identità e imperfezione 
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Mario Amato
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LA SETTIMA NOTA
 
Un angelo era sceso sulla terra.
Era un angelo –per così dire– particolare nella gerarchia celeste.
Egli aveva occupato, insieme con altri sei suoi consimili, il posto più vicino al Signore – che sempre sia lodato.
Era stato, se pur per un tempo brevissimo, uno degli angeli cantori del coro di Dio.
Dovremmo soffermarci sull’espressione “tempo brevissimo”, su quel tempo che l’angelo, il nostro angelo, aveva trascorso nel complesso di voci suddetto.
Ma tutto il sapere filosofico secolare e l’intera scienza di profeti e teologi concordano - e non fatto irrilevante – nel riconoscere che il tempo è soltanto una misura umana; ed anche la nostra ragione lo suggerisce, ma nonostante ciò l’assenza di tempo non entra nell’intelletto dei mortali, e tanto meno in quella di coloro che alle speculazioni filosofiche preferiscono il fluire della narrazione.
Eppure è scritto, nel Libro dei Libri, che Dio creò il mondo in sei giorni.
Il nostro angelo è legato alla creazione dei giorni.
Alla fine di ogni giorno il Signore – che sempre sia lodato – vide che ciò che aveva fatto era cosa buona. Volle adunque creare, al termine di ogni giorno, un angelo cantore, la cui voce allietasse i cieli. Ad ogni angelo fu dato di possedere una nota, il cui suono è tanto perfetto da non poter essere immaginato dalla mente umana.
Al sesto giorno, con il sesto angelo, il coro fu in grado di intonare la melodia perfetta, il canto dei canti, che solo a Dio può essere levato.
Non è del tutto da respingere l’opinione di quegli antichi che ritenevano le sfere celesti produttrici – o dovremmo dire creatrici? – mediante il loro movimento di una musica armoniosa. Può darsi che qualcuno di quegli antichi sapienti dalle lunghe barbe e dagli occhi pensosi abbia tanto teso l’udito o il cuore o il fegato da percepire un suono lontano e soave; ma la sua mente ha molto probabilmente, una volta caduta l’estasi, cercato di spiegare con parole umane ciò che era stato l’inizio di un dialogo dell’anima con il mondo originario.
Il sesto giorno il coro innalzò il suo canto: gli angeli stessi si beavano di quell’armonia che, partita da loro, si spandeva con eguale intensità per tutti i cieli e diveniva parte di quel regno. E tutte, tutte le schiere angeliche partecipano del suono che infondeva la felicità somma di essere gli eletti di Dio – che sempre sia lodato -, perché è detto che il respiro degli angeli è lode a Dio, ma nessuna lode era più giusta e santa di quella dei sei cantori.
Il settimo giorno il Signore – che sempre sia lodato – riposò.
Così è scritto.
Il coro tacque.
Ma un angelo si era avvicinato ai sei.
Aveva osato!
Gli angeli hanno il loro sito secondo il loro essere ed il loro uffizio, il che è, a ben guardare, la medesima cosa.
È scritto che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma nulla è scritto dell’aspetto angelico.
Aveva osato!
Quest’angelo aveva udito la melodia; tutto il suo essere ne era stato pervaso; aveva voluto – colà ove la volontà è solo di Uno – avvicinarsi ai cantori e nel fervore del suo amore s’era unito all’altissimo canto, un attimo prima che esso tacesse.
Egli non era stato creato per quell’ufficio ed…aveva stonato.
I sei elettissimi, non potendo per loro natura comprendere che quella non fosse la volontà divina, non avevano smesso immediatamente; pur nei loro sguardi v’era stato un cenno di smarrimento.
Poi il silenzio s’era diffuso nel santo reame, ma non quel silenzio che governa l’anima umana – solo paragoni umani possiamo accennare – nella pace, bensì quel silenzio rigonfio di presagi come nubi annunciatrici dell’uragano.
Un tremito aveva percorso l’angelo che ora stava dinanzi a Colui che l’aveva chiamato.
Noi non osiamo dar voce a Colui di cui onoriamo il nome, pur tuttavia è nostro compito riferire.
L’angelo aveva trasgredito l’ordine dei cieli, ma non era un ribelle. Egli non si era posto contro il Signore; aveva agito in un eccesso d’amore. La sua intenzione era stata di dare un’intensità maggiore al suo respiro che, come sappiamo, è già di per sé lode a Dio – che sempre sia lodato. Ma agendo in tal modo era uscito dall’ordine dato, perché la facoltà di scelta non è degli angeli, bensì dell’uomo e della donna.
Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza – è scritto.
In più, senza intenzione, senza superbia, s’era posto al di sopra della sua schiera.
Doveva dunque essere punito, ma non così severamente come si castiga un ribelle, e neppure tanto blandamente da poter incoraggiare simili azioni.
Il pensiero di poter sfidare l’Altissimo non aveva sfiorato l’angelo e neppure aveva presunto di levarsi al di sopra della coorte cui era destinato.
Superbia e orgoglio non hanno peso in questo dibattimento.
L’errore – o volete chiamarla colpa? – rimaneva.
L’angelo, né ribelle né altezzoso, s’era appropriato di un dono non dato agli esseri celesti: la volontà. Aveva mostrato di preferire alla condizione angelica quella umana. Egli aveva mostrato invidia – anche se non ne era cosciente –per quegli esseri che sulla terra nella loro imperfezione nascono con dolore, vivono con fatica, periscono con sofferenza.
Nascita, vita, morte erano frutti inebrianti di un albero chiamato volontà.
Egli doveva lasciare i cieli.

