Laura - anno scolastico 2004-2005
Laura Tussi - 24-08-2005
Dall'approccio assimilazionista, alla ghettizzazione,all'utopia dell'integrazione

Elaborato dell'intervento di Luisa Riva (Docente di storia e filosofia -Liceo scientifico L. Cremona- Milano) presso l'UCIIM di Milano

Le pluralità della contemporaneità.

Il costituirsi stesso delle società come entità organizzate trae origine e giustificazione nel tentativo di realizzare una qualche unità rispetto alla contemporanea presenza costitutiva di molte persone e alle diverse collocazioni e funzioni di ciascuna di esse.
La contemporaneità vive però il suo essere pluralistica come un fatto sostanzialmente nuovo e come un problema pieno di rilevanti conseguenze.
Si possono abbozzare dei cenni relativi al fenomeno migratorio attuale risalendo in Europa al periodo fra la fine del XIX sec. e l'inizio del XX che fu caratterizzato da una fase di forte incremento demografico che trovò sfogo nell'emigrazione verso altri continenti, più di 60 milioni di persone emigrarono, apportando in questo modo flussi di uomini e di idee con la mobilità etnico-sociale degli ultimi decenni fondata sui bisogni primari di sussistenza, sopravvivenza alla fame, alla tutela dei diritti umani. L'interdipendenza dei mercati portò alla diffusione di merci e di beni, condusse alla pervasività di informazioni solo apparentemente omogenee, da un lato spingendo a condivisioni sempre più ampie e generali, ma dall'altro esse si sovrappongono senza piani preordinati ad antiche e tenaci differenziazioni generando nuove tensioni, particolarismi e lacerazioni. I processi educativi sono costretti a riflettere sulla loro natura dinamica mentre si riflette sulla riformulazione delle identità.
Parlando di diversità e di presenza dello straniero in una terra con strutture, condizioni e tradizioni consolidate, si possono formulare e si può tentare di spiegare diversi termini e definizioni come l'accezione di multiculturalità come fatto sociale statisticamente rilevabile, che implica il convenire, entro i confini di un medesimo spazio geopolitico, di differenti etnie o comunità o singoli individui provenienti da culture antropologiche differenti.
Il concetto ha dunque carattere di indicatore sociologico.
Toccando invece gli argomenti relativi alla transculturalità e all' interculturalità, si fa riferimento a due diverse strategie regolative della complessità esibita dalle situazioni multiculturali. L'una si propone di rimuoverla col sottolineare quelle costanti antropologiche che attraversano le culture, l'altra si rapporta alla complessità multiculturale tentando piuttosto di valorizzarne la dinamica complessità disequilibrante delle identità individuali e collettive costituite, aspirando a nuove possibili sintesi, continuamente riaperte, di umanità e cultura.
Una definizione possibile di interculturalità potrebbe essere questa:
"La messa a punto di nuove strategie educative e socializzatrici capaci di rendere le nuove generazioni ( e non solo loro!) atte a trarre profitto dalla situazione multiculturale, capaci di instaurare un clima propizio all'interpenetrazione di tutte queste culture, senza cancellare l'identità specifica di ciascuna"
Laura Tussi - 19-08-2005
Con questo termine lo psicologo indica la realtà che comprende i processi mentali non definibili logici, razionali e creativi, pur essendo prodotti dall'attività psichica dell'uomo. Esistono forme di pensiero in cui sono imperfetti gli strumenti logici quali il pensiero infantile con strumenti logici non sviluppati, il pensiero primitivo sviluppatosi in altri contesti socio-culturali, il pensiero quotidiano.
Laura Tussi - 18-08-2005
Ritmi e rituali nello sviluppo

Elaborato di ricerca relativo a tematiche psicopedagogiche curate dagli autori citati in itinere

L'obiettivo di tale ricerca è dimostrare l'importanza del ritmo e della ritualizzazione nella vita infantile, sostenendo l'ipotesi della linea di sviluppo che parte dai ritmi comportamentali che il neonato manifesta fin dai primi giorni di vita, si sviluppa nella ritmicità che caratterizza i primi rapporti tra madre e bambino, per consolidarsi nell'importanza delle ritualizzazioni nella vita infantile e familiare.
Negli anni 60 e 70 emerge il modello di neonato non passivo. Il bambino è un essere autoorganizzantesi, con potenzialità innate, capace di influire sul mondo circostante con il proprio comportamento. Le attività spontanee del neonato presentano particolari organizzazioni temporali e ritmiche. Questa ritmicità permette al bambino di esercitare controllo sul mondo e dare ordine al proprio agire. Questo favorisce l'interazione tra neonato e genitore, rendendo i comportamenti infantili più prevedili e facilitando la soddisfazione dei bisogni.
Laura Tussi - 19-07-2005
Il disagio esistenziale e il senso di impotenza.

Il valore dell'attribuzione di senso e significato al mondo


I ragazzi difficili presentano limiti all'attività intenzionale di attribuzione di senso e significato al mondo e alla realtà nel pensare la propria collocazione rispetto agli altri. Questi limiti dell'intenzionalità provocano nel ragazzo un'idea di impotenza di sé di fronte al mondo e di nullità. Questo tipo di percezione è caratterizzata da un "eccesso di mondo" o da un "eccesso dell'io". Il mondo continua a sfuggire ad un fittizio potere sulla realtà, nonostante un io che si considera onnipotente, causando una frustrazione assidua del sentimento di onnipotenza e suscitando la sensazione di un baratro, di un vuoto, un'angoscia incolmabile rispetto ai ripetuti tentativi di fagogitazione universale votati all'insoddisfazione. Nei ragazzi difficili si percepisce un senso di avvilimento, di rinuncia e di fatalismo che caratterizza la loro esistenza. Anche gli atteggiamenti provocatori, spavaldi, rivendicativi rispetto al proprio modo di vivere manifestano, ad uno sguardo entropatico, un acuto senso di insoddisfazione che scaturisce dalla sostanziale incapacità di attribuire un senso alla propria vita. Occorre ripensare la percezione del ragazzo difficile che manifesta questa onnipresente sensazione di nullità del sé. Il ragazzo a disagio in difficoltà non è una persona appagata e soddisfatta del suo comportamento antisociale, ma si rivela alla ricerca di un modo per non sentirsi completamente e definitivamente oppresso dal senso di impotenza. Dunque il comportamento irregolare e "difficile" pare essere il risultato di una visione della realtà focalizzata su una modalità distorta di considerare e percepire la correlazione tra l'io e il mondo, producendo così un senso di nullità del sé che comporta una finalità sostanziale della rieducazione, ossia la costruzione di un ottimismo esistenziale.
Laura Tussi - 11-07-2005
La perdita del territorio e l'alienazione del soggetto. La didattica del giardino-territorio: mediatore di relazioni tra individui.

La rivoluzione industriale annulla la distanza tra città e campagna, avviando la perdita, la scomparsa del paesaggio naturale, fisico, e, di conseguenza, l'annientamento del valore autentico del giardino e della capacità stessa di leggerne i segni, i simboli, i richiami, le metafore, le allegorie, le alchimie...
Il '900 annulla il giardino e lo ricrea a suo modo, delineando un lavoro sul paesaggio antropico, costruito dall'artificio, per cui, attualmente, non risulta ormai possibile collegare il giardino con l'arte del paesaggio, vedendolo come disse Benjamin, chiuso come una stanza ed aperto come il mondo, nell'epoca della riproduzione tecnica su larga scala, ricostruendo e vagheggiando in esso la formalità dell'armonia, della bellezza, poiché non ispira più come corpo vivente inserito nel tessuto territoriale, ma risulta meramente una struttura formale, disancorata, avulsa dal contesto ambientale originario, non costituisce ormai un punto di ricognizione peculiare relativo alle problematiche della territorialità. Esistono collegamenti, nessi, rapporti stretti, relazioni tra i giardini dei morti, dell'Ade, dell'oltretomba, come ambienti d'oasi, di rimembranza nel richiamo profondo con l'arte totale di costruire il territorio e suscitare, ripristinare la celeste corrispondenza d'amorosi sensi, con i trapassati nell'ultraterreno, così considerando il sogno della terra e del paesaggio in tutte le sue forme ed i suoi percorsi, si mantiene il riferimento tra cultura materiale e spirituale, con il grande immaginario archetipico, senza disarticolare il giardino dall'idea ancestrale originaria di matrice, come moltiplicazione all'infinito dell'immaginario mitologico, leggendario, narrazione fantastica ed interpretazione del territorio, con i suoi fenomeni naturali e soprannaturali, che si esprime in modo multiforme, proteiforme, camaleontico interagendo tra forme di giardino pensato, premeditato, rappresentato attraverso l'arte o realmente costruito, architettato, inserito in giochi di rimandi non scindibili dal tutto, ma miscelabili, amalgamabili.
Laura Tussi - 07-07-2005
L'istituzione scolastica, in primis responsabile della trasmissione di memoria storica contemporanea.

