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Cristiano Turriziani
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D.A.F. DE SADE: PER UN’ET(H)ICA DELLA PERVERSIONE NELLE COMPONENTI PSICOLOGICHE E FILOSOFICHE
Il fallimento della morale comune e il trionfo dell’ O-scena ripetizione dell’ ir-rappresentabile nell’ Opera Sadiana di Carmelo Bene
 


“Il teatro di Carmelo Bene è evento. Non che si tratti di un momento particolare della storia del teatro; è invece, nella storia, l’ evento stesso del teatro. Rivelazione su un modo apocalittico di quanto accade senza mai essere cominciato, senza mai essersi ripetuto.
Antistorico, il teatro di Carmelo Bene lo è nel senso più ORIGINARIO: facendo della rappresentazione la storia di un non – luogo, provoca il non – luogo della storia“.

Camille Dumouliè “Carmelo Bene il teatro senza spettacolo“ Marsilio ed., Venezia 1990.

Un teatro subordinato al testo “è un teatro di idioti, di pazzi, di invertiti, di pedanti, di droghieri, di antipoeti di positivisti, in una parola di Occidentali“.
Antonin Artaud “Il teatro e il suo doppio“ ed Einaudi (in traduzione)

“Il discorso non è nell’ essere parlante“
J. Lacan – Scritti ( in trad. ) – ed Einaudi

“7.Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.“
L. Wittgenstein “Tractatus Logico – Philosophicus“ – Einaudi

