, pur all'interno della
logica del conflitto, alcune regole. In sostanza, è il corpo di regole e
principi che cercano di proteggere quelli che non partecipano alle ostilità,
inclusi i combattenti feriti o catturati, ponendo dei limiti per quanto
concerne i mezzi ed i metodi della conduzione delle operazioni militari.
I principali strumenti del diritto internazionale -
non dovrei ricordarlo in questa sede - sono le quattro Convenzioni di Ginevra
del 1949 ed i due protocolli aggiuntivi che vincolano tutti gli Stati, a
prescindere dalla ratifica delle Convenzioni.
L'Iraq, dal punto di vista del diritto internazionale, è un paese occupato.
Tale dato di fatto è stato riconosciuto, innanzitutto, dai Governi di Stati
Uniti e Gran Bretagna in una lettera al Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dell'8 maggio 2003 nell'ambito degli
scambi precedenti l'emanazione delle risoluzioni da parte dell'ONU.
In seguito a tale lettera, il Consiglio di sicurezza richiama, con la
risoluzione n. 1483, le responsabilità e gli obblighi, stabiliti dal diritto
internazionale, di tali Stati in quanto potenze
occupanti.
Lo stesso Consiglio di sicurezza chiede alle potenze occupanti, in primo luogo,
di promuovere il benessere degli iracheni, in particolare ristabilendo le
condizioni di sicurezza. In secondo luogo, il rispetto della
legalità internazionale, in particolare delle Convenzioni di Ginevra e dei
Regolamenti de L'Aja. In
terzo luogo, di farsi carico del benessere della popolazione soggetta
all'occupazione; al riguardo: la potenza occupante ha il dovere di assicurare,
nella piena misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con
viveri e medicinali; in particolare dovrà importare viveri e medicinali ed
altri articoli indispensabili, qualora le risorse del territorio occupato
fossero insufficienti (tutte cose che, invece, non avvengono). In quarto
luogo, di custodire i beni e le ricchezze del paese occupato; al riguardo le potenze occupanti non possono, per esempio, modificare la
legislazione nazionale, alterare la struttura amministrativa e giuridica
(invece abbiamo visto che sono state fatte epurazioni a man bassa) dello Stato
iracheno e alienare proprietà dello Stato, che dovrebbero essere solo
amministrate. In quinto luogo, di considerare coloro che si oppongono
all'occupazione come combattenti e riservare loro il trattamento conseguente,
compreso quello relativo ai prigionieri di guerra.
Nella Risoluzione n. 1483, tra l'altro, vi è un esplicito richiamo - anche se
non viene formalmente menzionata l'Italia - ai paesi
che, come l'Italia, pur non avendo fatto la guerra, concorrono, con le medesime
responsabilità, sotto il comando di quella che la risoluzione definisce
l'Autorità (cioè il Governo provvisorio), all'amministrazione militare e civile
provvisoria messa in campo dagli Stati Uniti d'America. L'Italia, quindi, è
paese sottoposto alle potenze occupanti, partecipe dell'autorità amministrativa
con propri rappresentanti. Ciò significa la corresponsabilità
italiana nelle decisioni della CPA stessa, compresi i recenti decreti di
limitazione della libertà di stampa e la decisione illegittima di dare il via
alla privatizzazione delle aziende pubbliche irachene. Pertanto, oltre
all'illegittimità ab origine, a nostro
avviso, (in realtà anche secondo il diritto internazionale) della guerra in
Iraq, vi sono massicce e continue violazioni delle leggi di guerra e delle
Convenzioni di Ginevra.
L'episodio che ho raccontato è solo uno degli ultimi di una serie di crimini
commessi dalle truppe di occupazione americane, come
denunciato da diverse organizzazioni umanitarie: fuoco sulla popolazione
civile, in particolare l'uccisione di 50 contadini a Hilla,
denunciata da un funzionario della Croce Rossa Internazionale; l'uso di armi
indiscriminate come le bombe a grappolo, denunciato da Amnesty
International e Human Rights Watch; le pallottole
impazzite del posto di blocco a Najaf. Tali episodi
non hanno sollevato, da parte del Governo italiano, alcuna obiezione
critica, giudizio negativo o preoccupazione umanitaria. Le truppe di occupazione (non i nostri soldati) hanno tenuto, nei
confronti della popolazione civile irachena, un atteggiamento incurante dei
diritti fondamentali della gente, a partire dal diritto primario alla vita e
alla sopravvivenza. Siamo di fronte ad una guerra, che è stata illegittima ed
illegale, e quindi, di conseguenza, ad un dopoguerra (che è un eufemismo
chiamare tale) che ha tutte le caratteristiche della guerra stessa: illegalità
e illegittimità dal punto di vista del diritto internazionale.