Per lavorare come insegnanti a scuola in progetti riguardanti la storia contemporanea e la memoria storica occorre affrontare in modo critico l'uso pubblico delle fonti e dei documenti che testimoniano gli eventi storici. La scuola per molto tempo ha trasmesso la storia patria: un processo finito, compiuto. Sicuramente l'istituzione scolastica ha perso una centralità educativa di comunicazione di molte informazioni e conoscenze che attualmente sono retaggio specifico dei massmedia, anche perché gli insegnanti usano moltissimo gli strumenti visivi, sapendo che consistono in rielaborazioni anche rispetto ai documenti che citano, perché spesso il commento di un documento storico viene elaborato sulla base delle immagini che si sono trovate a disposizione, e non necessariamente con quelle più convergenti e congruenti rispetto al contenuto specifico da trasmettere. Poiché l'impatto visivo è emotivamente molto più alto rispetto al messaggio verbale, i media hanno compiuto un'operazione che contraddice in parte anche quello che i sociologi ottengono come risultato delle inchieste, perché mai come negli ultimi anni si sono riprese parti, frammenti, momenti della nostra storia con annesse reinterpretazioni, adattando certi aspetti ed estrapolandone altri dal contesto, e si è compiuta così un'immensa operazione di memoria collettiva. Dunque si è passati da una fase in cui la memoria della seconda guerra mondiale, della resistenza, dell'internamento, della deportazione, del complesso fenomeno concentrazionario nella sua globalità, erano rievocati, rammentati, rimembrati dai testimoni in ambiti e contesti collettivi e socioculturali, alla fase in cui è stata elaborata dalla storiografia, come è giusto, fino ad approdare a questo ultimo stadio di ricerca in cui è soprattutto il documento ricostruito con tutte le componenti necessarie della drammatizzazione, a volte persino della fiction, che hanno veicolato una certa memoria. Occorre anche considerare le memorie di vita, le narrazioni autobiografiche, pluralità di memorie del contesto storico che contiene esperienze plurime e diverse, mentre molto spesso si individua in un personaggio, in un evento, in una giustificazione il senso della storia ed in questo uso pubblico e decisamente politico della storia è subentrato un grande coinvolgimento che non ha ottenuto altro che un dibattito di contrapposizioni. Sono legittime le posizioni ed opinioni di storici cosiddetti revisionisti, che contrastano la visione della resistenza connessa strettamente alla nostra democrazia e che attua un vero riferimento ai testimoni ancora in vita, militanti nell'associazionismo storico culturale (ANED ANPI) ed alle vittime, con reali interpretazioni. Esiste una differenza tra queste due modalità e visioni interpretative di leggere la storia più recente del nostro Paese, che consiste appunto nell'opinione anche di storici relativa al lavoro storiografico: il parere può essere formulato sulla base di ipotesi, di ideologie e convinzioni, mentre la storia si costruisce in base alla fonte dei documenti, per cui si parla di uso pubblico della storiografia, perché il documento viene messo in secondo piano e si preferisce elaborare riproposizioni dell'accaduto sulla base di un'interpretazione che spesso non fa riferimento ai documenti a disposizione, vale a dire le fonti normali, cartacee, testimonianze, memorie raccolte ed elementi visivi che nel lavoro dello storico vanno tenute insieme per essere lette ed interpretate globalmente ed utilizzate criticamente.
Perché ci soffermiamo tanto sulla costruzione di memoria storica? Non esiste solo il problema di motivare i ragazzi all'apprendimento della storia, perché questa materia, per sua definizione, è una disciplina nomotetica. Non è un caso che la discussione di una riforma della scuola si sia poi focalizzata sul programma e sul curricolo di storia.
La storia è anche educazione alla convivenza civile di un Paese ed allora questo termine della responsabilità della memoria, emerso dalle interviste dei docenti che partecipano alle ricerche di memoria ed insegnamento della storia, è un tema della responsabilità educativa che riemerge attualmente con molta evidenza all'interno del corpo docenti anche con la prova dell'autonomia della scuola, dove il ruolo dell'insegnante diventa necessariamente di scelta, di orientamenti di indirizzi, di contenuti e di organizzazione collettiva della dimensione scolastica, concedendo, trasmettendo ai ragazzi, gli strumenti per costruire, riabilitare la memoria al fine nobile di interagire con essi tra passato, presente e futuro, da interiorizzare come responsabilità educativa primaria, al pari della costruzione di tematiche rigorose della storia. I docenti sono organizzatori di sapere nella loro funzione specifica e nel caso della storia contemporanea e soprattutto nel caso della seconda parte del novecento, diventano attori primari degli eventi trascorsi e testimoni principali degli avvenimenti che raccontano e trasmettono perché vissuti in prima persona in un contesto storico globale. Gli insegnanti prima di affrontare un lavoro congiunto con gli studenti, relativo alla memoria storica, devono compiere un lavoro molto serio sul concetto di memoria. In un momento epocale per cui molti individui si sentono singoli ed isolati, perseguono l'interesse personale e non collettivo, vivono in situazioni estreme di solitudine esistenziale, intellettuale e sociale, avere memoria significa assumersi la responsabilità della propria vita ed anche di un modo di esserci di esistere, di partecipare, nel processo storico che viviamo. Il coraggio della memoria, vale a dire andare alla ricerca della storia non è di per sé un fatto che ci porta a valutare anche il presente. I fatti della storia sono sempre la conseguenza e la continuazione di altri eventi, altri avvenimenti, e quindi non è possibile ignorare una parte del passato se si vuole pensare al presente e proiettarsi nel futuro. Quando si parla di storia contemporanea si dimostra la fortuna della ricerca di atti, di fatti e testimonianze che offrono certamente agli storici la possibilità di valutare e di trasmettere queste esperienze e dati di ricerca ai giovani. Negli incontri dei testimoni della resistenza con i giovani si è maturata negli anni una maggiore consapevolezza e coscienza storica. Sostiene Giovanni Pesce Presidente Nazionale dell'ANPI :"Noi abbiamo vissuto esperienze tali, che rievocate oggi, mi danno l'impressione di essere al di fuori della mia persona. Riconosco i fatti, cito i casi, i dati, i protagonisti, ma talvolta avverto la sensazione di stare seduto in una platea e di vedere questi eventi rappresentati in palcoscenico. Con lo scorrere degli anni non si prova più la passione, l'emozione che cresceva dentro di noi in passato e forse i fatti risultano forse anche più chiari, più luminosi ed il discorso, il dialogo, anche con gli insegnanti difficilmente riporta alle singole esperienze personali". Gli eventi si considerano in una dimensione diversa ed in qualche caso con cartine geografiche o film si riescono ad approntare dibattiti estremamente vivaci che riportano alla memoria non solo i fatti, gli avvenimenti, ma i motivi, le cause. Gli aspetti ignorati maggiormente sono i documenti che precedentemente, all'inizio della guerra, durante il conflitto, sono stati emessi e che denunciano, in primo luogo come gli eventi bellici si sono verificati per certi obiettivi (l'accordo prima con la Germania, poi con la Germania ed il Giappone). Questo disegno strategico in atto che i partigiani, oggi testimoni, non riuscivano allora a comprendere bene, mentre si viveva l'evoluzione dei momenti bellici, ha portato poi, col tempo, e per le modalità in cui si è svolta la Grande Guerra, ad intuire che la strategia bellica era mortale per l'intero globo. Quando l'esercito tedesco è giunto al Volga e si è bloccato a Stalingrado, in quel momento si è capito che se Hitler avesse vinto quella battaglia e fosse riuscito ad ottenere i petrolio del Caspio, probabilmente la guerra avrebbe assunto una dimensione diversa. Il fatto che i giapponesi abbiano attaccato nell'Indocina e nella Cina, il ricongiungimento di tale disegno strategico degli eserciti fascisti che volevano dominare il mondo, oggi se avesse vinto, avrebbe creato una terribile situazione di regresso per l'umanità. E allora qual è stato poi il motivo, la ragione per cui, battuti il nazismo ed il fascismo, rotto il patto antifascista, si è cercato, in anni che sono diventati terribili, bui, dopo la guerra, di dimenticare o di far dimenticare i risultati ottenuti con la resistenza, con il movimento antifascista. Il disegno era questo: il mondo occidentale era diviso in due ed allora bisognava recuperare la Germania, il popolo tedesco che diventava importante per l'occidente. E allora ecco nascondere i fascicoli che riguardavano le stragi avvenute in Italia, in Francia e nei Balcani, e di cercare di ignorare che la guerriglia partigiana e la lotta antifascista avessero portato questo aspetto alla società moderna, all'Italia di oggi, alla Repubblica. Infatti attualmente quelli che tendono ad ignorare questi aspetti tentano di nascondere i motivi per i quali è scoppiato il conflitto per cui il mondo diviso in due doveva produrre certi effetti. E' importante ricercare nei documenti (i giornali, le biblioteche, nei ministeri) tutto ciò che può far comprendere come si viveva allora, quali erano le ragioni fondanti per cui si è organizzata la resistenza, si è combattuto contro il fascismo. L'aspetto più qualificante della storiografia è andare alla ricerca delle memorie per la possibilità del pensiero di ricordare, di rielaborare, di parlare, di proferire il passato, l'accaduto... ma questo non basta perché è evidente che poi le memorie vanno inserite in un contesto unitario, storico comune: questa è la funzione primaria della scuola. L'istituzione scolastica è la prima forma sociale che l'individuo incontra nel suo percorso di formazione ed in cui si plasma l'avvenire delle future generazioni.
Laura Tussi - 01-07-2005
Come colloca la Sua storia di formazione rispetto al personale impegno politico e culturale?