Prendendo le debite distanze dal “teatro della crudeltà“ di Artaud(1), primo metodo di “sperimentazione“ sonora di un teatro d’ equilibrio tra significante vocativo e significato d’ argomento, “abla – tivo(2)”, Il teatro di Carmelo Bene, evento – spettacolo, risulta sicuramente la forma d’ arte più vicina alla concezione che, questo elaborato, vuole esprimere con il termine: Sadiano.
Il teatro – evento, non luogo del Logos, già detto, perché ac – cade(3) ripetutamente nella storia disinfestata dal permanere paradossale del Geist(4), viene fagocitato e rigettato su un pubblico “spaesato“ di uditori dalla voce – suono di Carmelo Bene; cosi come, l’ Opus Sadicum non va, stilisticamente, intesa come scrittura im – pressa, nata cioè da impressioni, ma un riflettente - si che trova la sua autoreferenzialità nell’ Altro del discorso.
In parole povere: due arti, quella di Bene e quella del nostro Divin Marchese, speculari, nel senso che si riflettono nelle caratteristiche di soggetti rappresentati dalla continua mancanza del Sub – jectum(5) stesso; che non è Totem, bensì nascondimento, tabù(6) del non poter – si dire che diviene, nella propria rappresentazione una sorta di semi – tacere.
Ingerire, fagocitare, e ri – gettare: ecco, in sintesi, il “lavoro“ meccanico, da macchina, che l’ attore, agente di (s)cambio, si trova costretto a fare per sopperire alla devianza patologica della mera rappresentazione teatrale: schema grottesco dell’ essere, noi stessi, una parodia.
L’ andare Oltre (Über) che ci ri – manda su (Oben) quella linea (Die Line) (7) di confino che viene ad essere la nostra carica “positiva“ e loquace di soggettivismo votato al dover apparire senza saper di essere chissà cosa; la maschera dalla quale giammai potremmo scappare che ci porta, in primis, ad inscenare lo squallido luogo di noi stessi tramite l’ azione recitata, presenza – immanenza del Verbum teatrale(8), palinsesto del dramma – Comoedia.
Sade scrive un sorpasso; e il teatro di Bene, lo attua allo stesso modo in cui codesto viene a nascere.
La com – presenza dell’ autore nel testo de – limita, di per se, un’ assenza forte. V’ è l’ autore solo quando non c’ è l’ opera; ma quando si in – scena l’ Opera l’ autore viene a mancare.
Cosi Sade scrive recluso, nascosto nelle fortezze o celle di manicomi senza avere volto, senza essere per – sona; Cosi Carmelo Bene attua lo sconvolgimento del se stesso. Dallo Ça parlè Lacaniano, volge attraverso un Ça manque di natura post – esistenzialista.
Corrode la scena per essere corroso; vive, per la morte del teatro come luogo di misure.
Cosi come nelle Centoventi giornate di Sodoma di de Sade v’ è, nell’ atto, caduta improvvisa dei ruoli assegnati e la denigrazione dell’ autoreferenzialità dell’ Io agente in tanti piccoli e ironici io agiti, cosi nel teatro – evento di Bene v’è il superamento del “Double“: del “Doppio“.
Doppio come “logica delle parti“, scissione Archetipica di quell’ Una pars che continua a ribadirsi nel non dire nulla perché soap – portatrice della Colpa scissa e introitata nella coazione a ripetere dell’ Alter Ego: L’ (H)Uomo.
La necessità insita in questo gioco è, ancora una volta, l’autoreferenzialità del termine; v’ è sempre una parte x, che si deve (Du sollst!) autodefinire, o meglio, presentare ad una y, per riba – dire a se stessa, che si è nell’ incertezza di uno spazio presunto seppur predefinito.
salve, sono il dottor x, piacere di conoscerla. Chi è lei?
Io sono l’ ingegnere y, lavoro per conto del dottor z, proprietario dello stabilimento c sito in via d nella città e, etc…
Autoreferenzialità come “schema mo – rale“, fattore fondante del nostro linguaggio ci rinchiude nella logica dell’ “autos da fè“ degli attributi dell’ essere: diabolici, perché gettati doppiamente (ancora!), mascheramenti di una realtà che potrebbe o non essere (aut) (9) o essere, di matrice Altra.
Dal momento che si accolla l’ onere gravoso di testimoniar–ci come persone giuridiche, automaticamente, Amor nefas, di – veniamo portatori sani di un male incurabile: il linguaggio.
E ci muoviamo, o meglio, le nostre azioni sono mosse da questa “arma a doppio taglio“: il dir – si che deve scovare sempre l’ autoreferenzialità dell’ oggetto stesso!
Il linguaggio: questa prostituta di cui, noi tutti, siamo clienti !
Carmelo lo sapeva Bene!
Una “vita“ votata all’ annullamento di se stesso non dentro ma, semmai attraverso una riformulazione dell’ opera; cosi come Sade, entrambi si muovevano in spazi ben definiti. altra era la mera vita biologica che dovevano svolgere, Altro era la “carriera artistica“, consapevoli entrambi di urlare nel pozzo e di scrivere al buio.
Carmelo come Donatien: entrambi sorvegliati e puniti(10).
Da chi ? da che cosa ? Dai “sentieri interrotti“ della Lengua vulgaris
(linguaggio “d’ uso e consumo“ che, nel nostro vascello Occidentale è anche lingua d’ arte); dalla mancanza del terzo orecchio e dalla in – gerenza degli altri due: centri di sviluppo di un potere votato al successivo tra – dirsi delle voci; conseguenza del traviamento delle coscienze nella confluenza illogica e patologizzante della “Coscienza comune“.
Giustificata giustificazione del “fare attraverso il dire“ rendendo norma la peculiarità del discorso forte, fondato, (per forza) sempre contraddittoriamente sulla ragione debole che, volentieri, tende a mutare in dogma di fede!
Paradosso di Zenone; “l’ Achille del linguaggio“
V’ è l’ esistenza di una svariata infinità di linguaggi, che testimoniano una infinità variabile (variante data dalle Forze agenti! ) di costumi e costumanze e un “unico“ modo di intendere un fattore che partendo dal biologico lo nega per elevare L’ Homo. humus al “deplorevole“ stato di Vir – tuoso facendo ‘sì che venga a cadere il suo stesso principium individuationis all’ interno delle Specie e dell’ universo: il suo Ethos: la sua Di – mora.
La morale è il luogo dell’ erranza; di quell’ erranza che rende l’ uomo spaesato. E il mezzo dell’ erranza è la tracotante im – manenza del linguaggio: “passaporto del senso“.
La voce di Carmelo Bene è il melo – dramma della lingua.
In lui s’abbandona il signum e senso e avanza Nietzschianamente, con passi di colomba(11), “la musica che sta dietro le parole“
“[…] la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto. Per questo lo scrivere ha cosi poca importanza“
..
Riferendosi indirettamente all’ o – scena (cioè fuori scena) ir – rappresentabilità dell’ arte Sadica nell’ Opus di Carmelo Bene, Sergio Colomba nel suo articolo intitolato: “La voce come consolazione metafisica del misfatto teatrale ovvero: un orecchio in più“(12), scrive:
