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Autore Topic: Sindaci fuorilegge  (Letto 2541 volte)
Luisa
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« il: 26 Agosto 2008 - 08:01:14 »

Sindaci fuorilegge

di Marco Bascetta - da il Manifesto - 12/08/08

Li chiamano «sceriffi», ma i nuovi superpoteri li hanno trasformati in nemici della democrazia
Cosa vi sarebbe di più democratico, contiguo alla nostra quotidianità, radicato nel territorio, vicino ai problemi e alle aspirazioni di chi lo abita, del governo locale? Di quei «comuni» che già nel nome stesso evocano la difesa di una comunità sociale e politica dall'arroganza di poteri lontani, astratti, predatori?

Non è forse stato il «decentramento», la partecipazione popolare, il confronto ravvicinato, l'articolazione massima della sfera pubblica, una bandiera irrinunciabile del radicalismo democratico? E, tuttavia, l'ideologia contemporanea e il ceto politico italiano, che la alimenta e se ne alimenta, hanno provveduto a trasformare queste aspirazioni in un incubo, il governo locale in un formidabile dispositivo di repressione e regolamentazione delle vite.

Remoti sono i tempi in cui i comuni difendevano gli usi civici, e cioè i beni della collettività, dalle pretese dei feudatari. Semmai si tratta oggi di venderglieli o concederglieli a condizioni di massimo favore. A colpi di demagogia e procurati allarmi, dotandosi di giannizzeri ben armati e di volontari addestrati al controllo e alla delazione i governi comunali vanno trasformandosi in piccole satrapie elettive, che celano l'incapacità di migliorare la qualità dei servizi e la quantità delle risorse, dietro lo spettacolo della repressione capillare.

Il decreto Maroni, che conferisce ai sindaci poteri speciali «in materia di sicurezza» imprime a questa catastrofica deriva una spaventosa accelerazione. A infelicitare la nostra esistenza quotidiana e ridurre la libertà di tutti , soprattutto di quanti non dispongono dei mezzi per comprarsela sul mercato, non sono tanto le leggi, discusse nei parlamenti e raccolte nei codici, (sebbene anche queste facciano in molti casi la loro parte) quanto una selva di ordinanze, normative, divieti, prodotte dall'arbitrio di valvassori e valvassini della governance diffusa, sostenuta dagli interessi corporativi e particolari che la circondano e la aizzano.

Questo «potere di ordinanza» viene ora esteso oltre misura e sottratto al controllo della magistratura, ovvero all'obbligo di essere coerente con le leggi dello stato. In altre parole l'arbitrio dei sindaci può spingere la sua «creatività», come del resto quotidianamente accade, fino a imporre normative discriminatorie e limitazioni della libertà dei singoli o di determinate comunità, che contraddicono radicalmente l'ordinamento giuridico e i principi democratici. Sottraendo inoltre, chi ne cadesse vittima, a qualsiasi tutela e garanzia.

L' «ordinanza» diviene così un atto di sovranità fuori da ogni controllo, una decretazione quotidiana e banalizzata dello stato di emergenza che consentirà di discriminare, come già sovente accade, sulla base della razza, della religione, del censo, dell'età, del sesso o delle inclinazioni sessuali, infischiandosene dei principi e delle leggi. Gli esempi offerti dalla cronaca sono innumerevoli. Dai comuni che vietano la residenza a chi non disponga di un reddito superiore a una determinata cifra, a chi mette una taglia sulla cattura degli immigrati clandestini, a chi, come l'ineguagliato sindaco di Verona Flavio Tosi, fra molte altre nefandezze, privilegia nelle graduatorie per gli asili nido le coppie sposate ad alto reddito rispetto a quelle conviventi a basso reddito, fino alla guerra diffusa contro le moschee e gli insediamenti rom. E così di seguito ogni primo cittadino, senza freni o impedimenti, potrà conformare la vita cittadina alla sua personale concezione di legge e ordine, al suo proprio catechismo ideologico.Proibire, per esempio, che nei parchi pubblici si «sosti» nottetempo in più di due persone (Novara). È il federalismo della repressione, la fine dell'eguaglianza dei diritti.

