il principe e il convivio 
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Mario Amato
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LA VITA E LA MORTE IN BIANCO E NERO
 
Più che difficile, raccontare una o più partite a scacchi, è noioso, soprattutto per chi non conosce questo gioco, che in realtà è molto più di un gioco. Esso fu avversato dalla Chiesa, perché distraeva da pensieri più alti, non fu amato da Goethe, che riteneva che impegnare la mente in un semplice gioco significava sciupare energie cerebrali inutilmente; anche in una bellissima poesia di Pessoa troviamo la descrizione di due giocatori talmente impegnati in una partita da non avvedersi che intorno a loro è scoppiata la guerra, le case bruciano, i figli vengono deportati, le mogli uccise..
In questi giudizi negativi è tuttavia insita la grandezza del gioco degli scacchi, simile alla guerra e alla vita, come ben ci spiegano alcuni grandi scrittori. Ne “La novella degli scacchi” di Stefan Zweig (1), sua ultima opera prima del suicidio avvenuto il 22 febbraio 1922, il dottor B. incontra, durante un viaggio in nave, il campione mondiale di scacchi, che è un uomo rozzo ed ignorante, ma insuperabile in quel gioco, e riesce a tenergli testa. Come può accadere? Il dottor B.. racconta la sua storia: arrestato dai nazisti, egli viene torturato, ma non fisicamente, bensì nell’anima. È imprigionato per giorni, forse per mesi, in una stanza completamente vuota, non può parlare con nessuno, non può scrivere né leggere e di tanto in tanto viene condotto in un ufficio, ma nessuno lo interroga; egli siede per ore, ancora in silenzio, e poi, sempre in silenzio, ricondotto nella stanza vuota. La speranza, egli confessa, era che qualcuno lo interrogasse, addirittura lo torturasse, per poter urlare, per poter accorgersi di essere vivo.
Questa terribile speranza ci immette in un orrore che solo chi ha provato il male assoluto può descrivere: gridare di dolore per sentirsi vivi! Trovarsi di fronte al proprio nemico per sapere di essere ancora un uomo! Quale disperazione maggiore si può immaginare? Il niente assoluto è simile al male assoluto. Tale niente assoluto lo ha ben narrato Elie Wiesel, sopravvissuto al Lager di Buchenwald, nel romanzo “Il quinto figlio”(2), in cui uno scrittore viene incarcerato e interrogato; qui siamo però nella Russia sovietica e staliniana. Il KGB cerca di sapere nomi dei dissidenti, senza successo, finché lo lascia solo nella sua stanza, ma mette sul tavolo carta e penna. Dopo lungo tempo, lo scrittore cede alla tentazione e scrive le sue memorie.
Da una parte abbiamo una stanza vuota, dall’altra delle pagine bianche. Il dottor B. si salva dalla pazzia grazie ad un libro, il quinto figlio cade nella trappola. Ambedue i libri parlano di tirannia e di dolore, dolore non fisico ma spirituale, perché ogni dittatura ha lo scopo di spezzare gli uomini nell’anima.
Al dolore è legato il primo romanzo di Paul Mauresing La variante di Lunebürg”(3), storia di una rivalità fra due esseri umani, iniziata sui banchi di scuola delle scuole elementari e protrattasi per tutta la vita. La rivalità si gioca sulla scacchiera e leggendo il libro si comprende perché nessun giocatore di scacchi userebbe mai l’espressione “giocare una partita”, ma piuttosto “fare una partita”.
Sia il libro di Zweig che il libro di Mauresing non sono narrazioni sul gioco degli scacchi, ma su ciò che è essenziale nella vita, e sulla sua vicinanza alla morte. Gli scacchi rappresentano, nell’uno e nell’altro caso, la lotta eterna fra il bene ed il male, come forse era nell’intenzione dello sconosciuto inventore di questo gioco. È – dice il narratore de “La variante di Lunebürg – lo sport più crudele che esista. Tale crudeltà è ben evidente in un racconto di Arrigo Boito del 1862 intitolato “L’alfiere nero”, in cui un uomo bianco, George Andersen, e un uomo di colore, ex schiavo, si sfidano in una partita che dura un’intera notte. La partita ed il racconto hanno un tragico epilogo.
In tutte queste narrazioni l’argomento non è il gioco, ma la vita, che mette a volte di fronte a situazioni inimmaginabili, a emozioni, paure, speranze, memorie. Gli scacchi, ha detto un mio amico, buon giocatore, sono uno stato d’animo. Fernando Pessoa e Johann Goethe lo sapevano, ma forse avevano torto: nel museo di Verdun, teatro della più sanguinosa battaglia della prima guerra mondiale, c’è una piccola scacchiera spezzata a metà da una granata; i due soldati che fecero qualche partita dimenticarono per un piccolo lasso di tempo la morte e la follia intorno a loro e forse si riappacificarono con la vita.

1) Zweig, Stefan, La novella degli scacchi, Garzanti, 2004
2) Wiesel, Elie,Il quinto figlio, Giuntina, 1993
3) Mauresing, Paul, La variante di Lüneburg, Adelphi, 1993