la superficie e il gorgo 
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Giuseppe Panella
 
ALLA SUPERFICIE DEL MODERNO
note sul rapporto tra arte e Metropoli nella cultura del Novecento

PARTE 1 - PROLOGO IN TERRA

 
"Una dialettica, che non resti più "incollata" all'identità, provoca se non l'occusa
di non avere terreno sotto i piedi ? che si può riconoscere nei suoi frutti fascisti -
quella di far venir le vertigini. Tale sensazione è centrale nella grande poesia
a partire da Baudelaire; anacronisticamente si fa ora capire alla filosofia che non
deve avere niente a che fare non cose del genere"
.
(Theodor Wiesegrund Adorno, Dialettica negativa)

1. PROLOGO IN TERRA
Punto di partenza di gran parte delle più importanti esperienze estetiche cd artistiche tra la fine dell'Ottocento ed i primi tre decenni del Novecento è la sicura consapevolezza di ciò che la Città sarebbe divenuta nel futuro più prossimo: la Metropoli. Nella New York di Whitman, come al polo opposto, nella Dublino di Joyce (1) si ritrovano tutti i segni della trasformazione antropologica di cui la Città sarà la maggiore artefice (anzi, la protagonista assoluta).
Nelle tre ricostruzioni di tale mutamento (che ho scelto come campione di un repertorio che potrebbe essere altrimenti ben più vasto), la Città per eccellenza al centro dell'indagine è Parigi: un microcosmo che raccoglie al suo interno infinite possibilità di attraversamento e di lettura degli accadimenti storici.
La città (come assai bene aveva capito Thomas Mann che dedicò a questo fenomeno un saggio esemplare (2)) non sono soltanto punti sulle carte geografiche, ma soprattutto luoghi dello spirito. Parigi è la Città che da sempre allude alla grande Metropoli che, per molti, moltissimi anni, è stata. Per Walter Benjamin, che ne fu suo 'incantato' descrittore e suo primo, esauriente 'cartografo', per Schinitzler che la considerò il luogo adatto (insieme alla Grande Vienna fin de siècle) per la sua messa in scena del `teatro della Storia' (3), per Aragon e per Breton che la lessero come la ricostruzione "topografica" del loro inconscio di artisti, Parigi rappresentò il punto ideale di connessione in cui coordinate teoriche e pratica letteraria potevano intersecarsi e divenire realtà concreta: il toppunt in cui esse si riconobbero incontrandosi per ricostruire, poco a poco, un mosaico interminabile che permise loro di mostrare quello spettacolo cui solo per accenni e per ammicchi avevano avuto la possibilità di alludere. Anche per essi, Parigi rappresentava in sé una categoria dello spirito: rimandava a qualcosa che soltanto nella Storia e nella Teoria aveva ritrovato la propria ragion d'essere. Nel suo crogiuolo, destini generali e destini individuali si incontrano per costruire qnel 'mito' (per usare un'espressione cara a Giovanni Macchia) che la renderà, attraverso gli ultimi due secoli, il territorio incontaminato della sperimentazione artistica ed il regno elettivo degli intellettuali "in esilio" rispetto alle città della produttività dispiegata. Parigi è il luogo del dominio della pratica artistica, ma è anche (nello stesso tempo) il laboratorio dove verranno sintetizzati i composti chimici e le soluzioni alcaline per la disgregazione programmatica di essa. Nei suoi vicoli, nei suoi passages, nei piccoli alberghi a poco prezzo, nelle mansarde, nelle soffitte dai vetri rotti e dalle porte malferme, nelle osterie, nei bistrots e nei sobborghi che ne costituiranno la cintura suburbana sempre più integrata al suo centro storico "naturale", tutto si compie in anticipo e ciò che in essa si verifica condanna le altre Metropoli del "mondo nuovo" all'imitazione ed all'inseguimento (o, almeno, una simile situazione si è verificata fino all'avvento ed al trionfo dell'informazione telematica).
Ville Lumiére del presente e dell'avvenire, nelle sue strade si consuma in anticipo quello che più tardi darà senso alla vita degli altri (e costituirà, forse, il vero motivo della sua crisi come città?guida in ognuna delle attività in cui eccelleva "Merita di essere raggiunto dalla sua epoca colui il quale si limita ad anticiparla" (Wittgenstein, 1930)). Per questo motivo, come si è già detto, diviene una città?emblema: simbolo araldico della vecchia Europa. In questa sua condizione di stemma vivente, la Metropoli appare lo specchio di qualcosa che già si intravede dietro di essa: le trasformazioni oggettive della struttura economico?sociale si rivelano dapprima quali mutamenti simbolici, come tarli sottili che incrinano l'apparente solidità dell'unità sociale. Gli sconvolgimenti urbanistici che affascinano il Benjamin del Passagenwerk, le sottili alchimie verbali che trasportano il sogno nella realtà e poi riconducono questa a quello, l'irruzione del misterioso (4) e del pre?conscio nella vita quotidiana sotto forma di trouvailles (strani oggetti senza norma né funzione che, tuttavia, obbediscono egualmente ad altre norme e ad altre funzioni ? che parlano, di conseguenza, un linguaggio altro rispetto a quello della quotidiana fatica del giorno e della veglia (5)) possono essere unificati (nella loro capacità allusiva) sotto il segno e la protezione di Parigi, dinamica metafora di se stessa, di una verità, dunque, che si lascia a malapena intravvedere. I problemi che risultano connessi all'interpretazione di quei segni lasciano intendere, alludono al nuovo che sta emergendo per ergersi vittorioso sulle rovine del vecchio che è ormai sulla via del trapasso. Nelle grandi città (e, soprattutto, nella Metropoli allora prossima ventura il cui modello era dato da Parigi) il futuro si ritrova così, inaspettatamente, nei polverosi residui di un passato che non parla più se non a chi sa interrogarlo, nell'archeologia sottile di chi sa rintracciare nei fossili l'avvenire e l'avvenire in un passato che ne è già stato travolto.

NOTE
(1) "Anch'io vissi, Brooklyn dalle ampie colline fu mia,/Anch'io percorsi le strade dell'isola di Manhattan, e mi tuffai nelle acque che la circondano,/Anch'io avvertii strane domande improvvise agitarsi entro me./ Di giorno t