Chiamare questi «amministratori» sceriffi non è sbagliato: sembrano usciti da un western di serie c. E poiché eletti, come gli sceriffi, i sindaci sono sospinti ad assecondare gli umori della maggioranza. In assenza di vincoli e tutele ci vuol poca fantasia a indovinare che le prime vittime delle loro ordinanze saranno le minoranze: rom, stranieri, omosessuali, turisti squattrinati e «irregolari» d'ogni razza e colore.

E la sicurezza, quel bene supremo, quella magica parola né di destra, né di sinistra, che corre sulla bocca di tutti? Della prostituzione, della mendicità, dei lavavetri, degli scarabocchioni che imbrattano i muri, dei venditori ambulanti si può pensare quello che si vuole, ma non certo che attentino alla sicurezza di qualcuno, che costituiscano un'emergenza tanto grave da legittimare la truce demagogia dei sindaci e l'estro repressivo degli assessori. La sicurezza, in questo caso, è una parola menzognera e un colossale imbroglio.

I sindaci dei comuni italiani, con poche distinzioni tra destra e sinistra, stanno avviandosi a diventare i nemici più insidiosi della democrazia e della libertà dei singoli; signorotti locali, circondati da corti voraci e applauditi da corporazioni egoiste e abbarbicate ai propri privilegi. Tutti ispirati da quel principio guerrafondaio e discriminatorio che considera un territorio come proprietà privata degli «autoctoni» e lo riorganizza in conseguenza come quei condomini di ricchi statunitensi in cui la Costituzione è sospesa e le guardie private garantiscono, con metodi spicci e senza impedimenti, l'ordine condominiale.

Le nostre città rischiano così di diventare tante piccole e grandi Dogville, quella comunità ipocrita e feroce, sorridente e carogna, descritta in un illuminante film di Lars von Trier.

Il partito dei sindaci è un vero incubo. Forse è arrivato il momento di organizzare una brigata volontaria di caschi blu, o rossi, o verdi, che si assuma il compito di esportare la democrazia e i più elementari principi di civiltà a Verona, Novara, Treviso, Padova, Salerno, Bologna, Firenze, Vicenza, Roma, Milano e molti altri luoghi. Una forza d'interposizione tra i giannizzeri municipali e le loro vittime di turno. Una guerra umanitaria contro la cattiveria e la stupidità.

ARMI AI VIGILI DI ROMA

Pistola, spray anti-aggressione e mazzette distanziatrici, ovvero i manganelli di plastica. Oltre a paletta e fischietto i pizzardoni romani avranno anche questi «strumenti» in dotazione. Per le pistole si tratterà di armi a funzionamento semiautomatico, «scelte tra i modelli inseriti nel Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo». È quanto prevedono i 18 articoli del «Regolamento dell'armamento degli appartenenti al corpo della polizia municipale di Roma», firmato nella tarda serata di mercoledì dal sindaco Alemanno con i sindacati di categoria. Per diventare operativo il regolamento dovrà avere l'approvazione dal consiglio comunale, prevista a settembre.

L'armamento, si legge nel documento, «è adeguato e proporzionato alle esigenze di difesa personale». «Nel regolamento - spiega il responsabile della Cisl Fp di Roma Giancarlo Cosentino - si parla di difesa personale perché noi non siamo addetti alla pubblica sicurezza in via primaria, come la polizia, ma siamo ausiliari di pubblica sicurezza. In caso di minaccia all'incolumità dei cittadini non esiteremo ad usarla». L'arma può essere portata anche al di fuori dell'orario di servizio nel territorio comunale di Roma. Per custodire le armi in dotazione e le munizioni è istituita l'armeria principale presso la sede del Comando Generale del Corpo, ma il sindaco può decidere di istituire altre armerie in sedi decentrate.


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