Appartengo ad una generazione che ha scoperto la politica nel momento in cui praticamente scopriva la vita di relazione, lo studio, la musica, il fatto ...
Laura Tussi - 21-06-2005
La propensione alle relazioni

Gli atteggiamenti educativi emozionali e di controllo comportamentale incidono sulle modalità di impostare la relazione educativa con gli allievi, dal momento che non sono delle dimensioni isolate, ma interconnesse ed interdipendenti con l'impostazione complessiva della personalità globale dell'insegnante. Le convinzioni socio-politiche, la visione del mondo e dell'uomo, gli atteggiamenti verso le persone in divenire, il modo di porsi rispetto al compito educativo e in rapporto a se stessi sono istanze comportamentali e modali che sono comprese nel sistema interdipendente della personalità. Mentre non esistono divergenze tra gli studiosi dell'interazione educativa sul fatto che gli atteggiamenti educativi sono strutture interdipendenti, non esiste invece unanimità nell'individuazione dei criteri su cui fondare tali atteggiamenti.
  • Kessel, uno studioso marxista, afferma che solo gli insegnanti con un chiaro e fondato atteggiamento favorevole alla società socialista stabiliscono significative relazioni sociali.
  • Secondo la Psicologia Individuale di matrice adleriana, il rapporto educativo deve essere fondato sull'interesse sociale.
  • Secondo la psicologia di orientamento cristiano, gli atteggiamenti educativi sono validi se fondati sulla carità e responsabilità.
  • Per altre correnti di pensiero sono validi se fondati sul senso democratico.
Da questi esempi risulta che gli atteggiamenti educativi positivi sono considerati come possibili solo se radicati in specifici sistemi motivazionali di tipologia prosociale. La formazione o la modifica degli atteggiamenti educativi degli insegnanti non devono essere considerate attraverso dinamiche processuali orientate su principi pedagogici, ma devono comprendere l'intero paradigma sistematico di convinzioni ed atteggiamenti dettati dalla personalità. La modalità tramite cui l'insegnante definisce il suo rapporto relazionale con gli allievi, influisce sulle vicendevoli relazioni e modalità di approccio e di rapporto all'interno della classe. Nel momento in cui l'insegnante stabilisce un contatto in cui gli allievi si sentono accettati e stimati come persone e quando esercitano una funzione di guida in modalità sociale e integrativa, allora gli allievi non solo si sentono valorizzati, ma motivati a sentirsi come attori interagenti nel gruppo classe.
A questo punto ci si chiede se è possibile educare alla pace e creare un clima scolastico in grado di dare sicurezza agli alunni e agli insegnanti e di sviluppare al massimo le risorse di ciascuno.
  • Per coloro che hanno risposto negativamente, il rapporto educativo è una questione di potere, di controllo, di trasmissione efficace di contenuti da depositare nella memoria degli allievi.
  • Per coloro che non sono stanchi di provare, di cercare rapporti di reciproco adattamento creativo e nonviolento, dentro una realtà strutturale che permane ancora ostile a queste mete, valgono gli obiettivi che sempre i migliori educatori hanno saputo conseguire, quali il mutuo insegnamento, la cooperazione, la fiducia e l'accettazione reciproca, il confronto aperto e alternative nonviolente nei conflitti nella comunicazione circolare e non unilaterale, con lo scambio continuo fra educazione e vita personale e sociale.
Laura Tussi - 16-06-2005
La didattica autobiografica all'interno dei contesti relazionali.
Modelli teorici di riferimento: Modello ecologico e Teorie della mente.
Progetto d'intervento


DESTINATARI E CONTESTO


Ragazzo con disagio emotivo-affettivo-relazionale che vive in contesti altamente relazionali (scuola, famiglia, gruppo di pari), ma con scarsi stimoli di riflessione culturale e di metarappresentazione, senza particolare predisposizione alla metacomunicazione e metacognizione, finalizzata all'evoluzione di un pensiero narrativo, anche introspettivo.

FINALITA'

Portare l'alunno ad un livello di autoconsapevolezza tale da guidarlo e preservarlo da atteggiamenti fortemente lesivi a danno suo e dei compagni, suscitando in lui dinamiche autoriflessive ed introspettive, rispetto alla propria storia di vita e di formazione, tramite attività orientate al metodo autobiografico. Il progetto si propone di stimolare e valorizzare la propensione alla valorizzazione di sé e dei contesti relazionali di interazione quotidiana.

OBIETTIVI

Migliorare la situazione di disagio in cui imperversa l'allievo.
Invogliare la predisposizione al dialogo, alla metacomunicazione nel tentativo di mediare e favorire la gestione del conflitto, in un'ottica di educazione alla cooperazione, alla comunicazione in modalità e contesti positivi, con insegnanti, compagni e personale della scuola. Disincentivare gli atteggiamenti violenti e non costruttivi nei confronti di tutti. Imparare a riflettere su di sé, sul proprio agito, sulle azioni positive a lui rivolte (metacognizione). Accentuare le capacità introspettive che arricchiscono la persona.

CAMBIAMENTI SULL'EDUCATORE

Volontà di stimolare una felice e piena relazione ed esperienza di vissuti in comune dalla vicinanza e dai risultati conseguiti dall'alunno. Maggiore autocontrollo personale. Maggiore propensione all'ascolto, alla tolleranza, al dialogo con un allievo e di conseguenza con tutti gli allievi.