La situazione umanitaria in Iraq oggi è a livelli bassissimi, sia nella
gestione ordinaria e amministrativa, sia per quanto riguarda il rispetto dei
diritti umani. Diciamo, inoltre, che essa è fuori dagli
standard minimi del diritto internazionale. Da molti mesi la maggior parte
della popolazione è senza alcun lavoro e di conseguenza senza stipendio.
L'energia elettrica non è stata ancora ripristinata e pertanto manca anche l'acqua.
La gran parte della popolazione dipende ancora, per la
propria sopravvivenza, dalle razioni alimentari distribuite, fino a
novembre, dal programma Oil for Food dell'ONU
(pagate con il petrolio iracheno). A questa precaria situazione, si è aggiunta
una situazione grave dal punto di vista della sicurezza: saccheggi, furti,
rapine che si susseguono come conseguenze della povertà.
Secondo Amnesty International,
le condizioni di detenzione in Iraq, nel campo dell'aeroporto di Baghdad e
nella prigione di Abu Ghraib comprendono trattamenti e punizioni crudeli e
inumane bandite dal diritto internazionale. Secondo Human
Rights Watch, gli abitanti
di Baghdad lamentano comportamenti aggressivi, abusi fisici e furti durante le
perquisizioni e i soldati americani sono stati visti mettere i piedi sulla
testa dei prigionieri. Amnesty International
e Human Rights Watch hanno denunciato le violazioni commesse non solo
dagli americani, ma anche dalla resistenza, con gli attacchi ai civili
considerati collaborazionisti.
Nell'interpellanza in esame si chiede al ministro interpellato se confermi le
notizie relative agli episodi esposti all'inizio del
mio intervento, quali passi abbia compiuto o intenda compiere per manifestare
lo sdegno del nostro paese e se non ritenga che episodi di simile efferatezza
non configurino crimini di guerra contro l'umanità, tali da richiedere il
ricorso al tribunale penale internazionale, affinché venga aperta un'inchiesta
sulla ripetuta violazione dei diritti umani da parte delle forze di occupazione
anglo-americane in Iraq.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per
gli affari esteri, onorevole Boniver, ha facoltà di
rispondere.
MARGHERITA BONIVER, Sottosegretario
di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, come il Governo
ha avuto modo di sottolineare più volte in quest'aula, il nostro impegno in Iraq è legato alla ferma
volontà di dare un contributo per la nascita di un paese libero e democratico,
attraverso il ripristino della piena sovranità, affidata ad istituzioni
rappresentative.
In questa prospettiva, siamo sempre stati convinti della centralità di quell'azione umanitaria che ci ha visto coinvolti fin
dall'inizio. Essa rimane necessaria per una popolazione particolarmente provata
da oltre 20 anni di spietata dittatura, nell'ambito di un processo di
ricostruzione del paese che, pur non potendo ancora
prescindere, in questa fase delicata di transizione, dalla presenza delle forze
militari internazionali, è finalizzato ad un futuro ordinato al trasferimento
di poteri al popolo iracheno.
Per queste ragioni, non abbiamo mai trascurato alcun aspetto umanitario, legato
alla nostra presenza in Iraq, nonostante le insidie e la volontà distruttiva,
provenienti da forze estremiste e terroriste che cercano di far cadere in una
situazione di caos il paese, bloccando il processo in atto di ritorno alla
normalità attraverso la creazione di un quadro politico istituzionale
democratico, nonché il ripristino dello sviluppo
socioeconomico dell'Iraq.
La nostra presenza a Nassirya ed i risultati che,
anche a costo purtroppo di un elevatissimo tributo di sangue, abbiamo ottenuto, sono la testimonianza significativa
dell'importanza della nostra azione umanitaria di stabilizzazione e di
ricostruzione.
