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Autore Topic: Milano - Parlano genitori rom con figli che frequentano le scuole  (Letto 3699 volte)
aemme
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« il: 12 Luglio 2008 - 07:17:50 »

Parlano genitori rom con figli che frequentano le scuole
QUI FAMIGLIA. DATECI PIÙ CREDITO

Tutti sono d’accordo: l’esperienza scolastica è il passaggio fondamentale per l’integrazione. Ma i ragazzi devono fare i conti con i modelli aggressivi di chi invece sceglie subito la via allo sbando. Perciò...

Adolescenza? Parola sconosciuta per gli almeno 4mila minori rom che nell’ultimo anno sono andati alla scuola media. E sconosciuta anche per i loro genitori, senza armi nell’affrontare la situazione, «perché per noi genitori l’adolescenza non è mai esistita, i nostri figli sono i primi ad avere la possibilità di frequentare un intero ciclo scolastico senza dover lavorare per sopravvivere», dice Graziano Halilovic, rom bosniaco che ha 36 anni e sei figli, tre maschi e tre femmine che vanno dai 6 ai 17 anni. Genitori e figli che si trovano di fronte a una doppia difficoltà: da una parte la tradizione rom che ancora fatica a riconoscere l’investimento a lungo termine della scuola, dall’altra un desiderio di integrazione che per molti di loro è sempre più una necessità.

Il risultato è «una generazione a metà, ragazzi persi tra due identità agli antipodi». Spiega Halilovic: «Da una parte hanno i compagni di scuola e la vita “normale” della società in cui si stanno cercando di inserire, dall’altra i coetanei del campo che a scuola non ci vanno e vivono di espedienti spesso illegali, dai quali si sentono derisi».

Difficile uscirne. Ma non impossibile: «È chiaro che solo se il minore che va a scuola diventa un modello vincente sarà da riferimento per gli altri e non viceversa. Per questo, noi rom “fortunati” dobbiamo trovare più rappresentatività nella società italiana», spiega Halilovic, che già è responsabile Istruzione della Federazione rom e sinti insieme. «Così faremo capire ai genitori rom più disagiati che la scuola è il luogo dove i loro figli si costruiscono  un futuro».

Per molte famiglie rom il contatto con il mondo esterno è infatti solo fonte di guai, e la legge del campo, a volte, è dura: «Ci sono gli stessi stereotipi ma al rovescio, ad esempio il gagio (il “non rom”, ndr) è visto con disprezzo perché durante l’adolescenza non porta a casa soldi», dice Carlo Stasolla, 42 anni, sposato con una rom montenegrina, padre di due figli con i quali gestisce un centro di accoglienza per minori, spesso nomadi, a Roma.

«Non c’è da generalizzare, comunque, perché ci sono tanti mondi diversi nell’universo rom», spiega Stasolla, «da chi legittima la questua e non si fida della scuola a chi ha capito che la soluzione sta nell’incontro con la cultura dove si è ospiti».

Un incontro che può portare il minore rom a una scelta forte: «Mio figlio minore, che ha 16 anni, va alle superiori e ha scelto di passare l’estate nel campo rom di Casilina 900, ospite di amici slavi», aggiunge Stasolla. Ma è una mosca bianca. «Uno dei miei figli ha oggi 12 anni e non vuole dire a nessuno di essere rom», rivela infatti Halilovic. «Come padre rom italiano, faccio molta fatica a capire cos’è meglio per i miei figli», incalza Bruno Morelli, 51 anni, docente di arte a Roma, sposato con una maestra e padre di tre figli di 20, 18 e 10 anni, tutti studenti. «Vedo in loro la difficoltà di capire chi sono veramente, visto che nella scuola i rom non sono riconosciuti nemmeno come minoranza e della loro cultura non c’è tracciaı». La scuola: alla fine, parlando di minori rom, si torna sempre lì. «È il luogo della contaminazione», prosegue Morelli, «ma per essere positiva la contaminazione deve essere l’incontro fra culture, non può essere un’assimilazione».

(D. B.)

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