CAMBIAMENTI SULL'ALLIEVO

Socializzazione positiva e non violenta all'interno di tutti i contesti relazionali. Predisposizione all'autoriflessione e all'introspezione, alla gestione dei conflitti, per poi riflettere tali acquisizioni nelle dinamiche relazionali reciproche con tutti gli altri e nei vari contesti d'interazione. Evoluzione del pensiero metacognitivo e narrativo all'interno dei contesti sociali d'interazione quotidiana.

STRATEGIE PER PROMUOVERE IL CAMBIAMENTO (azione metabletica)

Acquisizione da parte dell'allievo della capacità di compilare un diario su cui annotare le proprie esperienze, per poi commentarle insieme all'insegnante ogni volta. Attivare una didattica autobiografica che susciti l'evoluzione e l'esplicazione di un pensiero narrativo che induca il ragazzo a riflettere su di sé, attraverso meccanismi di metacognizione, agevolati dalla metacomunicazione con l'insegnante. Verrà predisposto un itinerario dialogico in cui si valorizzeranno le predisposizioni alla narrazione di sé, tramite meccanismi didattici di decentramento emotivo e cognitivo. Il cambiamento consta nell'acquisizione di capacità di pensiero autoriflessivo e metacognitivo, attribuendo significato e senso al contesto e all'esperienza di formazione.
Laura Tussi - 31-05-2005
Dalla psicologia dell'educazione alla teoria dei sistemi
Un approccio ecologico nella complessità della scuola dell'autonomia


I cambiamenti strutturali introdotti dall'autonomia scolastica costringono insegnanti e dirigenti a ripensare il proprio ruolo e la propria posizione professionale in relazione agli allievi, alle famiglie e ad altre istituzioni attive nell'ambito del territorio, esplorando i vissuti, i risvolti emozionali e affettivi delle vicende degli attori interagenti nel sistema scuola, al fine di evidenziare l'importanza non solo della cultura tecnica, ma soprattutto delle risorse emotive intrinseche nel lavoro di gestione e in quello educativo, come la capacità di tollerare le frustrazioni, di ascoltare e comunicare. E' davvero innovativo nella scuola imparare a riconoscere i sentimenti che permeano l'impegno quotidiano, in modo che possano essere utilizzati per renderlo più incisivo, tramite la rivalutazione del paradigma narrativo, nel pensiero autobiografico e metacognitivo. Il sistema scuola rappresenta un modello interattivo ad altissimo impatto relazionale al cui funzionamento partecipano diversi attori sociali: insegnanti, dirigente scolastico, alunni, personale non docente e genitori. In tal senso la scuola può dare un contributo di valore nobilmente politico, ossia può contribuire a sviluppare un atteggiamento e una coscienza democratica intesi come capacità di vivere ed interagire costruttivamente con gli altri in un clima di cooperazione e di reciproca tolleranza, in quanto costituiscono lo strumento insostituibile per il consolidamento della democrazia e la speranza più fondata in un mondo di pace. Il contesto relazionale scolastico può essere analizzato e interpretato attraverso alcuni modelli psicologici che possono aiutare a leggere la dimensione relazionale all'interno dei sistemi interattivi.

Il modello psicanalitico

Tale approccio attribuisce importanza alla comprensione della vita psichica inconscia che si differenzia da quella conscia. Freud giunge all'impossibilità della spiegazione scientifica di fenomeni psichici anomali attraverso la neurologia e la spiegazione organicistica, ma privilegia il criterio esplicativo-psicologico, secondo cui le pulsioni forniscono energia all'individuo e gli permettono di adattarsi alla realtà.
La psicanalisi permette all'Io soggettivo di riappropriarsi di ciò che è stato rimosso e che gli appartiene, apprendendo ciò che lo determina inconsapevolmente.
Solo di recente il contributo psicoanalitico ha iniziato a occuparsi del funzionamento relazionale nel contesto scolastico, offrendo una lettura della relazione educativa sulla base delle conoscenze maturate nel setting terapeutico.
Blandino (2002), psicoanalista che si è occupato a fondo di tematiche connesse all'apprendimento, presenta la psicoanalisi come modo di osservare e descrivere i fenomeni nel contesto scolastico tramite un atteggiamento mentale relativo alla considerazione del ruolo che giocano i sentimenti e le emozioni e di elaborazione della dimensione interpersonale.
La professionalità relazionale consiste nella possibilità di fornire supporto sia cognitivo che emotivo all'altro, nella capacità di comprendere, capire e assumere responsabilità all'interno della relazione nella gestione della sofferenza emotiva entro cui sussiste una dimensione inconsapevole collegata con i vissuti e le ansie più profonde, che inevitabilmente interferiscono con la scelta e l'ascolto delle parole che si utilizzano nell'incontro dialogico con l'altro.
L'approccio psicoanalitico, nel tentativo di leggere la dimensione relazionale nel contesto scolastico, offre un contributo importante nel sottolineare il mondo interno e i vissuti emotivi e affettivi che caratterizzano la vita di ciascun individuo.
L'importanza del lavoro psicologico comporta la necessità di conoscere come il proprio mondo interno possa giocarsi nell'incontro con l'altro.

Laura Tussi - 26-05-2005
IL RUOLO NON AUTORITARIO DELL'INSEGNANTE.
L'educazione alla Pace e alla gestione dei conflitti come guida per l'allievo


L'incontro affettivo con l'allievo e lo sviluppo socializzante

Gli sviluppi relativi alla cooperazione e alla gestione dei conflitti, alla comunicazione e alla fiducia reciproca costituiscono le componenti imprescindibili di un rapporto educativo basato sulla nonviolenza che transita attraverso l'interazione tra insegnanti e allievi. Le relazioni interpersonali del gruppo classe dipendono dallo stile relazionale dell'insegnante con gli allievi. L'atteggiamento dell'insegnante incide notevolmente sulla modalità di definire il personale rapporto educativo con ogni singolo allievo e con il gruppo classe. Il contatto relazionale dell'insegnante è quell'aspetto della dimensione interattiva attraverso cui l'insegnante rivela, in forma di metacomunicazione, la personale modalità del rapporto reciproco. Il comportamento di contatto può essere differenziato nella dimensione emozionale e di controllo. In un'ottica fenomenologica, la dimensione emozionale riguarda l'incontro affettivo tra il docente e gli allievi, per cui ogni singolo allievo vive la tipologia di valutazione, di percezione e valorizzazione che l'insegnante attua nei suoi riguardi. L'incontro affettivo rappresenta un elemento imprescindibile al fine di un comportamento socializzante dell'allievo.
Laura Tussi - 23-05-2005
Il superamento della deumanizzazione dell'altro


Per fondare una cultura della pace è indispensabile contrastare il processo di deumanizzazione, ossia di inserimento dell'altro in una categoria non umana che va quindi contrastata, ostacolata e annientata. Il pregiudizio rappresenta un mezzo di propagazione del processo di deumanizzazione. Un'educazione per la pace a tutti i livelli sociali e nei rapporti interpersonali deve compiere progressi a favore dell'identificazione con l'altro, il riconoscimento degli altri come uguali a sé che diviene ancora più necessario e auspicabile quando gli altri si oppongono a noi. La tendenza a demonizzare il nemico, l'altro da noi, come spesso fanno colpevolmente i mezzi di comunicazione di massa, allargando le distanze che separano noi dagli altri, aumenta il rischio di aggressività e distruttività sempre più intense e radicate nel costume quotidiano.

