mo(n)do solare mo(n)do notturno 
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Alfonso Cardamone
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LE FIABE GLI ALGONCHINI LA LUNA
 
Giuseppe Sermonti, "oscuro raccoglitore di stelle" come ha amato definirsi, nel passare dall'antropologia (La Luna nel Bosco, Rusconi 1985) alla fiabistica (Fiabe di Luna, Rusconi 1986), conferma ed esalta la sua fedeltà al pallido astro. Da metafora e figurazione di una "particolare condizione umana", la luna diviene maga dotata del potere di "suscitare immagini senza fine", suggeritrice di concetti e di parole primigenie, suscitatrice di una saggezza lieve depositatasi "nei milioni di anni, nelle centinaia di milioni di anni, sui tessuti della vita...". Vale la pena di citare per esteso:
"Se penso a una luce che ha impressionato, nella vera notte dei tempi, la pellicola del pensiero, se penso a una storia recitata prima di tutte le storie, se penso a un incanto che ha pervaso la vita primordiale, penso alla luna".
L'archetipo lunare sarebbe dunque alla base delle più antiche storie del mondo, delle fiabe, cioè, come delle leggende e dei miti. "Tante trame fiabesche e mitologiche acquistano dalla luna un senso profondo e fatale".
Cenerentola, per esempio, analizzata e sezionata alla luce della luna sul testo dei Grimm, quello più vicino alla tradizione orale e popolare e dunque al nucleo originario della narrazione.
La luna è trina, ci ricorda Sermonti, nova, cava, plena. Ed ecco che le due sorellastre, belle e bianche di viso, ma brutte e nere di cuore, allusioni/rappresentazioni dei due aspetti trionfanti e superbi, luminosi della luna, si oppongono a Cenerentola, modesta e buona, allusione/rappresentazione della fase declinante e funebre (luna nova o cinerea). E che cosa fanno, una volta preso possesso della casa, le sorellastre a Cenerentola? Le tolsero i suoi bei vestiti, le fecero indossare una vecchia palandrana grigia e le diedero un paio di zoccoli. Là dove la "palandrana grigia", che viene a sostituire i "bei vestiti" (le luci della luna splendente quando è in opposizione al sole, qui raffigurato dal fuoco del focolare) è l'ombra che occulta la luna cinerea e gli "zoccoli", calzature inadatte al ballo celeste, sono, all'opposto, elementi perfettamente congrui alla sorte di chi, oscura ed oscurata, langue accanto alla fiamma del focolare (ed è cioè in congiunzione solare).
Ma una luna nuova, una luna morta deve sempre resuscitare, a conferma del simbolismo di speranza che è legato al ciclo lunare, e così Cenerentola si fa portare dal padre un "rametto di nocciolo", che pianta sulla tomba della madre, quindi riprende la via della luce (il rametto, scrive Sermonti, "è un pezzetto di luna, ma crescerà e fiorirà, come getto della vecchia luna (dalla tomba)"). Ed eccola alla festa del Principe solare, per tre notti ("la festa è il plenilunio, che appunto dura tre giorni, allorché la luna è splendente di fronte al sole (in opposizione) nel passo più bello della sua danza. La veglia al castello è in contrapposizione al sonno davanti al focolare"), vestita di oro e di argento, intenta a ballare la sua eterna danza celeste.
E mentre "la modesta Cenerentola celebra la luce, le sorelle la perdono, private degli occhi".
Molte altre illuminazioni balenano dall'analisi di Cenerentola (e delle altre fiabe e miti e storie compresi nel volume), ma siano sufficienti quelle sopra accennate a dare il senso dell'operazione e a costituire premessa a quanto seguirà nella presente nota.
C'è una leggenda algonchina ("Piccola Faccia Bruciata", in Leggende Indiane, a cura di Pierluigi D'Oro, Fabbri 1989), che viene a fornire una sorprendente conferma alla tesi lunare del Sermonti, almeno per quanto attiene alla fiaba di Cenerentola.
E evidente, infatti, in questa storia pellerossa, la contaminazione con la celebre fiaba europea, che si innesta però su una preesistente radice mitologica originaria. E in questo doppio aspetto risiede, a mio giudizio, l'interesse straordinario di Piccola Faccia Bruciata.