Manfred (Carmelo Bene) è una voce.È un’invenzione vocale che vive di vita propria; la tecnologia, per Carmelo Bene, è la proiezione dell’ irrapresentabile. Carmelo Bene non vuole rappresentare, non intende comunicare nulla […]
Bene ha portato alle estreme conseguenze, quanto già era contenuto in Romeo e Giulietta., in Riccardo III ed in Otello: la cui musicalità interiore e segreta intrecciava sottilmente e fondeva armonicamente due registri. Quello della voce – linguaggio – musica […] ; e quello della musica vera e propria, contrapposta alle acrobazie vocali ed alle dissonanze del virtuosismo apparente dell’ uomo - orchestra Carmelo Bene. Questo secondo registro spesso si inseriva quasi violentemente nell’ altro, per frantumare la resistenza dei concetti, il pericolo delle concettualizzazioni[…]
Per Carmelo Bene il personaggio non esiste da sempre […] cosi come non esiste l’ attore, manca “Lacaniamente“; e Bene testimonia questa assenza, la esibisce, la moltiplica in scena[…]
Carmelo Bene, dice Gilles Deleuze, grazie a tutto ciò che ha fatto può rompere con quanto ha fatto[…] segna allora in assoluto l’ inizio di una nuova possibilità di espressione, mentre per chi ascolta significa un modo di rapportarsi attivamente con la musica. Ma la ricerca di Bene è condannata alla dannazione perpetua dell’ eterno ritorno[…].
In Manfred l’immagine è passata interamente nel sonoro, il suono stesso, la voce diventa personaggio. Grazie a Schumann, al quale più che a Byron Carmelo Bene rende omaggio e servizio, la larva del mago Manfred e l’ ambigua oscillazione in cui fluttuano tutte le assenze verbali dei suoi rimorsi e delle sue sensazioni, […] si fondono in unità musicale.[…]
È la poetica dell’ indisciplina, più che quella della interdisciplinarietà […] la musica di Schumann è tutt’ altro che computerizzabile, rifiuta la sistemazione della centralità significante; la voce di Carmelo si iscrive da parte sua nell’ “irrapresentabile“, in quella particolare dimensione drammaturgica cioè in cui conta più quello che non si vede, e in cui si muove l’ attore che non sa dirsi […]
Strana sorte, dice Carmelo Bene, quella dell’ arte. Sempre al suo meglio nei periodi tirannici, mentre nel sistema democratico qualunque manifestazione teatrale si fa sciaguratamente rappresentazione di stato; a quale Medici sarebbe saltato in testa, si chiede, di controllare le rughe sulla fronte della Notte michelangiolesca?[…] la democrazia, dice ancora Bene, è il tramonto del diverso.
[…] Carmelo Bene ha sempre voluto fare “ un teatro per pochi in un teatro di molti “, Manfred costituisce una sintesi anche da questo punto di vista. […]
Scandalosamente proporsi: ecco l’ oscenità di Carmelo Bene che svela , mostra al pubblico il suo “ desiderio titanico di trascendenza”.
Eliogabalicamente darsi tutte le sere: ma chiuso nella privatizzazione più esasperata, in cui coincide sia l’ essenza romantica del nero superuomo Manfred, sia la lotta del Soggetto per svincolarsi dalla Storia, per uscire dal mondano. Deconcettualizzato tutto, liquidato veramente il pensiero, recuperato lo spirito della musicalità e non della musica, la finzione viene soppiantata. Gli affetti, come dice Deleuze, diventano modi; le emozioni cioè corrispondenti, si fanno modi vocali; questo, che è di un’ importanza fondamentale, non fa certo allievi: “Basta appena (dis)fare se stessi“.[…]
3. La comunicazione è qualcosa che va da un “ esterno “ attore cioè che porge la voce in modo quanto mai rassicurante, distante, ad un altro “ esterno “, fino all’ ascoltatore che quella che riceve. Incipit Carmelo Bene, dice Klossowski, e questo processo di mediazione comunicativa si trasforma radicalmente.[…]
Carmelo Bene è lui stesso sintetizzatore
(a mio avviso da poter intendere anche come sùn tèsis: concettuale e di mero instrumentuum vocalis) butta quasi delle schede dentro di sé, le parole invece di dirle le ingoia. E non è. questa, storia di oggi. Qualcuno a proposito di Pinocchio scrisse: “Magico, si recita addosso“[…]
Bene vuole arrivare all’ eroe come sincerità, per dirla con Carlyle. Cominciando ad usare la voce con tutti gli echi oceanici che risiedono in una sola modulazione di frequenza di essa, in un’ altezza di suono, in un silenzio, egli tocca un vertice che si può paragonare, come altezza di rivelazione, all’invenzione dello Sprechsegang Schönberghiano. Finalmente si può giungere a capire, dice Bene, quale implosione ed esplosione di suoni, quale pandemonio di orchestre secolari, ciascuno di noi ha dentro”.
Sade prossimo
al suo Bene.
Immagini proponibili, sicuramente, ma di per sé insite nello spazio letterario che è impossibilità, per l’ autore, di un contatto con la vita stessa e la realtà dei personaggi; asetticità data dalla cruenta de – scrizione fagocitata dalla deglutizione dell’ aborto mancato che è, la concettualizzazione sulla quale si fondano le regole e la giustizia sulla terra; tra simili cosi diversi !
La scrittura di Sade rigurgita ciò che l’ umanità ingerisce; cosi come il teatro di Bene fa con la lingua.
Di un Flusso di sensi e significanti ne fa un Flusso sonoro: testimonianza asettica, anch’ essa, della Voluntas di ri – nnegare il tracotante permanere della scena teologica come luogo del Lògos dove, ripetutamente, s’ inaugura, ac – cade, la storia del testo.
La sintesi teorica di questo concetto è tutta Platonica; del Platone del Fedro: “Appena scritto il discorso si sparge dappertutto e passa indifferentemente tra le mani dei sapienti e quelle dei profani, e non sa distinguere a chi si deve e a chi non si deve parlare“.(13)
Ecco perché, di necessità virtù, l’esigenza dell’ invenzione Beniana dell’ attore come macchina attoriale che sappia non recitare, rappresentare, inscenare,o, ancor più grave, ricordare, ma o- scenamente dire per flussi annullando la possibilità di essere colti nell’ evento.
Eccone una delle sue tante traduzioni: “[…] Finalmente, una trasmissione impossibile, anacronistica.(14)
…Ecco non dico niente. Sto precisando in voce che non dico niente. Un non dico niente che, così, risuona. Non dico niente.
Soffio di vento…divento soffio. Importa solamente come suono, questo non dico niente. Anche se orale, è niente fuori da timbro e tono. Aria d’ ascolto emessa da un pensato, logico senso, un no.[…]
Mi sono degradato anche a poeta…ho scritto la voce, troviera di un poema “ il mal dei fiori “, perché leggere è scrivere, il soltanto lettore è un fuori tema, è un parvenue davanti ad un foglio sempre più sbiancato…