Il terrificante interiore e la demonizzazione dell'altro

E' davvero evidente che la demonizzazione del nemico costituisce un meccanismo di difesa rispetto al negativo che rifiutiamo dentro di noi, come persone, ma anche come gruppi sociali, in quanto l'altro e gli altri si configurano come una realtà separata di deumanizzazione e distruttività. Anche la scuola ha dato inconsapevolmente, forse, il proprio contributo al processo di deumanizzazione quando ha esaltato il concetto di "identità nazionale", dimenticando che siamo tutti cosmopoliti, cittadini del mondo. Il riconoscimento dell'altro come simile a sé transita attraverso la condivisione, lo scambio, la comunicazione delle emozioni e dei sentimenti. Per esempio all'interno del gruppo classe è possibile aiutare il bambino a riconoscere nel compagno, con cui spesso litiga, il proprio stesso vissuto, come questa comunicazione deve essere facilitata tra i gruppi sociali, soprattutto i contesti che il bambino vive come nuovi, diversi e pericolosi. Per combattere il processo di deumanizzazione occorre facilitare le occasioni di condivisione, di scambio, di incontro, sottolineando tutte le cose che uniscono, anziché ciò che divide. I mezzi di comunicazione di massa negano implicitamente per i loro messaggi l'umanità dei singoli e dei gruppi sociali, facilitando ostacoli che si frappongono all'incontro tra i bambini, tra gli uomini, tra i gruppi sociali. Un'educazione alla pace si deve proporre di facilitare l'acquisizione di atteggiamenti cooperativi e non competitivi, oltre a favorire le condizioni per un uso non lesivo, ma adattivo dell'aggressività nella sicurezza, la possibilità di affermazione di sé, l'identificazione con l'altro. Gli studi sull'acquisizione dei comportamenti cooperativi e non competitivi e sulla genesi di atteggiamenti costruttivi indicano che queste caratteristiche non lesive della relazione sono strettamente correlate con la capacità di allontanarsi, sia emotivamente, sia cognitivamente, dall'impellenza delle situazioni frustranti e conflittuali, al fine di trovare una risoluzione complessa e mediata, tenendo presente l'esistenza e le esigenze dell'alterità.
Laura Tussi - 07-05-2005
Secondo la definizione di Laing, la sicurezza primaria e ontologica stabilisce un forte senso identitario costituito dalla fiducia in sè stessi e negli altri. Se questa fiducia risulta assente, l'aggressività può trasformarsi nell'unica modalità per esprimere se stessi e per rassicurarsi sul proprio modo di esistere e di essere. Infatti i momenti apicali dell'età evolutiva in cui si manifestano crisi d'identità, come l'adolescenza, presentano comportamenti aggressivi. I soggetti insicuri palesano difficoltà ad accettare i propri aspetti e sentimenti negativi, proiettandoli all'esterno su un nemico, come un compagno di classe, un gruppo sociale o una nazione. La sicurezza e l'identità personale si costruiscono sempre nel rapporto sociale, all'interno del gruppo famigliare nella relazione con l'adulto, in seguito con i coetanei e i gruppi di pari. Una solida sicurezza e un solido senso della propria identità si fonda sulle prime esperienze affettive nelle fasi primarie dello sviluppo. In questo ambito la scuola dovrebbe svolgere un ruolo importante in senso positivo, aiutando il bambino ad avere una buona sicurezza, il che comporta la sua personale valorizzazione e l'apprezzamento delle qualità positive personali, aiutandolo a conoscersi. La valorizzazione aiuta il bambino ad avere fiducia in se stesso consentendogli di superare senza timore e aggressività difensiva, gli ostacoli, gli insuccessi, le frustrazioni. Svalutare un bambino punendolo, non serve ad evitare il ripetersi dell'azione indesiderata e significa provocare indirettamente comportamenti aggressivi di tipo difensivo...
La sicurezza si rinforza e si costruisce in un contesto sistemico che offra l'opportunità di esprimere se stessi e le proprie capacità. Gli atteggiamenti aggressivi si ingenerano in un ambito scolastico che svaluta, inibisce e critica le potenzialità del ragazzo. L'educazione autoritaria è fautrice di atteggiamenti di risposta di tipo aggressivo, ponendosi come un'educazione frustrante e punitiva che limita l'allievo nel raggiungimento degli obiettivi e nella realizzazione di sé.

Laura Tussi - 13-04-2005
LE PRASSI/MODALITA' E GLI STRUMENTI EDUCATIVI UTILIZZATI A SCUOLA NEL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE NORMATIVA.

I modelli integrazionista e costruzionista



In ambito scolastico si dispongono costantemente, si adeguano sempre delle prassi, delle pratiche d'azione e modalità di comportamento, nonché strumenti normativi per attuare nell'ambito dell'esosistema o microsistema educativo dei principi normativi e per attivare negli allievi processi di socializzazione atti e volti a stabilire delle norme in un tessuto d'azione anche negoziabile, flessibile, interattivo e modificabile. Il fatto di disporsi a cerchio con i banchi, incentrando l'attenzione sull'artefice primario del processo educativo (l'educatore/insegnante), la pretesa della prenotazione del turno per alzata di mano anche al fine di intervenire a scopi didattici ed il rispetto cronologico dell'intervento, costituiscono un insieme di strumenti normativi che possono avviare processi socializzanti, fautori di regole e norme implicite, esplicitate dall'insegnante e acquisite dal ragazzo quali modalità funzionali alla migliore convivenza e al reciproco rispetto, senza adottare modalità coercitive, ma ampliamente condivise in maniera interattiva.
Anche questa elaborazione di intervento educativo, pienamente condivisa e attuata dalla sottoscritta, risulta il frutto di decenni di studi sociologici dei processi di crescita, che oscillano tra interazione e rispetto delle regole, nonché processi di socializzazione. Infatti l'idea di infanzia fino ai giorni nostri si modifica in base ad alcuni modelli di lettura sociologica.
Laura Tussi - 27-03-2005
LA VISIONE DEL MONDO E DELLA REALTA’

Il disagio risulta dilagante in ogni situazione e tra i diversi ruoli degli attori sociali che operano con ragazzi a rischio in contesti ambientali, in situazioni, spazi e tempi che creano disagio. Anche il ...
Laura Tussi - 19-03-2005
Una premessa necessaria per analizzare e comprendere quelle storie che presentano esiti diversi e sovente dolorosi per chi li vive, consiste nel ricostruire la storia attraverso cui un individuo giunge alla costruzione di sé come soggetto. I dispositivi tramite cui l’individuo conferisce senso e significato alla realtà è la variabile imprevedibile dal cui gioco dipendono esiti diversi nei processi di sviluppo. Interpretare il fenomeno dei ragazzi a disagio significa focalizzare il processo di reciproca interdefinizione tra mondo e soggetto, per cogliere quei nodi, quei cortocircuiti della relazione pedagogica che hanno condotto il soggetto ad un livello problematico di esistenza.
Laura Tussi - 15-03-2005
Il gruppo classe come risorsa e valore verso obiettivi didattici contro il disagio


Nella didattica, in primo piano, sussiste la questione della conoscenza che si trasmette in ambito scolastico, prendendo inevitabilmente in esame relazioni tra i contenuti di conoscenza proposti e i processi cognitivi dell’allievo implicati nell’apprendimento di specifici contenuti che possono provenire anche dalla propria interiorità, con la narrazione di sé nel racconto autobiografico.

Lo sviluppo delle competenze interrelazionali

Di recente la Psicologia Evolutiva ha dedicato notevole attenzione allo sviluppo delle competenze sociali infantili. Durante gli anni ’40 del 1900, Piaget indaga le strutture formali della mente, ossia gli stadi di sviluppo che determinano le modalità con cui il soggetto procede in ogni campo del conoscere, che sono indipendenti dal contenuto in cui operano. Piaget privilegia la descrizione strutturalistica della mente, lasciando da parte i processi cognitivi. Secondo il modello teorico piagetiano si considera l’attività cognitiva come indipendente dal campo di applicazione, ossia dal contenuto su cui operano le modalità. Durante gli anni’60 del 1900, la Scienza Cognitiva indaga la problematica del rapporto tra processi e contenuti. Partendo dallo studio della percezione, della memoria, del linguaggio, dell’apprendimento, la Psicologia Cognitiva riporta al centro della discussione lo studio delle attività mentali, dalle cui regole vengono determinati i comportamenti. Queste ipotesi portano ad individuare un’analogia tra i meccanismi mentali di elaborazione dei dati sensoriali e le strutture artificiali proprie della cibernetica. Herbart, filosofo e pedagogista, fu precursore della scienza psicologica elaborando un sistema filosofico in cui cercò di superare la contraddizione insita nel carattere fenomenico dell’esperienza come descritta da Kant, sostenendo l’esistenza di entità semplici ed immutabili le cui molteplici relazioni sono alla base della formazione degli oggetti così come vengono percepiti dall’uomo. Compito della filosofia è quello di elaborare i dati forniti dall’esperienza al fine di estrapolare tali entità e produrre dei concetti, che soli costituiscono la vera conoscenza. Su tale sistema Herbart basò la sua pedagogia, il cui scopo principale è quello di trasmettere all’allievo un bagaglio culturale quanto più ampio possibile che ne sviluppi pienamente tutti i molteplici interessi, in modo da creare in lui una solida moralità, che consiste per Herbart, nella capacità di giudicare e di comportarsi secondo i cinque principi della libertà interiore, della perfezione, della benevolenza, del diritto e dell’equità.

