mo(n)do solare mo(n)do notturno 
[ Testo:  precedente  successivo  ]  [ fascicolo ]  [ autore
Beniamino Fioriglio
 
IL TEMPO DELL'OROLOGIO
 
- Per me tutto è legato all'orologio. Il tempo è infinito: il giorno e la notte, il buio e la luce si inseguono incessantemente; le giornate scivolano l'una sull'altra, come i mesi, gli anni...! Ma puoi arrestare questa corrente ritagliando una parte del tempo e suddividendola in tante parti più piccole, fino all'ultimo intervallo. Diversamente, ti perdi!

Una volta, quand'era bambino, si era smarrito nel tempo. Un ricordo lontano: s'era assopito al mattino o forse in un pomeriggio assolato; la luce dubbiosa del crepuscolo di un giorno umido di pioggia l'aveva sorpreso al risveglio... avvertiva la sensazione di vacillare sul nulla...
Lentamente, era riemerso nello spazio consueto, ma comprendeva a fatica il meccanismo della luce e del buio, lo scorrere a tratti lento, a tratti tumultuoso di quelle che chiamavano ore.

Da allora era andato avanti negli anni col proposito di non lasciarsi trascinare dal flusso continuo del tempo.
E c'era riuscito, a suo dire.
Aveva intessuto di trame sottilissime lo spazio dei giorni e con atteggiamento sicuro attraversava gli intervalli piccoli e grandi scanditi dall'onnipresente orologio:
- ore 6.00: mi sveglio
- ore 6.02: mi alzo
- ore 6.03: preparo il caffè
- ore 6.07: verso il caffè nella tazzina
- ore 6.08: lascio cadere un cucchiaino di zucchero nella tazzina
- ore 6.10: bevo il caffè
- ore 6.12: .....
- ore 6.22: .....
- ore 6.34: .....
Fino al termine della giornata.
Nulla concepiva al di fuori delle innumerevoli cifre che segnavano il tempo dei giorni. Perfino l'incidente, dopo i primi attimi di smarrimento, era presto ingabbiato nella rete dei numeri.
Alla guida di vecchie automotrici su una linea ferroviaria ormai quasi in disarmo, percorreva le sue giornate tra tabelle di marcia, segnali, nomi di stazioni, ricordi che si ripetevano quotidianamente, con cadenze monotone.
- Una volta, la linea aveva la trazione a vapore; piccole locomotive a vapore, lucide e nere, trascinavano affannosamente una dozzina di vagoni per la montagna. Ad ogni stazione bisognava fermarsi per il rifornimento dell'acqua...
- Una volta - stava per finire la guerra, marzo o forse aprile del '44 - un reparto tedesco fece saltare le rotaie...
- Una volta, nel '59, ci fu l'alluvione! Il fango...
- Una volta...

Del tempo che apparteneva al passato non aveva timore; gli appariva come qualcosa di estraneo che riusciva a controllare con calma; talvolta sovrapponeva fatti lontani al presente e si divertiva a mescolare tutto in un groviglio che poi lentamente dipanava, separando oggi da ieri o dall'altro ieri; altre volte ricacciava indietro con una voluttà feroce avvenimenti di qualche giorno prima.
Talvolta, nei pomeriggi d'estate, quando una luce abbagliante accendeva le strade, gli slarghi con magri alberi e l'asfalto assumevano l'aspetto di uno stagno opaco, bluastro, si lasciava sorprendere a fantasticare, al di là delle reti intrecciate del tempo... ricordi d'infanzia... passeggiate lungo il fiume con il padre..., ma presto, impaurito, ricacciava queste memorie riducendole ad ombre che svanivano appena il suo tempo riprendeva a pulsare:
- ore 15.10: ascolto il telegiornale
- ore 15.11: accendo una sigaretta
- ore 15.12: faccio la prima boccata
- ore 15.13: .....
- ore 15.18: .....

fino al termine della giornata.

C'era qualcosa, tuttavia, che era sempre sfuggita alla sua ansia di ordine: la notte. Non il buio spezzato da luci al neon o l'oscurità letteraria dei campi ricamati dalla luce lunare, ma il tempo evanescente dei sogni, un tempo che si dilatava e si accorciava, si colorava, pieno di silenzi, luci, suoni, immagini che assumevano l'aspetto della realtà quotidiana, ma solo all'apparenza.
- Nel sogno bevi vino e non ti ubriachi, cadi e non ti fai male! Puoi volare senz'ali, entri in case di persone sconosciute, ti siedi e parli di fatti che ignori. Ritorni indietro nel passato, qualche volta puoi scivolare nel futuro! È un tempo strano, che sfugge: ti svegli, ricordi tutto nitidamente, cerchi allora di mettere ordine, chiudere tutto come in uno spazio chiuso da una siepe, ma i contorni delle cose sfumano, le immagini stesse sbiadiscono, poi tutto scompare...

D'inverno, quando il treno s'inerpicava faticosamente per la montagna e tutto appariva uniforme: le stazioni dai muri scrostati dall'umido e i nomi insignificanti, gli alberi spogli, le persone dal volto senza sorriso, allora ripensava, al di là del grigio della realtà quotidiana, ad altre realtà, intraviste nei sogni, a paesaggi di luci e colori.
E confrontava il suo tempo, modesto, limitato, certo, sicuro, con l'altro, sempre sfuggente.
Ma erano momenti d'incertezza, attimi, perché subito ritornava col pensiero ai segnali, alle stazioni, alle tabelle di marcia... 15.47... 15.53... 16.03...

fino al termine della giornata.

Ma, allo scorrere lento del tempo, un sogno lo tormentava, ricorrente, ma a cadenze non fisse... immagini sempre identiche che finivano con il lacerare il tessuto uniforme delle giornate e spesso, a fatica, riemergeva nella gelida consapevolezza del presente ... strade grigie di pioggia, cortili lastricati di pietre storiche, giardini di palazzi nobili umidi di nebbia
... suoni che diventavano voci
voci di quand'era bambino
voci di madre, di figlio,
voci di ricordi... speranze
brandelli di discorsi che faticava a ricomporre nella mente e che poi dissolvevano in sussurri incomprensibili...
il piccolo treno procedeva in una luce incerta: uno stanco pomeriggio, il crepuscolo, o, forse, l'aspetto lattiginoso del cielo preludeva ad una giornata di sole?
Riavvertiva dopo molti anni l'antica sensazione, penosa, di essersi smarrito nel tempo...

Quella sera, quando il suo piccolo treno scivolò nell'intricata ragnatela di binari della stazione centrale, una pioggia sottile colorava di riflessi indistinti i segnali... rosso... verde... giallo... verde... forse verde... certamente verde!

- Avevo l'impressione che il treno non rispondesse più alla mia mano. Il rombo del motore sembrava il respiro affannoso di chi cerca disperatamente di sfuggire a qualcosa.
Avvertivo il fiato di questo ansimare...
... e attraversammo stazioncine illuminate dai nomi sconosciuti, incrociammo lenti, interminabili convogli, ci inoltrammo in boschi fittissimi popolati da incubi, galleggiammo su distese di acque incolori.
E tutto avvolgeva una penombra infinita.

S'arrestò alla fine il respiro affannoso.
Davanti ai miei occhi fasci di binari coperti di erbacce, vagoni squarciati, vecchie locomotive arrugginite, pensiline coperte dal muschio, polvere e ragnatele dappertutto.
Un enorme orologio di latta dalle cifre indistinte scandiva il silenzio del tempo.