Zain
Egli dovrà scendere sulla terra e confondersi con gli esseri umani.
Avrà ciò che ha chiesto: la volontà.
Il Signore – sempre sia lodato – non disfa ciò che nella sua magnificenza ha fatto.
L’angelo non è imperfetto; a lui non può essere assegnata la morte.
Egli è stato creato per lodare il Signore. Questo è il suo compito e non può essere mutato.
A lui sarà assegnato il nome di Zain, giacché volle essere il settimo.
Scenderà sulla terra e vagherà alla ricerca di suoni e voci che sappiano intonare il canto sublime che il coro dei suoi fratelli leva.
Egli cercherà sette voci, sette suoni, poiché lo ha reso possibile.
Soltanto quando il coro da lui prescelto innalzerà l’inno sublime, la celestiale armonia, allora, solo allora per l’angelo esiliato si riapriranno le porte del cielo ed egli si porrà, eletto fra gli eletti, a guida del coro.
L’angelo, cui era stato imposto il nome di Zain, ascoltò; poi lasciò la dimora infinita, uscì dalla porta senza porta, e accolse i vestimenti umani.

1 Alef
Ha camminato nella notte oscura, nella notte delle notti, nella tenebra primigenia, con fratelli esiliati, alla ricerca di una terra promessa. Con gli scacciati ha alzato gli occhi al cielo e ha reso grazie, incurante che il canto potesse attirare i nemici assetati di sangue, come il rapace ode l’agitarsi della preda.
2 Beth
Ha udito il ferreo fragore delle armi superbe di guerrieri feroci, incomprensibile musica di un desiderio ignoto ed ha udito il palpito tremebondo dei loro cuori
e dopo la battaglia ha ascoltato il pianto di uno e più re, lacrime versate sulla vanità umana.
3 Gimel
In palazzi di uomini potenti ha ascoltato, fra ori e gemme d’ogni sorta che contendevano la luce alle stelle, cantatrici d’ogni dove
e lo scalpitio degli zoccoli dei puledri che dalle stalle rispondevano all’eco dei nudi piedi delle danzatrici.
4 Daleth
Nascosto tra le fronde, ha ascoltato parole di giovani e fanciulle che vicendevolmente tessevano lodi d’amore
e ha rubato le parole delle fronde mosse dal vento
5 He
Ha origliato allo stridio della penna di uno scrittore che intesseva labirinti per catturare l’anima del mondo
e il rumore della bava del ragno che edifica la sua tela
6 Waw
Ha sostato vicino a voci di madri che accanto a schioppettanti focolari, carezzando riccioli di bimbi dagli occhi incantati, raccontavano fiabe con voce amorosa
ed ha udito la fiaba crepitante del fuoco.

Ha percepito il suono della lacrima di un poeta in cerca del suo sogno
il suono evocatore delle campane nella mattina albeggiante
il germogliare d’un bocciolo nella notte di primavera
il battito d’ali d’una candida colomba altissima nel cielo
la melodia dello zufolo d’un giovane pastorello fra monti silenti
il nascere di un filo d’erba nel rorido mattino.

Fu attento ad ogni respiro, ad ogni alito della terra e di tutti gli esseri animati, udì le cicale estive e l’uragano invernale, il nascere delle primavere e seppe che i colori dell’autunno hanno un suono, ascoltò l’usignolo e il fruscio delle serpi, lo squittio di esseri minuscoli e i discorsi dei pesci degli abissi, l’ululato del lupo e i canti dei fiori delle foreste, si fermò estasiato davanti a tutti i templi da dove giungevano le litanie dei fedeli, imparò tutti gli idiomi, raccolse tutti gli strumenti inventati dall’uomo per far musica, compose canti, ballate, sinfonie…
Non trovò la settima nota, il canto dei canti.
Traversò il tempo che non conobbe.

A volte Zain, l’angelo esiliato sta seduto sulla vetta del più alto dei monti e guarda perduto le nubi: attende.
Attende, guarda perduto le stelle seguendo un itinerario già percorso.
Ascolta assorto il silenzio: a volte gli pare di udire provenire da dietro le nubi, da oltre le stelle, un suono vago, lontano, sublime, un suono già udito in un’altra patria, in un altro mondo, in un altro tempo.
Ascolta rapito il silenzio. Egli, l’angelo esiliato, prova ad accoglierlo nella sua celeste anima, perché sa che allorché potrà cantare quella melodia, allora, solo allora, la porta senza porta si riaprirà, ed egli , cantando, dimenticherà il passaggio terreno.