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Autore Topic: Fascismo: dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite  (Letto 4286 volte)
Luisa
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« il: 28 Giugno 2008 - 09:56:37 »

Fascismo:
dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite

Per sette anni, dal 1938 al 1945, l’Italia fascista fu un Paese ufficialmente e concretamente antisemita; più precisamente, dapprima (fino al 25 luglio 1943) si ebbe la “persecuzione dei diritti degli ebrei”, poi (dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945) la “persecuzione delle vite degli ebrei”.

Il periodo della persecuzione dei diritti può essere convenzionalmente fatto iniziare il 14-15 febbraio 1938, quando il Ministero dell’Interno dispose il censimento della religione professata dai suoi dipendenti. Il 22 agosto 1938 venne effettuato un censimento generale degli ebrei a impostazione razzista. Nel frattempo in luglio era stato diffuso il documento teorico “Il fascismo e i problemi della razza” (poi noto col titolo fuorviante “Manifesto degli scienziati razzisti”) e in ottobre il Gran Consiglio del fascismo approvò una “Dichiarazione sulla razza”. La persecuzione dei diritti (introdotta dalle leggi “per la difesa della razza” e da numerosi provvedimenti amministrativi) colpì in particolare i settori del lavoro e della cultura: gli ebrei vennero espulsi dalla scuola (2 settembre 1938) e da tutti gli impieghi pubblici (10 novembre 1938), compreso l’esercito, vennero sostanzialmente emarginati dalle libere professioni ed eliminati dalle attività culturali; inoltre vennero loro progressivamente limitati gli impieghi presso ditte private, la gestione di attività commerciali, le iscrizioni nelle liste di collocamento al lavoro. Vennero posti limiti al possesso di case, terreni e aziende. La persecuzione fu di tipo razzista e non religioso (il bambino nato da due genitori “ariani” era classificato “ariano”, anche se professante la religione ebraica; e viceversa). Vennero assoggettate alla persecuzione circa 51 mila persone, cioè poco più dell’1 per mille della popolazione della penisola. Vennero vietati nuovi matrimoni “razzialmente misti” di “ariani” con “semiti” (10 novembre 1938; il divieto riguardava anche i matrimoni con “camiti”, oggetto peraltro questi ultimi di una normativa persecutoria autonoma, varata a partire dal 1936). L’antisemitismo permeò la vita del Paese in tutti i suoi comparti, a iniziare da quello scolastico.
La persecuzione doveva concludersi con l’allontanamento di tutti gli ebrei dalla Penisola. Mussolini decise nel settembre 1938 l’espulsione della maggioranza degli ebrei stranieri e nel febbraio 1940 l’espulsione entro dieci anni degli ebrei italiani. L’ingresso dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940 bloccò l’attuazione di queste decisioni, e gli ebrei rimasero bloccati in un Paese che non li voleva. Il fascismo aggravò la persecuzione dei diritti, istituendo nel giugno 1940 l’internamento degli ebrei italiani giudicati maggiormente pericolosi (per il regime) e degli ebrei stranieri i cui Paesi avevano una politica antiebraica, nel maggio 1942 il lavoro obbligatorio per alcune categorie di ebrei italiani e nel maggio-giugno 1943 dei veri e propri campi di internamento e lavoro forzato per gli ebrei italiani.

Durante il periodo dei quarantacinque giorni, il nuovo governo Badoglio annullò quest’ultima decisione, revocò alcune norme persecutorie minori, ma lasciò in vigore tutte le leggi antiebraiche.
Il periodo della persecuzione delle vite degli ebrei ebbe inizio l’8 settembre e non riguardò gli ebrei dell’Italia meridionale e insulare, liberata dalle truppe anglo-americane entro la fine di quel mese. Tuttavia la grande maggioranza dei perseguitati abitava nell’Italia centro-settentrionale, assoggettata all’occupazione tedesca e al nuovo Stato fascista poi denominato Repubblica Sociale Italiana. In queste regioni, la persecuzione fu gestita da tedeschi e da italiani, tranne che nelle “zone di operazione” Alpenvorland e Adriatisches Kuestenland (Prealpi e litorale adriatico), ove fu gestita solo da tedeschi.

I nazisti intrapresero subito la loro politica di arresto-concentramento-deportazione-eliminazione e di rapina dei beni. Già il 15-16 settembre 1943 arrestarono e deportarono 22 ebrei di Merano e, negli stessi giorni, rapinarono e uccisero quasi 50 ebrei (tra i quali, vari milanesi) sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. La prima retata attuata da un reparto specializzato di polizia fu quella del 16 ottobre 1943 a Roma: quel sabato vennero rastrellati 1.259 ebrei; due giorni dopo 1.023 di essi vennero deportati ad Auschwitz (tra di essi vi era anche un bambino nato dopo l’arresto della madre). Il 1° dicembre anche le autorità italiane cominciarono ad arrestare gli ebrei e a internarli in campi provinciali; alla fine di quel mese iniziarono a trasferirli nel campo nazionale di Fossoli, nel comune di Carpi, in provincia di Modena.

Nella prima metà del dicembre 1943 le autorità di Berlino esaminarono la politica intrapresa dalla Repubblica Sociale Italiana e decisero di lasciarle il ruolo principale nell’organizzazione degli arresti e nella gestione dei campi provinciali. Nelle settimane seguenti i due governi conclusero un accordo terribile e segreto (oggi non attestato da alcuna documentazione, ma comprovato logicamente dai fatti noti) per l’assegnazione ai tedeschi degli ebrei che venivano trasferiti dagli italiani nel campo di Fossoli (nel marzo 1944 anche la gestione del campo di Fossoli fu consegnata ai tedeschi i quali, a fine luglio-inizio agosto 1944, lo spostarono a Gries, nel comune di Bolzano). Così, i convogli di deportazione allestiti dai tedeschi dopo il gennaio 1944 trasportarono anche le vittime arrestate da italiani e consegnate consapevolmente ai tedeschi.

Nell’Adriatisches Kuenstenland gli ebrei arrestati furono raccolti dapprima nel carcere di Trieste e poi nel campo allestito nella Risiera di San Sabba, e vennero deportati con convogli autonomi.
Dalla Penisola vennero deportate circa 6.800 persone identificate (di esse, quasi 6 mila furono uccise) e circa 1.000 persone non identificate. La grande maggioranza dei deportati fu inviata ad Auschwitz; di questi, pochissimi fecero ritorno. Inoltre più di 300 ebrei furono uccisi in territorio italiano. Tra tutti gli ebrei, il gruppo maggiormente colpito fu quello dei 21 rabbini-capo delle Comunità Israelitiche: 9 di essi furono deportati (tutti ad Auschwitz, e nessuno sopravvisse).
I perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa 35 mila. Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell’Italia meridionale; 5 mila-6 mila riuscirono a rifugiarsi in Svizzera; gli altri 29 mila vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città, protetti da antifascisti e persone dotate di buon cuore e senso della giustizia.

Circa 1.000 ebrei parteciparono attivamente alla Resistenza; circa 100 di essi caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella Penisola o in deportazion.

http://www.binario21.org/fascismodeportazione.htm
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