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Autore Topic: Carlo Cuomo  (Letto 4782 volte)
Luisa
Administrator
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Posts: 358


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« il: 30 Giugno 2008 - 09:15:16 »

A Carlo       
 
Carlo.Carlo capace di ascoltarti; Carlo che amava discutere, cercava il confronto con tutti e sapeva mediare tra chiunque se necessario. Carlo. Il suo carisma la sua pazienza; Carlo greco, italiano, nomade, immigrato: cittadino del mondo intero. Carlo compagno. La sua radicalità e la sua voglia di unità al contempo. Cultura, speranza e tenacia. Carlo ironico, mai rassegnato e riflessivo. Carlo saggio adulto e giovane militante assieme. Carlo presente e Carlo sempre puntuale. Utopia e realismo. Costanza e perseveranza. Carlo che proponeva e Carlo che ridimensionava. Carlo e i più deboli, i più emarginati e gli esclusi: la sua capacità di capire e identificarsi nei bisogni. Carlo che piaceva, Carlo che entusiasmava e Carlo che era stimato. Carlo che lottava, che non rinunciava e Carlo che ci credeva. Carlo e Milano, la sinistra e i compagni. Carlo e la voglia di esserci. Carlo la storia e il futuro. Carlo i popoli e le culture. Carlo poeta e maestro di politica. Carlo nella Filef ancora. Carlo sempre in tutti noi.

Il Direttivo della F.I.L.E.F. Lombardia Circolo Carlo Levi (Ottobre 98)

 

QUESTA PAGINA è DEDICATA A CARLO : di seguito potete trovare suoi scritti, sue foto e parole di altri su di lui (segnalateci, se volete, altro materiale per renderela più completa e ricca)

Speriamo in questo modo di dare la possibilità a chi non l'ha mai conosciuto di farlo anche solo un pò in questo modo.

Carlo Cuomo, una brava persona - di E.Rossi
Proletariato multietnico - di C.Cuomo
E' morto un comunista nomade - di M.Cartosio
Fotografie di Carlo
 

Carlo Cuomo, Una Brava Persona
di Ernesto Rossi (Presidente della Filef Lombardia dal 9 Maggio 1999)


Carlo se n'è andato rapidamente, all'improvviso, quasi al termine d'una convalescenza già impaziente di progetti arretrati e futuri. Progetti disegnati con appassionata costanza nella gran massa di problemi che era solito affrontare e gestire in democratica solitudine. Da solo, ma sempre aperto ad ogni confronto con amici, collaboratori, estranei, avversari. In mezzo a tutto quello che di lui continua, nelle scelte politiche sempre ragionate, testimoniate, rivisitate criticamente, nelle associazioni che animava, nel fascino discreto e immediatamente persuasivo della sua cultura, tanto profonda da non esser mai appariscente, nel discorsivo modo di argomentare, nella ricchezza di aneddoti, nella competenza musicale e cinematografica, nei rapporti personali e affettivi, nel piacere di tirar tardi raccontando cantando bevendo... di lui continua a vivere un ricordo forte, civile, umano, talmente ricco profondo diffuso, da negare l'avvenimento che vorrebbe impedirgli di continuare ad esserci. Carlo è vissuto costantemente in una dimensione politica, che si è quasi perduta, fatta di passione quotidiana e di riflessione, di letture e riletture, animata dalla voglia di discutere e confrontarsi a cercar le ragioni, a trovare insieme le vie, a scrutare insieme gli obiettivi; attento sempre ai grandi scenari e alle mete lontane -gli ideali, sì-, ma capace di dedicarsi con la stessa attenzione ai problemi del giorno, senza perdere neanche in questo l'orientamento. Ascoltava tutti con rispetto, segno distintivo della civiltà delle persone. Ascoltava e rispondeva. E a chiunque sapeva parlare in modo autentico e diretto. Da non farsi dimenticare. Anzi, da conquistare l'altro e, volentieri, l'altra. Un uomo dolce colloquiale e generoso che non ha tuttavia mai perso la giovanile capacità d'indignarsi. Perché ha scelto presto da che parte stare, dalla parte dei deboli e degli sfruttati, les daìnnés de la terre, come dice, fra le tante canzoni che conosceva e cantava in più lingue, la più amata, l'internazionale. Comunista per sempre, nomade, cosmopolita, uomo senza confini e senza pregiudizi, Carlo ha dedicato gran parte della sua vita, che non sapeva concepire non utile, al movimento dei lavoratori, alla costruzione di una nuova società multiculturale e plurietnica, difendendo e organizzando i migranti, e alla faticosa difesa da tante feroci e stupide persecuzioni dei più diversi tra i diversi, i Rom e i Sinti, che gli altri chiamano ztngari. Carlo ha detto una volta che avrebbe voluto essere ricordato come una brava persona. Un'espressione apparentemente dimessa, che è invece precisa, diretta, ricca d'implicazioni. Riassuntiva, insomma, di com'era lui. Se non lo avete conosciuto, mi dispiace davvero molto. Però potete in parte rimediare, coraggio: leggete, studiate, ragionate, toglietevi gli occhiali quando guardate il mondo. Forse vedrete tutto confuso, non importa, la realtà è questa. Gli occhi, come dice il fotografo cieco Evgen Bavcar, sono nella mente. E' lì dentro che bisogna attrezzarsi con strumenti e disponibilità a capire. Senza mai dimenticare che compito di ogni brava persona è di stare dalla parte giusta. Non per assistere o giustificare nè per combattere ogni cosa, ma per aiutare i miseri a rilevarsi da se medesimi. Così Carlo rimane con noi non solo nei ricordi, ma anche nei progetti, possiamo interrogarlo interrogandoci e ricevere in cambio le sue critiche e il suo sorriso.

