Cristina Contri - 02-10-2004
Durante i tre giorni del festival della filosofia, tra una lezione di un filosofo ed un’altra, ho distribuito i volantini con i quali il Comitato Provinciale Scuola Pubblica ricorda i punti cruciali della politica scolastica del Ministro Moratti e annuncia un autunno di fermento.
Mentre avvicinavo questi fogli alle mani delle persone incontravo i loro sguardi e vi intuivo alcune domande, perplessità. Due di questi dubbi si sono tradotti in parole, e hanno continuato ad abitare i miei pensieri durante tutta la durata del festival.
La prima domanda: c’è una guerra, il terrorismo, i sequestri… e noi stiamo qui ad occuparci delle piccole cose di casa nostra, della riforma della scuola italiana?
La seconda è questa: certo che bisogna essere ottimisti per fare quello che fate. Come potete pensare di ottenere ancora qualcosa? Ormai la riforma è arrivata nelle scuole, o no?
La risposta alla prima perplessità è venuta proprio dai filosofi....
Io da questi filosofi che ho ascoltato, ho capito che possiamo parlare di mondo solo come uno spazio e un tempo che è condiviso, il mondo insomma è un luogo comune. Per ragionare sul mondo bisogna fare i conti con l’altro da me: convivenza, comunità, abbraccio, partecipazione, relazione; queste le parole che ritornavano nel cercare i modi possibili di stare al mondo, di starci possibilmente tutti, e di starci in un modo che possa essere sopportabile per tutti.
Allora ho capito che la riforma della Moratti è proprio dentro a questo tema, ma lontano da quello che hanno detto tutti i filosofi. Nella riforma della scuola italiana infatti si pensa in termini individuali, la personalizzazione, che è il pensiero cardine di tutto l’impianto morattiano, si traduce nell’idea che chi ti sta intorno è un potenziale nemico. E come possiamo educare al mondo come luogo e tempo comune se la nostra scuola ha questi presupposti?
Mi sono quindi convinta che il movimento contro la scuola della Moratti deve essere a fianco di tutti i movimenti che chiedono la pace, ci deve essere perché pensare alla pace significa progettare una scuola capace di pensare al mondo come ad un posto che è di tutti; capace di pensare che la persona che hai di fianco non è necessariamente un tuo nemico.
La seconda domanda era legata all’idea che tanto ormai….
Certo, ci vuole davvero dell’ottimismo. Per chi, come molti di noi, si occupa di educazione, l’ottimismo è condizione indispensabile. Perché educare ha a che fare con il futuro, e non potremmo occuparci di futuro se non avessimo speranza. Siamo ottimisti, e questa speranza di poter in qualche modo incidere sulla storia è un progetto politico. È politica lo sforzo che facciamo per non abituarci alla riforma della Moratti, perché la riforma non c’è, e la Moratti tenta di passarla liscia proprio giocando sul fatto che tutti pensano che la riforma ci sia, e si sono già assuefatti a questa scuola. Una scuola che per ora ci è stata solo raccontata alla televisione, negli spot e negli opuscoli. È politica avere il coraggio di pensare che non tutto è già stato fatto. E allora forse ci vuole del coraggio a manifestare ancora. Sì, ci vuole del coraggio ad andare in piazza a Modena, il 2 ottobre, alla manifestazione contro la scuola della Moratti, e noi questo coraggio ce lo abbiamo!
Mentre avvicinavo questi fogli alle mani delle persone incontravo i loro sguardi e vi intuivo alcune domande, perplessità. Due di questi dubbi si sono tradotti in parole, e hanno continuato ad abitare i miei pensieri durante tutta la durata del festival.
La prima domanda: c’è una guerra, il terrorismo, i sequestri… e noi stiamo qui ad occuparci delle piccole cose di casa nostra, della riforma della scuola italiana?
La seconda è questa: certo che bisogna essere ottimisti per fare quello che fate. Come potete pensare di ottenere ancora qualcosa? Ormai la riforma è arrivata nelle scuole, o no?
La risposta alla prima perplessità è venuta proprio dai filosofi....
Io da questi filosofi che ho ascoltato, ho capito che possiamo parlare di mondo solo come uno spazio e un tempo che è condiviso, il mondo insomma è un luogo comune. Per ragionare sul mondo bisogna fare i conti con l’altro da me: convivenza, comunità, abbraccio, partecipazione, relazione; queste le parole che ritornavano nel cercare i modi possibili di stare al mondo, di starci possibilmente tutti, e di starci in un modo che possa essere sopportabile per tutti.
Allora ho capito che la riforma della Moratti è proprio dentro a questo tema, ma lontano da quello che hanno detto tutti i filosofi. Nella riforma della scuola italiana infatti si pensa in termini individuali, la personalizzazione, che è il pensiero cardine di tutto l’impianto morattiano, si traduce nell’idea che chi ti sta intorno è un potenziale nemico. E come possiamo educare al mondo come luogo e tempo comune se la nostra scuola ha questi presupposti?
Mi sono quindi convinta che il movimento contro la scuola della Moratti deve essere a fianco di tutti i movimenti che chiedono la pace, ci deve essere perché pensare alla pace significa progettare una scuola capace di pensare al mondo come ad un posto che è di tutti; capace di pensare che la persona che hai di fianco non è necessariamente un tuo nemico.
La seconda domanda era legata all’idea che tanto ormai….
Certo, ci vuole davvero dell’ottimismo. Per chi, come molti di noi, si occupa di educazione, l’ottimismo è condizione indispensabile. Perché educare ha a che fare con il futuro, e non potremmo occuparci di futuro se non avessimo speranza. Siamo ottimisti, e questa speranza di poter in qualche modo incidere sulla storia è un progetto politico. È politica lo sforzo che facciamo per non abituarci alla riforma della Moratti, perché la riforma non c’è, e la Moratti tenta di passarla liscia proprio giocando sul fatto che tutti pensano che la riforma ci sia, e si sono già assuefatti a questa scuola. Una scuola che per ora ci è stata solo raccontata alla televisione, negli spot e negli opuscoli. È politica avere il coraggio di pensare che non tutto è già stato fatto. E allora forse ci vuole del coraggio a manifestare ancora. Sì, ci vuole del coraggio ad andare in piazza a Modena, il 2 ottobre, alla manifestazione contro la scuola della Moratti, e noi questo coraggio ce lo abbiamo!
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