L’esperienza scolastica

Per l’adolescente l’ambito scolastico è certamente la più significativa delle esperienze. La scuola diventa il luogo nel quale il giovane entra in pieno contatto con il mondo adulto e la sua cultura, che misura le competenze. La scuola non deve comunque ridursi esclusivamente ad uno strumento di misura, ma deve soprattutto accompagnare l’adolescente nella crescita, che si riflette nel rispecchiamento rispetto agli adulti, anche come insegnanti e docenti. Risultano necessarie delle buone prassi di apprendimento e di comportamento indispensabili al fine di indirizzare dinamiche etiche e propositi cognitivi razionali, suscitando spinte emotive di apprendimento e di assimilazione, non solo volte alle attività didattiche, ma per un comportamento sociale coerente e corretto nell’interagire civile che, appunto, si rispecchia e si identifica con il ruolo docente.

Laura Tussi - 09-02-2005
Le tipologie di pensiero del racconto autobiografico

L’attenzione per la narrazione autobiografica non consta esclusivamente nella cronaca viscerale degli eventi passati, ma nella globale ricostruzione della propria storia esistenziale.
Il narratore è condotto nel processo di rimemorazione dal ricordo quale traccia in trasformazione metabletica, in un percorso mnemonico, tra memoria e realtà, sempre dinamico, in cui i ricordi risultano soprattutto ricostruttivi e non riproduttivi, in una reinterpretazione senza sosta del tempo trascorso.
La memoria è un supporto in evoluzione, in fieri, in itinere nel percorso di rimemorazione in un processo mnemonico di tipologia dinamica nella continua reinterpretazione degli eventi trascorsi, aggiornati da nuove esperienze, che agisce retroattivamente apportando varianti al ricordo.
La memoria individuale collegata ed intrecciata con quella collettiva può fungere da setaccio degli episodi e degli eventi imbrigliati nel ricordo, producendo oltre al naturale processo dell’oblio, la metabletica rimemorativa, ossia la trasformazione dei ricordi, influenzati anche dalle storie di vita altrui.

Laura Tussi - 02-02-2005
Risulta possibile raccogliere anche solo oralmente le storie di vita, ma occorre scegliere gli strumenti ricognitivi adeguati, che presentino possibilità e vincoli in base a una diversificazione o una trama di linguaggi, di intrecci verbali, sempre più coerenti e funzionali al setting d’analisi quale contesto operativo di progettualità formativa. L’approccio autobiografico, adattabile ai diversi contesti di ricognizione, non può prescindere dalla metodologia del colloquio, fondamentale per la narrazione di sé e l’ascolto da parte dell’educatore/biografo. Le modalità di conduzione del colloquio non possono prescindere dalle modalità d’ascolto e del racconto di sé nel procedimento di ricostruzione e revisione autobiografica. L’esperienza della narrazione della propria esistenza, facilitata da un ascolto colloquiale discreto, adeguato, favorevole all’esposizione, all’eloquio del narratore, si traduce in una completa rivisitazione della propria vicenda di vita. L’immane, puntiglioso e costante impegno autobiografico supportato dalla facoltà rimemorativa, rimembrativa, rievocativa, non va considerato quale ripiegamento nostalgico e solipsistico, in quanto consiste nella realtà in una rivisitazione che riattualizza il passato in frammenti di emozioni, desideri, certezze, dubbi, quali pieni e vuoti dell'esistenza, che possono aprire nuovi orizzonti di pensiero, innovative frontiere cognitive affascinanti nel dare spazio alla riscoperta e alla progettualità fiduciosa orientata al futuro. L’autobiografia, raccontata e dipanata nel rapporto conversazionale, ingenera modalità di riconoscimento, di svelamento e apprendimento di se stessi, consentendo al narratore di ricostruire la propria traiettoria, la trama vitale, l’intreccio esistenziale così paragonabili metaforicamente ad un intarsio, un mosaico, un tessuto di pensieri, di sentimenti, stati d’animo ed emozioni.
L’alleanza dell’educatore autobiografo con il narratore aiuta a stabilire nessi ed interconnessioni tra indizi, eventi ed episodi descritti. Questi legami consentono di attribuire senso e significato al disegno della trama vitale dell’esistenza, in base ad una continua ritrascrizione e ricomposizione ricomponibile di carattere ermeneutico. La disponibilità alla declinazione flessibile e comunicativa ingenera secondo modalità implicite ed esplicite, in base ad istanze consce o inconsce nuove potenzialità rappresentative e comprensive della propria interiorità, nella facoltà di significazione degli eventi e del loro inesauribile concatenarsi, nell’ineluttabile attribuzione di senso rispetto ai contesti di vita e alle relazioni più belle, più significative, senza dimenticare, facendone tesoro, le situazioni piene di amarezza e di sconforto. La relazione dialogica basata sull’attento ascolto reciproco apre ampi spazi a relazioni collaborative inerenti reciprocità comprensive, quali significative risorse apprenditive per la possibilità di intrattenersi con se stessi e con l’altro da sé, oltre l’apicalità dell’incontro dialogico. La narrazione della propria storia esistenziale appare sempre un’elaborazione di noi stessi incompiuta, circoscrivibile e riscrivibile o reinterpretabile relativamente ai diversi incontri, agli eventi ed agli episodi dell’esistenza, in un racconto che incita e stimola al ritrovamento di un significato, di un senso, a un ripiegamento sul proprio sé quale filo conduttore che riallacci e ricolleghi le apicalità o i momenti più frugali, i tratti e i segmenti salienti, gli spigoli taglienti degli episodi cruciali, dei momenti peculiari in cui si individuano figure significative nella molteplicità delle biografie che ci abitano interiormente. Le continuità e le discontinuità, i momenti di crisi e gli spazi di serenità, le stasi e i processi della nostra esistenza producono conoscenza e ci permettono di intuire i nessi e i collegamenti tra le biografie interiori. La significatività pedagogica di sensibilizzazione al ripensamento autobiografico si rivela sia tramite l'ascolto e il monologo, sia l’attenzione dialogica e ingenera nel soggetto apprendimento a partire da se stesso, comprensione rimotivazionale, in base al cambiamento e alla relazione. Attraverso il percorso formativo, professionale, e la considerazione dei grandi temi vitali, il soggetto viene stimolato ad attivare considerazioni e riflessioni analitiche e critiche in modalità autoreferenziali, con continue elaborazioni, trasformazioni cognitive ed operative. L’incontro dialogico innesca nel soggetto una nuova rappresentazione di sé, nuove pensabilità, investimenti e stili relazionali, in una prospettiva temporale aperta alla possibilità, alla potenzialità del cambiamento e dell’autotrasformatività. Tramite l’esperienza di un ascolto che favorisce la problematizzazione e la riconsiderazione critica di sé, l’individuo si riconosce una maggiore capacità di ascolto introspettivo, in autocomprensione e autoapprendimento, aprendosi la possibilità dell’ascolto dell’”altro”.
Laura Tussi - 29-01-2005
Le esercitazioni proposte facilitano nell’allievo le facoltà astrattive, le capacità creative dell’astrazione, ossia del saper inventare, creare, fantasticare, inventare ed ideare su del materiale edito, prestabilito, ossia su racconti di narrativa scelti ad libitum, ma che comunque rappresentano un’autorità editoriale e da cui, così praticando, con tracce metodologiche alternative ed innovative, si prendono le distanze, liberandosi ed emancipandosi da tutto ciò che appare istituzionale, autoritario, schematico, rigido, approcciandosi invece al materiale in maniera analitica e costruttiva.
Laura Tussi - 25-01-2005
Traccia metodologica
Un percorso didattico di brani antologici