La protagonista della storia è un incontestabile calco del personaggio di Cenerentola. Terza di tre sorelle, di cui le più grandi "abili e carine, ma pensavano solo a se stesse", era "molto bella, ma timida e fragile". Anche lei è orfana di madre e abbandonata spesso alle angherie delle prepotenti sorelle maggiori (il padre spesso "partiva per dei lunghi viaggi di caccia, affidando la figlia più piccola alle cure delle sorelle più grandi"), che non solo la caricano della soma dei lavori domestici, deridendola "continuamente per l'aspetto dimesso e i vestiti laceri" (la sera, si legge, si sedeva sola accanto al fuoco e si addormentava subito, senza neanche mangiare per la stanchezza), ma alcune volte, con crudeltà indescrivibile, la facevano "avvicinare al fuoco così tanto che le si era bruciata la pelle del viso e delle braccia".
Anche i capelli erano bruciacchiati dappertutto dalle scintille del focolare. Fin qui la corrispondenza diretta Cenerentola-Piccola Faccia Bruciata. Ma più avanti la storia vira, abbandona il tracciato della fiaba europea e torna a sprofondare nell'autoctono e ancestrale sostrato mitico.
Sull'altra sponda del lago -è detto- viveva insieme con la sorella uno strano e misterioso personaggio: si favoleggiava che fosse bellissimo e molto forte, ma nessuno aveva mai visto né lui, né la sua ombra. Era chiamato l'Invisibile. E, anzi, non viveva propriamente in quella capanna, ma a quella capanna tornava le sera, quando il sole tramontava, non visto, ma solo annunciato dal rumore che faceva la pagaia della sua canoa sull'acqua.
L'Invisibile è dunque il corrispettivo funzionale del Principe di Cenerentola (anche lui "stava cercando moglie"), ma è anche e prima di tutto il protagonista di un preesistente mito fondamentale. Quale? Vediamo di riconoscerlo attraverso le sue attribuzioni e prerogative. Intanto, egli rientra nella propria dimora al tramonto, attraversando le acque invisibile agli uomini (acque infere, accesso ad un mondo altro proibito ai mortali?); in secondo luogo, la corda del suo arco è l'arcobaleno e la cinghia per la caccia è la Via Lattea. Non ci possono essere dubbi, l'Invisibile è il Sole, il Dio del Sole che, compiuto il giro diurno, sprofonda invisibile nell'oscura dimora, che -ricordiamo- in ogni cultura è al di là delle acque, nel mondo infero.
E chi sarà allora Piccola Faccia Bruciata, unica fanciulla a superare la prova (scorgere l'Invisibile e darne contezza dichiarando alla di lui sorella di che cosa sono fatte la corda dell'arco e la cinghia per la caccia)?
Anche per lei non possono esserci dubbi: è la Luna, la Dea algonchina della Luna.
Come la lunare Cenerentola di Sermonti, anche Piccola Faccia Bruciata, prima di recarsi al fatidico incontro, "si lavò ben bene le mani e il volto", anzi andò al lago a fare il bagno. E se il lavaggio dalla polvere, o cenere, come scrive il Sermonti, "simboleggia l'illuminarsi della luna", il togliersi di dosso "l'odore di vivo", "di donna" per rendersi divina, questo significato è rafforzato e ulteriormente svelato nella leggenda algonchina dalla lunga tunica di bianca corteccia di betulla che la fanciulla indossa dopo il bagno. In più ella mette attorno al collo una bellissima collana di conchiglie bianche, "che aveva formato con quelle portate dal padre" (allusione alle stelle che la luna raccoglie nel suo percorso zodiacale?).
Ma ancora non è completamente addobbata per la danza celeste della rigenerazione luminosa: non ha scarpe ed è costretta ad indossare dei grandi mocassini di suo padre, che dovette legare alla caviglia per non perderli, calzature grossolane come gli zoccoli della Cenerentola Luna in fase cinerea, inadatti al ballo celeste. Solo quando avrà dato prova di essere la predestinata alle fatidiche nozze riceverà dalla sorella dell'Invisibile (che intanto l'avrà per una volta ancora lavata con una odorosa acqua risanatrice delle cicatrici che la deturpavano e pettinata fino a che i capelli "diventarono lunghi e luminosi come le ali di un uccello") dei piccoli mocassini, equivalenti della scarpina di Cenerentola, cioè della "sottile luminosa falce con cui inizia il percorso celeste della luna".
Ormai, infatti, Piccola Faccia Bruciata è di fronte all'Invisibile. "Poi si sedettero insieme davanti alla capanna, mentre le ombre della sera scendevano sul grande lago". La Luna, ormai plena e splendente è in opposizione al Sole e, calzando i giusti calzari, come ballerina, è pronta a ruotargli di fronte.