salomè o della seduzione 
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Fernando Mastropasqua
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EVOÈ !
Dioniso e il principio della femmina
 
La storia di Dioniso, così come la racconta Euripide nelle Baccanti, è la storia di una persecuzione. Il dio appare in scena come "straniero" e "perseguitato". Fin dalla nascita la vita di Dioniso non è facile: conosce presto la segregazione e la morte (1). Il contrasto nelle Baccanti è tra il dio perseguitato e Penteo, maschera del kratos, il potere inteso come "la superiorità nelle varie forme della competizione"(2). Penteo, in quanto autorità dello stato, bracca Dioniso e le donne trasfigurate in baccanti, ma finisce, a sua volta, braccato dallo straniero e fatto a pezzi dalla madre. Il confronto tra lo straniero e il diritto dello stato, dominato dalla violenza di Penteo, provoca da parte del perseguitato un ferocia barbarica, al di là di ogni pietas umana e di ogni legge. Euripide ci pone di fronte alla natura intima del dio. Nel racconto del Messaggero [vv. 1076-1104] viene descritta la più segreta epifania dionisiaca: il grido del nume in una luce di fuoco, il profondo silenzio, il vento in furia.
Anche il culto di Dioniso non ebbe vita facile. Di contro a un'immensa popolarità lo accompagna un ostile scetticismo. Molti furono i martiri, tra i suoi seguaci. Ancora a Roma, e in epoca tarda (186 a.C.), il suo culto fu violentemente represso e Penteo massacrò donne e bambini(3). Clara Gallini, commentando l'episodio, sostiene che "i baccanali si qualificano come un movimento religioso scisso dall'autorità politico-statale, anzitutto per il fatto che sono un movimento avente scopi cultuali ed esclusivamente tali. Essi costituiscono un rituale in cui ciascuno, a titolo personale, entra in contatto con la propria divinità, presso la quale si ricerca una forma di evasione totale rispetto alla situazione sociale, politica e religiosa del tempo, da considerarsi anch'essa come una totalità. Sono, in altre parole, un'istituzione eversiva perché vogliono avere a che fare esclusivamente col mondo degli dèi" (4).
L'importanza del dio va dunque colta proprio nella sua condizione di estraneo, di straniero rispetto ai sistemi politico-religiosi del tempo. Anche se ritenuto il doppio greco di Osiride, Dioniso tra le divinità egizie ha più somiglianze con Seth, colui che fa violenza, come lo definisce Plutarco: "Seth rappresenta quella parte dell'afflato vitale soggetta alle passioni, priva di ordine e di intelligenza, titanica, insomma, e incostante; nella struttura fisica dell'universo, Seth è la componente mortale, appestata e perturbante, come le anomalie delle stagioni, le intemperie, l'oscurarsi del sole e la scomparsa della luna, tutte cose che rivelano gli attacchi e i tentativi di ribellione di Seth. Il suo nome significa proprio questo: esso indica al contempo qualcosa che tiranneggia, che s'impone con la forza, e anche qualcosa che muta e si divincola continuamente e che sempre trasgredisce la legge"(5).
Eliade riconosce la stessa forza di trasgressione contro l'affermazione di un sistema ordinato [Osiride-Horus per gli Egizi; Zeus per i Greci] in Dioniso: "doveva incontrare resistenza e persecuzioni, perché l'esperienza religiosa da lui propugnata minacciava tutto uno stile d'esistenza e un universo di valori" (6).
L'apparizione di Dioniso sospende la vita in atto, è come un colpo di spada che di netto stacca la testa dal corpo. Scompare di colpo l'ordinata polis mentre il mondo selvaggio invade ogni spazio. Accettare Dioniso significa escludersi dal vivere civile. Per questo le baccanti lasciano le case e si rifugiano sui monti. Ogni ruolo, privato o pubblico, viene abbandonato: non ci sono più né madri, né mogli; il dio le fa sprofondare nella natura, riportandole all'attimo primordiale che precede ogni possibile ordine. Non più donne dunque ma menadi.
La presenza di Dioniso nelle Baccanti di Euripide culmina con il sacrificio di Penteo. Il dio, trasfomatosi in furia di vento, spinge le donne contro il malcapitato, che viene fatto a pezzi.
Sua madre, Agave, porta la sua testa come un trofeo. Tanta barbarie sembra ingiustificata nel dio che si oppone allo violenza dell'autorità politica, nel dio straniero e perseguitato. Egli stesso ha conosciuto lo smembramento e la morte. Perché li infligge a Penteo? qual è il significato del sacrificio?
Un sacrificio barbarico è ricostruito da Métraux nel suo Religioni e riti magici indiani nell' America meridionale (7) e riguarda la tribù dei Tupinamba (Brasile):

