mo(n)do solare mo(n)do notturno 
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Alfonso Cardamone
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DINO CAMPANA: LA NOTTE E IL PIU' LUNGO GIORNO -
IL PIU' LUNGO GIORNO
 
Tornando all'esitazione del Luzi da cui siamo partiti, sarà forse possibile, dopo quanto detto, risolverla in senso positivo: Campana è profondamente un poeta orfico e non c’è discrasia tra i due titoli.
Alcune considerazioni sul valore di segno dei titoli si impongono.
Abbiamo già ricordato, a proposito del significato di Canti Orfici, quanto suggerito da Carlo Bo, richiameremo adesso la testimonianza di Federico Ravagli, il quale ricorda come lo stesso Campana con quel titolo intendesse esplicitamente porre in risalto l'intenzione esoterica dei suoi Canti. "Orfici? Perché? La parola non ci parve chiara. E Campana disse allora di Orfeo, di misteri orfici, di potenza dionisiaca, di miti cosmici".
Ma adesso sappiamo che il titolo primitivo era un altro e la sua lezione non era esplicitamente orfica: Il più lungo giorno. E allora? Forse che non c'è legame tra la dichiarazione esplicitamente orfica del secondo e la locuzione, che di quel riferimento esplicito manca, del primo? Il titolo successivo appare forse come una forzatura rispetto a quello in un primo tempo concepito? quasi un titolo posticcio, dovuto a un ripensamento posteriore, che darebbe magari ragione a quei critici di tendenza "visiva", che ritengono l'orfismo di Campana come il prodotto di un semplice abbaglio volontaristico? Io non credo. Anzi, penso che proprio la locuzione il più lungo giorno tradisca l'originaria ferma e determinata scelta esoterica di Campana. Questa mia affermazione poggia su due elementi (anzi, probabilmente tre), che mi paiono sufficientemente solidi e probanti.
l) Il più lungo giorno. Questa espressione, così formulata, non è senza storia nei documenti letterari che di Campana possediamo. La medesima locuzione si trova infatti in un passo del Taccuinetto faentino, quel "quadernuccio per appunti di piccolo formato" al quale Campana -come scrive il Falqui- "aveva affidato molti barlumi e molti lampi dei suoi Canti in prosa e in verso". A pagina 63 dell'edizione vallecchiana del Taccuinetto faentino leggiamo: "...più lungo giorno 'dell'amore' 'antico' ". Queste parole sono comprese in alcuni abbozzi che interessano l'ultima parte del poemetto in prosa La Notte, che apre i Canti Orfici, e precisamente (come avverte Domenico De Robertis, che ha curato la pubblicazione del Taccuinetto) gli ultimi due paragrafi della parte II (Il viaggio e il ritorno) e la parte III (Fine). La presenza della locuzione più lungo giorno in questo contesto, accompagnata dalla specificazione "dell'amore" e dall'aggettivo "antico" (che probabilmente va riferito a giorno), anche se questi ultimi sono oggetto di due cancellature, ne chiariscono il significato, definendone i connotati misteriosofici e soteriologici. La Notte è infatti -come abbiamo visto– la storia di un viaggio dell'anima (il più lungo giorno appunto) dalle tenebre del mondo empirico allo splendore del mondo sopra-razionale e mistico; un viaggio iniziatico, antico ed orfico, in cui la lussuria, l'amore ha la duplice valenza di peccato umano che richiede il riscatto e di strumento che, attraverso l'azione medianica della memoria, opera il riscatto, l'umana liberazione. Il viaggio iniziatico che l'anima affronta nella Notte è un viaggio che si svolge nel più lungo giorno antico dell'amore. Il titolo del manoscritto altro non sarebbe, quindi, che una metafora dell'esoterico viaggio dell'anima di Campana-Faust-Orfeo.