Anche le forze anglo-americane e degli altri membri della coalizione
sono impegnate in questa difficile, ma essenziale azione, dovendo garantire il
rafforzamento della sicurezza del paese fronteggiando quotidianamente rischi
elevatissimi.
Tenendo conto di questa situazione di continua minaccia, non sembra agevole
poter giudicare, in tutte le loro implicazioni, gli episodi
oggetto dell'interpellanza. Si tratta, infatti, di singole sequenze,
tratte da azioni di cui sfugge inevitabilmente il quadro di insieme.
Da parte nostra, si conferma l'assoluto rispetto delle disposizioni della III e
della IV Convenzione di Ginevra, sul diritto
umanitario bellico, che abbiamo sottoscritto. A tale riguardo, voglio sottolineare con forza che tale rispetto deriva dal convinto
sostegno che l'Italia ha sempre dato allo sviluppo ed all'applicazione del
diritto internazionale umanitario; esso è inoltre rispecchiato concretamente
nello spirito che ha guidato la nostra partecipazione alle missioni militari
internazionali in tutti questi anni.
PRESIDENTE. L'onorevole Pisa, cofirmataria
dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
SILVANA PISA. Signor Presidente, sono
insoddisfatta della risposta fornita dal Governo, perché mi sembra
non sia stato tenuto presente un dato: quello iracheno è un contesto di guerra
durissimo, nei confronti del quale non si può esprimere un giudizio diverso da
quello che manifestiamo.
La nostra responsabilità è nel non opporci alla illegalità
della presenza militare in Iraq e la nostra corresponsabilità è nell'accettare
di cooperare in un contesto di quel tipo, che è contesto di guerra camuffato da
missione umanitaria.
Credo che la responsabilità politica di questa maggioranza sia ancora maggiore
perché non si assume nessuna iniziativa politica di
impulso e di pressione affinché gli Stati Uniti riconsiderino la situazione e
riconducano le loro azioni nell'alveo della legalità.
Non si può ritenere che le situazioni che denunciamo non si possano giudicare in quanto estrapolate dal contesto, in quanto si tratta di
situazioni di una gravità lampante, sulle quali mi sarei aspettata un giudizio
negativo da parte del sottosegretario.
Tra l'altro, non tutto ciò che avviene in Iraq è da ascrivere al terrorismo;
infatti, sotto il profilo del diritto internazionale, la resistenza è legittima.
Trattandosi di una situazione di occupazione militare,
la resistenza armata è da considerarsi legittima; è vero, c'è anche il
terrorismo, che ha quali obiettivi soprattutto i civili, tuttavia vi è anche
una resistenza, che è riconosciuta come legittima proprio dalla Convenzione di
Ginevra. La Convenzione di Ginevra riconosce «i conflitti armati nei quali i
popoli lottano contro l'occupazione straniera nell'esercizio del diritto dei
popoli di disporre di se stessi».
Dunque, occorre distinguere tra gli atti ammessi dalla Convenzione, che
riconosce la possibilità di resistere, e gli atti di terrorismo vero e proprio.
La stessa Convenzione, peraltro, vieta a tutte le forze in
conflitto, quindi anche alle forze della resistenza, l'uso delle azioni di
terrorismo e gli attacchi ai civili non combattenti.
Il nostro paese ha sottoscritto tutti i trattati internazionali riguardanti il diritto internazionale umanitario; abbiamo
anche ratificato, con la legge n. 210 del 1995, la risoluzione dell'ONU contro
i mercenari, mentre sappiamo che i nostri soldati devono operare accanto a
truppe mercenarie (sono trentamila i mercenari americani, non uno o due).
Tutta questa materia va rivista, dunque chiediamo al Governo di intraprendere un'iniziativa
diplomatica in sede internazionale tesa all'istituzione di una commissione di indagine per stabilire le responsabilità a tutti i
livelli per gli episodi in questione, nonché di impartire precise disposizioni
al nostro contingente - che non si è mai macchiato di nulla e sul quale non
posso che esprimere un giudizio positivo - affinché questo non sia coinvolto in
azioni di guerra che prevedano la violazione dei trattati e delle convenzioni
sottoscritti dall'Italia.
Ritengo che il silenzio del Governo su tutto ciò sia oltremodo grave e, per
tale motivo, mi ritengo insoddisfatta.