 

Proletariato Multietnico
di Carlo Cuomo (Intervento letto a Milano il 17 aprile 1998)


Come leggere la nuova società Non possiamo continuare a fare l'analisi della Lombardia mettendo tra parentesi o accennando appena ad un dato strutturale: il proletariato lombardo è ormai da molto tempo, in modo crescente e irreversibilmente, un proletariato multietnico. E mano a mano che il proletariato multietnico si radica (matrimoni misti, ricongiungimenti familiari, nascite), la società lombarda diventa ineversjbilmente multietnica. Non possiamo fare un'analisi strutturale della Lombardia e non chiederci perchè molti immigrati vengono qui a partire da una certa data, e perchè, mentre tutti parlano della possibilità che si riapra l'immigrazione dal Sud al Nord del Paese, gli immigrati stranieri abbiano già cominciato a farlo... Cioè, qual è la struttura del capitalismo, dell'economia lombarda che esige, a partire da un certo momento storico, questa forza-lavoro aggiuntiva? E come è collegato questo processo al meccanismo di precarizzazione, di lavoro nero, di spostamento dall'attività industriale all'attività terziaria'? Questa analisi non deve essere aggiuntiva ma intrecciarsi con l'analisi della realtà lombarda. Il sentimento xenofobo è accentuato e portato a conseguenze orribili dalla Lega, ma non ècreato dalla Lega: è frutto della differenza proprio di quella parte di popolazione vulnerabile, se non già vulnerata, verso l'elemento estraneo che arriva. Il problema non è solo quello di lavorare per creare solidarietà "verso" gli immigrati, i diversi, ma di cominciare a costruire solidarietà "tra", lotte solidali comuni, perchè non è la pedagogia ideologica che sposta il senso comune profondo della gente, ma l'essere coinvolti in azioni. Dico cose banali e semplicissime: conosco a Milano molte ottime persone diventate xenofobe perchè non hanno ottenuto la casa popolare mentre ad alcuni immigrati, giustamente, è stata assegnata. Una lotta solidale "per" aumentare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica a buon mercato può creare, invece di inimicizie, una tendenziale unificazione con gli immigrati. Non sono utopie: negli anni '50 e '60, quando la diffidenza, anche all'interno del proletariato. verso gli immigrati e i meridionali non era minore, è così che abbiamo battuto, a Milano più che nelle altre regioni, la paura e il razzismo e creato solidarietà di classe; la diversità culturale veniva accettata, magari anche irrisa in alcuni momenti, ma all'interno di comunità che tendevano ad unificarsi. Uno dei limiti, lo dico come autocritica per l'insieme della cultura della sinistra milanese e lombarda, è il fatto che oggi parliamo di questa realtà accennandola appena, mentre è uno degli elementi di fondo. Concludo con una considerazione: vedo comportamenti essenzialmente difensivi e pedagogiei, mentre occorre un progetto che partendo dal rispetto verso la multietnicità operi nel profondo e costruisca un'interculturalità dinamica e vera. Abbiamo già perso un'occasione. Lo dico sommessamente e con esitazione: negli anni '50 e '60 abbiamo puntato esclusivamente sul fatto che a lombardi, veneti, calabresi, siciliani, bastasse diventare proletari (il proletario universale non è meno astratto del cittadino universale) per risolvere i problemi, senza tentare di costruire un intreccio dinamico tra culture diverse e antiche e il loro modo di rapportarsi con una condizione socio-economica moderna, e poi di diventare classe. Anche verso gli autoctoni abbiamo già perso la prima opportunità di questo lavoro sulla multietnicità e sulla interculturalità: c'è stata, da parte della cultura di sinistra verso le culture popolari lombarde, un'indifferenza, se non addirittura disprezzo, che poi abbiamo finito col pagare. Quando siamo riusciti a creare il proletario in sè e per sè consapevole andava bene, ma l'italianità mediocre e media che abbiamo costruito al posto di culture più profonde, sia locali che immigrate. non è stato un successo nè politico nè culturale. Allora oggi dobbiamo porci seriamente questo problema e, ha ragione Lunghini, chi se lo deve porre non deve essere essenzialmente e solo l'arcipelago del terzo settore e dell'associazionismo. Abbiamo bisogno che questa ricchezza di autorganizzazioni e Iniziative funzioni, certo, ma che stia all'interno di un progetto alto, organizzato. Quindi c'è una responsabilità forte della Cgil, del sindacato, dei partiti: non separarsi dalle cose che faticosamente si sono costruite, ma alimentarsi da queste, proponendo una volontà, una capacità di organizzazione, un obiettivo che sia all'altezza del problema. Altrimenti rischiamo di avere il gruppetto di cinesi che vivono tra loro, il gruppetto di marocchini e poi, peggio di tutto, il gruppetto di italiani innamorati dei marocchini o dei cinesi, che è una cosa davvero micidiale.