2) A pagina 66 del Taccuinetto faentino troviamo un’altra espressione chiaramente indicativa dell'orfismo campaniano, che è singolarmente simile nella struttura alla locuzione del titolo del manoscritto ritrovato a Poggio a Caiano: "Parte prima del libro i notturni/ e il libro finisce nel Più chiaro giorno di Genova". Campana aveva sicuramente l'intenzione (non realizzata solo perché le forze gli "vennero a mancare") di fare della sua opera un tutto organico, strutturato nella dimensione di un poema incentrato sulla figura di un nuovo Faust, "con accordi di situazione e di scorcio", che avrebbe dovuto svilupparsi secondo una ben precisa linea interna, che dalla tenebra iniziale conducesse alla luce del più chiaro giorno. Ricordiamo, a questo proposito, ancora una volta, che il poemetto in prosa La Notte, se non con il "più chiaro giorno", termina con lo splendore gioioso delle "bianchezze di trine", della "polvere luminosa" e delle "fantasie multicolori".
Il viaggio orfico dell'anima del poeta, il suo più lungo giorno, doveva concludersi dunque nel più chiaro giorno, in cui il poeta vince e dissolve il pauroso "gorgo" notturno, risolvendolo nel mito orfico dell'eterno metatemporale che rasserena e riscatta l'esistenza umana dalla condanna esistenziale del caso, dell'arido e dell'informe, del frammentario e dello scheletrico, della schiavitù del tempo e della carne.
A queste due citazioni va aggiunta l’espressione contenuta in Crepuscolo mediterraneo, composizione abbozzata forse prima dello smarrimento del manoscritto, "Chi può dirsi felice che non vide le tue piazze felici, i vichi dove ancora in alto ancora in alto battaglia glorioso il lungo giorno in fantasmi d’oro …".
Dove mette conto rilevare che le piazze felici, i vichi e lo stesso lungo giorno sono tutti elementi riferibili a Genova, cioè, appunto, a quello che avrebbe dovuto essere il poema del Più chiaro giorno di Genova.

Pag. 120: Poi che la nube si fermò nei cieli/ lontano sulla tacita infinita/ marina chiusa nei lontani veli,/ e ritornava l’anima partita/ che tutto a lei d’intorno era già arcana-/mente illustrato del giardino il verde/ sogno nell’apparenza sovrumana/ de le corrusche sue statue superbe:/ e udii canto udii voce di poeti/ ne le fonti e le sfingi sui frontoni/ benigne un primo oblio parvero ai proni/ umani ancor largire: dai segreti/ dedali uscii: sorgeva un torreggiare/ bianco nell’aria: in numeri dal mare/ parvero i bianchi sogni dei mattini/ lontano dileguando incatenare/ come un ignoto turbine di suono./ Tra le vele di spuma udivo il suono./ Pieno era il sole di Maggio.
Pag. 122: Preludii dal groviglio delle navi:/ i palazzi marini avevan bianchi/ arabeschi nell’ombra illanguidita/ ed andavamo io e la sera ambigua:/ ed io gli occhi alzavo su ai mille/ e mille e mille occhi benevoli/ delle Chimere nei cieli: …/ quando/ melodiosamente/ d’alto sale, il vento come bianca finse una visione di Grazia/ come dalla vicenda infaticabile/ de le nuvole e de le stelle dentro del cielo serale/ dentro il vico marino in alto sale, …/ dentro il vico ché rosse in alto sale/ marino l’ali rosse dei fanali/ rabescavano l’ombra illanguidita, …/ che nel vico marino, in alto sale/ che bianca e lieve e querula salì!/ “Come nell’ali rosse dei fanali/ bianca e rossa nell’ombra del fanale/ che bianca e lieve e tremula salì: …”/ Ora di già nel rosso del fanale/ era già l’ombra faticosamente/ bianca …/ bianca quando nel rosso del fanale/ bianca lontano faticosamente/ l’eco attonita rise un irreale/ riso: e che l’eco faticosamente/ e bianca e lieve e attonita salì…