Alla notizia del ritorno dei guerrieri l'intero villaggio accorreva ad accoglierli. Le donne, e soprattutto le vecchie, manifestavano la loro gioia battendosi la bocca con il palmo della mano, gridando, saltando e danzando. Nello stesso tempo risuonava la musica dei flauti ricavati da ossa umane. Il prigioniero era consegnato alle donne, che, ammassate attorno a lui, lo trascinavano in una capanna fra danza e canti: gli stessi che si cantavano il giorno del sacrificio. [...]Le donne gli legarono dei sonagli alle caviglie e gli misero sulla nuca una specie di schermo di piume, lo circondarono e intonarono un canto al ritmo del quale l'obbligarono a danzare. [...] Il matador gli spaccò la testa e il sangue insieme con ciò che uscì del cervello non rimase a lungo per terra, che fu tosto raccolto in una vecchia zucca da una vecchia che, dopo averne tolto la sabbia, lo bevve crudo. Dopo che l'uomo fu morto vi fu una vecchia che gli mise un tizzone nel culo, per paura che qualcosa andasse perso, e subito lo portarono sopra un grande fuoco preparato prima della sua morte, per spellarlo. [...] Da una vecchia fu commesso l'atto più orribile e crudele di cui si sia mai inteso parlare. Quella donna avrebbe piuttosto meritato il titolo di cane che quello di donna. [...] Appena morì uno dei bambini di soli sette anni, figlio di una delle sue figlie sposate al prigioniero ucciso, la vecchia gli tagliò la testa e attraverso il foro gli succhiò tutto il cervello e il sangue non lo fece neppure cuocere.[...] I quarti del sacrificato erano arrostiti sulla graticola, e le cure culinarie erano affidate alle donne, che manifestavano la loro gioia con un'agitazione frenetica. Soprattutto le vecchie sono aspre e non se ne saziano mai. Esse leccavano il grasso che colava sulle stecche della graticola ed esprimevano la loro soddisfazione ripetendo costantemente: Ygatu! [Com'è buono!]. Certe donne arrivavano perfino a ungersi il viso, la bocca e le mani con il grasso del morto e a leccare tutto il sangue che trovavano. Niente andava perduto: i visceri erano cotti nell'acqua e mangiati dagli uomini, il brodo era bevuto dalle donne. La lingua, il cervello e alcune altre parti del corpo erano riservate ai giovani, la pelle del cranio agli adulti e gli organi sessuali alle donne" (8).

Il sacrificio fa orrore. È possibile giustificarlo quando la vittima risulta necessaria per l'economia o la pace sociale [cibo e capro espiatorio]. Inutile e barbarico appare il gesto dei Tupinamba o delle Baccanti. C'è un eccesso di violenza, il compiacimento di uccidere, una perversa eccitazione sessuale accresciuta dal ruolo di protagoniste delle donne. Naturalmente se questo sembra accettabile per i selvaggi Tupinamba, mostruoso è nelle Baccanti invasate da Dioniso, difensore del principio della "volontà di libertà" ed esaltatore dell'istinto di rigenerazione.
La barbarie dionisiaca obbliga a un'ardita riflessione. Dioniso diventa selvaggio perché la vera pietas si raggiunge annullando di colpo le forme civili, la dialettica, la diplomazia, l'ordine costituito. Liberata dal soffocante giudizio morale, dovuto a un'etica complice di kratos, la barbarie è conquista lucidamente perseguita. Del resto anche i selvaggi Tupinamba non uccidevano per pura ferocia. "Non è che essi -testimonia D' Abbeville (9) -trovino tante delizie a mangiare di questa carne umana, o che il loro appetito sensuale li porti a tali banchetti. In realtà ricordo di aver sentito da loro che, dopo averla mangiata, sono talvolta costretti a vomitarla, poiché il loro stomaco non è capace di digerirla; ma ciò che essi fanno è solo per vendicare la morte dei loro predecessori e per assopire la rabbia insaziabile e più che diabolica che hanno contro i loro nemici".
Quello delle Baccanti è uno stato che nasce da una regressione, un ritorno alla condizione bestiale. Le donne si trasformano in fiere selvagge e molti sono gli epiteti animaleschi di cui Euripide le gratifica. In questa visione la regressione, in quanto annullamento del vivere civile, secondo la tecnica usuale del dio folle inventore del carnevale, si rovescia nel suo contrario e provoca un atto di progresso, perché interrompe e distrugge la corruzione e la violenza del potere presente (Penteo) ritenuto inattaccabile. Dioniso restituisce le donne alla notte primordiale per liberare il mondo dalle muffe appestate del presente. Così un atto di conoscenza che fa regredire al momento prima della creazione denuncia la miseria del tempo vissuto e si trasforma in desiderio di nuova creazione. L'atto si pone al di là della morale, perché è prima di ogni principio etico che è proprio della civiltà. Recuperare l'indifferenza con cui l'animale uccide sospende il giudizio morale e proclama un diverso diritto. L'orrore del gesto bestiale fa "aprire gli occhi" ad Agave: riconoscendo la testa del figlio, recuperando la propria identità di madre, apre con il suo dolore la via a una più alta speranza. Kratos è sconfitto da Eros, il desiderio. La regressione si illumina di utopia. La forte eccitazione sessuale accompagna il sangue del sacrificio e la speranza utopica, perché questo radicale e profondo atto di conoscenza è simile al primo atto creatore, che fu atto di amore e di necessaria violenza. "L'estasi dionisiaca - scrive Eliade (10) - significa anzitutto il superamento della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, il raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibili ai mortali. Che tra queste libertà ci sia stata anche la liberazione dalle proibizioni, dalle regole e dalle convenzioni di tipo etico e sociale, sembra essere certo; e questo spiega in parte l'adesione massiccia delle donne. L'esperienza dionisiaca però raggiungeva livelli più profondi. Le baccanti che divoravano le carni crude ritornavano a un comportamento rimosso da decine di migliaia d'anni; sfrenatezze di questo tipo rivelavano una comunione con le forze vitali e cosmiche che si poteva interpretare soltanto come possessione divina". La conoscenza non deriva da un semplice atto di ragione, passa attraverso la ferina seduzione della donna. Un sapere che vuole giungere a verità non può fare a meno della natura selvaggia femminile. Nessuna metafisica può cancellare il sangue mestruale. Il principio della femmina garantisce, nel pensiero dionisiaco, che ogni ordine, che ogni autorità non è inespugnabile.

NOTE
1. K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, Milano, Garzanti, 1976
M. Detienne, Dioniso a cielo aperto, Bari, Laterza, 1987
2. E. Severino, Il parricidio mancato, Milano, Adelphi, 1985, p. 55
3. Ti