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Biagio Salmeri
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TESTI
 
(da “Icone della pace e del dissenso”, in press, Passigli Editori)



Cumuli di cose ordinate,
libri su libri, frutti nelle ceste, pile di bicchieri, piatti, lenzuola,
rotoli di carta,
i trenta piani di un grattacielo, con tutta la mobilia e l'umanità che vi abita,
l'orbita precisa dei corpi celesti, i defunti incolonnati nelle pareti dei cimiteri,
il nesso logico delle parole,
senza tutto questo,
dinanzi a scarpe e calze spaiate, all'anarchia degli asteroidi e dei tumori, alle onde anomale e ai pensieri originali, al mutamento costante di batteri e virus,
dinanzi all'infrangersi dei termometri e al mercurio libero,
ai fumi dell'alcool, alle aritmie del cuore, alle passioni senza freni,
si invocherebbero, a furor di popolo, più controllori, vigili e tiranni,
affinché, fra previsioni del tempo, lettura della mano ed esperti di borsa, non sia
del tutto casuale, ma congruo e conseguente,
l'evento in sé caotico
della propria morte.

*

La casa è fredda.
L'intera famiglia raccolta accanto al camino,
in una coesione da dipinto. O da preistoriche caverne.
Il bronzetto di una donna gravida riflette
la luce della fiamma sul suo ventre prominente.
Come un'antica dea madre.
In un quadro simile, due bisogni si impongono:
di legna, che occorre perché il fuoco non si estingua; e di bambini,
perché non si estingua la specie.

*

Si è animati da fruscii, di ombre
che scorrono sull'erba alta.
Quando solerti si accosta l'orecchio al rantolo del moribondo.
E già da tempo si percepisce un pallore profondo, l'inclinarsi
al suolo delle fronti più alte, le parole spaziose che incurvano
come vecchi solai in legno.
Allora si pensa all'odore appena colto dei mandarini.
Al fischio prolungato del silenzio.
Alle dita indolori che spengono il cero.
Al braccio del grammofono che crepita sul vinile,
come se un fuoco ardesse nella voce.
All'uovo cotto nella cenere.
Piccole cose che sia consentito portare via.
Come sassi levigati dal mare.
Una scatola colma di chiavi inutili.
Scampoli di stoffa dalla forma improponibile.
Il cuore pronto, cavo come una tasca.
La moneta per traghettare riposta sotto la lingua.


(da “Il cumulo”)



Poiché al buio nelle travi del soffitto
si sentono scavare i tarli, e il cane all’improvviso sbava e digrigna
i denti colto da una strana rabbia, e il bambino della casa accanto
vaga sonnambulo sul muro divisorio, c’è più di un motivo per vegliare sui morti conosciuti che tornano a distendersi accanto a noi sul letto, col travaglio
della materia, sponda per non cadere, limite da non passare,
cosa che non tutti,
per quanti codici morali esistano e crisi di coscienza,
rifletti
su quanti uomini stanno a bocca aperta sotto l’albero di fico,
sul giorno spensierato appena trascorso, sulle corazze rimboccate,
il freddo del fuoco che distrugge, le sepolture
che hanno invaso animo e mente, sulla troppa immondizia
che non si può smaltire, e chiamano
stress ssssh…. fate silenzio per pudicizia in coro
o luminari.

*

Il tramonto è improvviso.
Come si spegne una luce, si chiude un'imposta. Alla cieca, con le mani protese, i disorientati cercano un riferimento, i rapaci notturni lanciano grida acute, allo scoperto strisciano
le forme di vita più vulnerabili.
Nella scala dei bisogni, il gradino più alto serve a farla finita.
Il modello è stanco, muove la testa, sgranchisce le gambe, si alza e sparisce.
Il disegno incompiuto, tuttavia, cresce, lavora, si accoppia, prolifica, assume sedativi.
I tratti mancanti sanguinano, gli fanno male. Dorme sopraffatto dalla voglia di cancellarsi.
Si scioglie in lacrime dinanzi alla bellezza
e non prova sollievo,
se il solo senso esistenziale plausibile
è di saper ricominciare, volta per volta, individuo dopo individuo, specie dopo specie, civiltà dopo civiltà, barbarie dopo barbarie.


*

Per vedere in trasparenza viene chiesta la parola segreta.
E' stato anagrammato il silenzio.
Un popolo di nomadi si sposta con tutti i propri morti.
Attonita la civetta scruta i dormienti.
Sprazzano i bagliori delle origini, il fuoco della grotta, la selce acuminata,
la preghiera al sole.
Iole in riva al mare,
impressa nello sguardo come un graffito preistorico.
Un andare a lei e un trattenersi, un accenno di onde,
un possibile giaciglio di sabbia, assaporando solo il desiderio,
madonna della visione,
senza pietà o dolore, lontana dal figlio.
L'uomo si prosciuga nel contemplarla,
le stalattiti dei suoi umori, gli affetti infranti, imbrattati, raccolti
come dai caduti le spoglie belliche,
la ruvida lima dell'acqua, passione come sale, amore
sommerso, indurito, barriera dei fondali,
rosso corallo.
Iole, e lo stallo
dell'aquila in volo, il resto della vita
un lento planare, un tendere declinando, polo
fatale d'attrazione, la mano sulla forma di pane,
il bicchiere di vino sorseggiato, un cenno, un saluto, lei
che già volge le spalle, s'incammina, sbiadisce,
e il cuore tocca terra come un aquilone
col filo spezzato.