Solitamente la materia scolastica che prevede l’analisi di brani antologici, raccolti negli appositi volumi didattici per l’insegnamento scolastico, viene svolta e spiegata non sempre come un argomento di importanza fondamentale, ma lasciando ad essa quasi una funzione ludica e distensiva e attribuendole connotati ricreativi per gli allievi. Non che tutto questo sia negativo o rappresenti un orizzonte pedagogico da sottovalutare, ma occorre sollecitare sempre i ragazzi con espedienti didattici efficaci e coinvolgenti così da rendere anche la semplice lezione di lettura, di analisi e di sintesi dei brani quale funzioni ed operazioni necessarie all’esplicazione di un’evoluzione cognitiva completa e per favorire uno sviluppo metodologico competente, all’interno di una didattica cosciente e consapevole delle potenzialità dell’allievo.
Fornendo alla classe delle tecniche specifiche ricognitive d’analisi dei brani sarà possibile far emergere e scaturire un interesse motivato e motivante rispetto ad alcuni percorsi didattici che prevedono la tecnica di comparazione, di sintesi, di analisi paradigmatica di determinate sequenze, la suddivisione dei brani in sezioni consequenziali, il processo di astrazione di concetti narrativi da contesti predisposti, già dati per certi, editi da una logica ministeriale prestabilita.

Laura Tussi - 17-01-2005
Traccia di elaborazione: gli aspetti fisici o naturali

Durante questo percorso didattico, ad ogni allievo si assegna una regione, nazione o continente a seconda dell’anno di frequenza rispetto al programma didattico ministeriale. Per ogni ...
Laura Tussi - 12-01-2005
Riporto l'elaborato dell’incontro con Alfio Maggiolini ed Elena Rosci tenitosi presso LA CASA DELLA CULTURA di Milano lo scorso novembre all'interno del ciclo "IL DISAGIO INVISIBILE"


Il problema “droga” riguarda una certa invisibilità dove si determina e si manifesta l’assenza di regolamenti specifici su come la scuola deve agire e comportarsi per intervenire circa la questione spinelli e droghe. L’assenza di una regolamentazione di questo tipo significa che persiste la mancanza di cultura, di modi di ragionare e di porsi, su come affrontare la situazione “droga” tra i giovani. Gli insegnanti tendono a vedere determinate condizioni e situazioni in modo abbastanza condiviso, ad esempio, per quanto riguarda il problema spinelli: la questione va trattata all’interno dell’interazione e relazione educativa dell’intervento pedagogico, mentre la famiglia va convocata in un secondo tempo, come se il primo passo fosse un trattamento della questione all’interno della relazione educativa con lo studente, che agisce un atteggiamento generale riguardante una “scarsa motivazione”. Il trattamento educativo dovrebbe essere regolato tramite un attento controllo, se la scuola tiene presente che la questione va trattata anche con l’aumento della prevenzione, probabilmente si otterrebbero dei risultati motivanti anche indipendentemente da denunce, da sanzioni, da multe. Le risposte dei ragazzi rispetto a quali provvedimenti adottare sono orientate verso la dimensione sanzionatoria che gli insegnanti esercitano meno, privilegiando appunto l’intervento educativo. I ragazzi sono sempre più rigidi quando si ragiona sulle trasgressioni e si pongono dal punto di vista di chi deve intervenire. Tutti manifestano l’idea che l’intervento della denuncia, delle forze dell’ordine, sia qualcosa che viola la cittadella della scuola e la preziosità della relazione educativa. Spesso l’idea di ricorrere alla denuncia concerne gli spacciatori esterni, fuori dalle mura della scuola e dall’alveo della famiglia. Questo orientamento si scontra con questioni legali molto complesse sul consumo e lo spaccio di droghe.
Laura Tussi - 03-01-2005
LA CONDUZIONE DEL PENSIERO ATTRAVERSO LE DISCIPLINE SCOLASTICHE.

Primo percorso lineare di produzione scritta in area storica



La metodologia, (dal greco meta odos, attraverso il percorso) riconduce alla possibilità logica di intraprendere percorsi di impostazione cognitiva e di apprendimento relativi alle materie dell’insegnamento, ossia alle scienze didattiche (dal greco didactein e dal latino didasco insegnare, trasmettere ai discepoli). In questo scritto si tratterà delle materie inerenti il campo umanistico e l’orientamento dell’allievo rispetto a tali argomentazioni, con l’ausilio di strumenti appunto didattici, con il supporto della costruzione ermeneutica e gnoseologica di brani e paragrafi in base a degli schematismi che possono orientare appunto l’applicazione pratica verso il contenuto, che così potrà assumere una forma, una valenza, una morfologia facilmente assimilabile e strutturabile in costanti interpretative, in chiavi di lettura ermeneutiche e memorizzabili in tracce schematiche di apprendimento.
Spesso si riscontrano difficoltà nei ragazzi rispetto al processo di assimilazione dei concetti, alle dinamiche cognitive di memorizzazione di dati ed eventi, all’immagazzinazione dei passaggi tramite meccanismi spontanei, all’interpretazione di eventi, di fatti, di episodi.

- Se si tratta di una lezione di storia con alcuni paragrafi da esplicare in termini più semplici e facilmente assimilabili occorre procedere con una sintesi globale della spiegazione anche con l’ausilio del testo. Il riassunto generale dei paragrafi permetterà di far propria una visione d’insieme dei contenuti di fatti, avvenimenti ed eventi storici.

- In seguito l’allievo procede con la suddivisione della sintesi globale in piccoli paragrafi a cui si attribuiranno ulteriori sottotitoli ed un titolo generale di inizio. Questo procedimento è necessario per visualizzare l’insieme di tematiche che vengono affrontate da una serie di paragrafi consequenziali, compresi all’interno di un capitolo modulare, suddiviso in unità d’apprendimento, appunto paragrafate. L’esercizio della titolazione è necessario per visualizzare una panoramica d’insieme di uno specifico e determinato passaggio storiografico, compreso a grandi linee in un arco di tempo anche rappresentabile in uno schema lineare a base temporale.

- Un procedimento consequenziale consiste nel trascrivere tutti i sottotitoli attribuiti al riassunto globale, formando così un breve brano a cui si attribuirà un ulteriore titolo generale. Con questa esercitazione si tende a sviluppare nel ragazzo il senso d’autonomia nel manipolare il testo, in quanto è l’allievo stesso che costruisce e trascrive dei concetti e dei contenuti ricavati dal testo, ma sviluppati da una propria autonoma riflessione a livello individuale. Il brano ricavato dai sottotitoli costituisce un veloce strumento di consultazione del testo storico a cui viene attribuito un titolo generale che permette di acquisirne il significato contenutistico.
Laura Tussi - 22-12-2004
Come colloca la Sua storia di formazione rispetto al Suo impegno politico e culturale?

La mia formazione è classica tramite la frequentazione del liceo, l’università e poi la specializzazione post-laurea al College of Europe a Bruges, finalizzata ...
Laura Tussi - 18-12-2004
L’Italia è un grande mondo al plurale. Dalle statistiche risulta anche la presenza dell’Islam Albanese quale identità religiosa annacquata e differente, per esempio, dalla realtà Egiziana, Algerina e Senegalese. Quando si tratta di Islam sovviene sempre alla mente il mondo Arabo, soprattutto dopo l’11 Settembre, in quanto come religione monoteista è inoltre la seconda in Italia. Nella quantità di immigrati a livello europeo, l’Islam rappresenta una cospicua percentuale di persone. In Italia si attesta un notevole ritardo nei confronti delle politiche migratorie, per la presenza esigua e molto differenziata di stranieri rispetto ad altri Paesi europei. Il modello di politica migratoria in Francia è di matrice assimilazionista, ossia lo straniero deve diventare uguale, omologarsi all’elemento autoctono e tralasciare la propria memoria, il proprio passato identitario, quando molti autori hanno trattato dell’importanza del ricordo, dello scambio di memoria, nell’ambito del confronto tra le diversità (Ricoeur).
Laura Tussi - 09-12-2004

VIAGGIO E TRANSIZIONE: LA METABLETICA IDENTITARIA

Nella scuola si gioca “il tutto” dei processi d’integrazione dell’adolescenza e dell’inserimento scolastico. All’interno del mondo dell’immigrazione il numero più alto di persone è quello che si ...
Laura Tussi - 26-11-2004
Per un’evoluzione cognitiva del soggetto in formazione.