 

È Morto un Comunista Nomade
di Manuela Cartosio (da Il Manifesto, 10 ottobre 1998)


In una giornata non bella per la sinistra si è spento a Milano Carlo Cuomo. Un male rapido e perentorio ha chiuso la vita di un comunista giramondo, poliglotta, colto, buono, simpatico, disposto al cercare ancora e al provarci ancora. E una perdita grave per una città dove la sinistra è flebile e triste. Il Manifesto perde un amico carissimo, un prodigo azionista, un lettore accanito e severo. Nelle assemblee Carlo ci toglieva la pelle -- per i suoi gusti non eravamo mai abbastanza di sinistra, mai abbastanza spregiudicati ma ci voleva bene. Faceva telefonate in punta dei piedi, per segnalare sulla pagina milanese le iniziative dell'Opera Nomadi o della Filef. Agli zingari e agli immigrati, alle minoranze che calamitano l'odio, l'esclusione, il razzisrno, Cuomo aveva dedicato questi ultimi anni. Era invidiabile la sua capacità di tenere insieme le piccole azioni concrete e la voglia di pensare in grande, di mescolare la fontanelia per un campo nomadi con la rilettura di Marx. Carlo era un meticcio per nascita, vita e cultura. Era nato 65 anni fa ad Atene da madre greca. A 17 anni è a Parigi, dove si laurea in storia alla Sorbona. A Milano arriva nel '55 un anno dopo entra nel Pci dove affascina tutti e tutte cantando Brassens - e lì resta fino all'uscita dal Pds degli ingraiani con cui dà vita alla Convenzione per l'alternativa. Consigliere comunale e più volte assessore negli anni '60 e '70, conosceva bene e da dentro Milano. L'ha vista cambiare, insieme alla politica, in modi che non gli piacevano: non ha reagito con la rassegnazione o con l'accidia; la politica per lui continuava ad essere indispensabile come l'aria. Era disposto a fare riunioni politiche anche la vigilia di Natale, si teneva libero solo quando arrivavano in anteprima a Milano i film da Venezia. Quest'anno non c'è riuscito, è morto con il desiderio dell'ultimo Kusturica. E di molte altre cose.

 
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