La scrittura di sé, della propria storia di vita o autobiografismo consiste essenzialmente in una pratica pedagogica, comunicativa, di lunga tradizione, già utilizzata, in tempi antichi da Marco Aurelio, S. Agostino, Pascal, Rousseau ed, in seguito, anche da tutta la letteratura femminile relativa alla tematica di emancipazione della donna nel ‘900 (Cfr. De Beauvoir, Cardinal, Aleramo, Weil).
Il metodo (auto)biografico inizia a svilupparsi come corrente educativa, in situazioni di grande povertà e miseria esistenziale, intorno alla figura dello studioso Paulo Freire, che approntava una nuova pedagogia sociale, “della strada”, raccogliendo e utilizzando le tragiche storie di vita dei campesinos nelle favelas brasiliane (anni ‘60 e ’70). Letteratura personale attiva, racconto in prima persona è l’autobiografia (dal greco), oppure letteratura personale passiva o biografia, quando gli autori scrivono storie di vita altrui.
Il racconto, la narrazione della personale storia di vita emancipa il soggetto da ogni rischio di manipolazione, di “revisionismo storico” della propria esistenza. L’autobiografia risulta un metodo pedagogico ricognitivo che pone una storia di fronte al legittimo autore, ricostruendo e rimembrando una memoria personale, nel desiderio di autorappresentazione che genera uno specchio di eventi condivisi da altri. Il segreto dell’altruità e alterità a cui attende il biografo consiste nella capacità di essere nel “qui e ora” e nei topoi del passato, ingenerando e suscitando la reminescenza di sé (anamnesi), in una prospettiva di bi-locazione cognitiva: capacità di scoprirsi dotati della possibilità di “dividersi senza perdersi”, nel rimembrare ri-evocativo degli eventi. L’autobiografia non rappresenta solo la sede del ritorno a ciò che si è stati in passato, ma il desiderio di nuove esplorazioni nei meandri dell’esistenza, dove la memoria risulta depositaria dell’esperienza, consentendo al ri-cordo di prendere forma.
La narrazione di sé consiste in un metodo cognitivo che include la memoria, la reminescenza nella prospettiva di percorso auto ed etero-educativo per una autodidattica dell’intelligenza, nel cui ambito la retrospezione attua un’educazione della mente attraverso il pensiero attivo, evolutivo, prima condizione per un lavoro di scavo interiore, introspettivo.
Raccontare la propria biografia educativa, in una nuova prospettiva didattica dell’intelligenza, attraverso il metodo autobiografico finalizzato allo sviluppo cognitivo del discente (soggetto), significa riappropriarsi di un personale potere autoformativo (facoltà di dominio), confrontando, anche in ambito scolastico, le esperienze di educazione istituzionale con processi di autoformazione, emergenti da diversi tipi di legame emotivo/affettivo con gli altri, le cose, se stessi.
L’autobiografia educativa possiede un valore regolativo, perché esplicita al soggetto narrante le modalità per cui ha acquisito, tramite processi cognitivi di apprendimento, nozioni e capacità (apprendimento cognitivo). L’autonarrazione risulta una presa di distanza per rivedere e verificare lo sviluppo evolutivo personale e raccontarlo all’alterità/altruità, in una prospettiva di riappropriazione della responsabilizzazione individuale rispetto alla propria autoformazione.
L’attenzione per i processi mentali non deve rappresentare un’occasione episodica in ambito didattico, ma un’occupazione costante di ogni singolo docente, per esplicitare al discente quali operazioni mentali compiere al fine di risolvere compiti e problemi di natura teorica e pratica.
Il nostro modello di attività mentale è sistemico: ogni manifestazione del pensiero può essere studiata solo in correlazione con le altre.
“Pensare” significa mettere in relazione diverse componenti del pensiero, nella loro intrinseca dinamicità e interattività, in una prospettiva di rivalutazione della natura processuale e dinamica dell’esistenza mentale.
L’intelligenza è l’identità stessa del soggetto: significa approssimarsi all’”altro”, al suo modo di attribuire senso e significato alla realtà: le cose, gli altri, il mondo, se stessi. Secondo Bruner l’intelligenza è ricerca continua di significati per “leggere dentro” ai vari aspetti ontologici dell’esistenza.
Il potenziale intellettivo è contrassegnato da una macro-attività: il potere metacognitivo. Il soggetto intelligente per assolvere al compito di significatore della realtà, utilizza tutte le risorse a disposizione, quindi la facoltà metacognitiva, per poter descrivere il lavoro della mente rispetto ai singoli domini mentali, potenziandoli attraverso la pratica intellettiva.

Laura Tussi - 28-10-2004
Il Novecento è stato il secolo degli estremi, degli opposti, mai capaci di un equilibrio definitivo, quali gli archetipi di democrazia e dittatura, ricchezza e miseria, progresso e barbarie. L’ambivalenza più devastante, il paradosso che ancora oggi ci paralizza è la contraddizione tra l’onnipotenza dei mezzi tecnici a disposizione e la drammatica incapacità dimostrata dal secolo di raggiungere, senza pagare un prezzo sproporzionato, tutti i propri fini etici, politici, sociali.
Il secolo passato è stato il più distruttivo, ma non è solo nella dimensione quantitativa del massacro che ritroviamo la violenza come tratto distintivo dell’epoca, piuttosto nella sua dimensione qualitativa. La violenza tecnicizzata eppure selvaggia sofisticatezza tecnica del delirio politico praticato nel cuore dell’Europa del nazismo e del fascismo. La violenza ha dato vita a una sistematica “eterogenesi dei fini” inaspettata in un’epoca che ha fatto della calcolabilità il proprio dogma: esiste una contraddizione tra la natura programmata e pianificata della sua strumentazione e quella incontrollata dei suoi esiti, rivelando come gli attori della storia quasi non fossero capaci di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. (L.T.)

Ma potremmo chiederci: Il Novecento è il secolo degli opposti o sono gli opposti a fare la storia? Eraclito da millenni ci racconta di opposti in conflitto. La storia è questo, non il Novecento secco, solo e isolato, il secolo breve, quello in cui muore la storia, quello del paradosso o dello squilibrio paralizzante.
La storia è questo, non il Novecento secco, solo e isolato, il secolo breve, quello in cui muore la storia, quello del paradosso o dello squilibrio paralizzante. In fondo in quel Novecento a cui neghiamo dignità, è nato un patrimonio di valori, che avranno magari bisogno di essere ripensati, ma che rappresentano allo stato dei fatti il solo baluardo contro la barbarie del mercato che detta le regole alla politica. (Red)
Laura Tussi - 27-10-2004
La forma dell'articolo ricevuto, sintesi di un incontro certamente più ampio ed articolato, non facilita la comprensione di tutti i concetti espressi.
Pubblichiamo però il pezzo perchè ci pare uno sguardo esterno che si posa sul mestiere ...
Laura, 9 anni - 06-10-2004

C’era tanto fumo, dei lampi e si sentivano i rumori. C’erano i buoni e c’erano i cattivi. Ma anche in mezzo ai cattivi c’erano i buoni, forse anzi sicuramente. Allora mi chiedo: come fanno i soldati buoni a sapere dove sono i cattivi? Come fanno a essere sicuri a non bombardare i buoni? E se non lo sanno come fanno ad essere buoni?

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