Foglio: sbiancato dall’ eco d’ ogni io o stuprato dal passaggio dell’ Ira funesta che è descrizione di luoghi del non; che è condizione unica, possibile d’ espressione costretta e reclusa; che è nichilismo senza redenzione(15).
Ecco, come da titolo, l’ O – scena ir – rappresentabilità in Bene e de Sade: la consapevolezza, unica e confrontabile con il nostro spazio d’ azione al di là degli “spazi artistici”, d’ esser – ci come larve nel putrido nascondiglio del ventre della terra matrigna.
Scriveva Antonin Artaud nella poesia: Fête règence” (Festa della reggenza): “La même boufissure immense / qui vous empêche de penser / Ch’ange en danse votre dèmence / Hommes, ô larves du crèè (16)
E l’ O – scenità del tutto è il nostro recitare a soggetto ciò che ci accomuna: la nostra perenne mancanza: il vivere per la morte……
Al Soggetto senza protesi: Carmelo Bene è, da me dedicata, questa breve digressione.
Grazie Carmelo…


NOTE
1) A. Artaud (in trad.) “Il Teatro e il suo Doppio“ Einaudi, 1975
2)“Que Abla“ cit. da L. Buñel riadattata con il termine “si parla addosso“ da G. Dotto in “Vita di Carmelo Bene“ – Bompiani 1998
3) AA.VV “Carmelo Bene il teatro senza spettacolo“ – Marsilio ,1990
4) cfr G. W. F Hegel
5) dal latino; nel senso di “gettato – sotto”; “subalterno“; “posto – sotto“.
6) Rim. a S. Freud “Totem e tabù“ – Mondadori, 1999
7) rim. a M. Heidegger, E. Junger “Über die Line“ – Reclam V. (trad it. ) “Oltre la linea“ – Adelphi, 2000
8) cfr il saggio di M. Grande, Il soggetto senza protesi in “C. Bene – La voce di Narciso" – ed Politeama, il Saggiatore, 1982
9) rim a S. Kirkegaard e all’ “Hamlet“ di W . Shakespeare riveduto e corretto con variazioni e voce da C. Bene nello spettacolo “Homelette for Hamlette“, 1987
10) allusione all’ opera di M. Foucault.
11) Cit da F. W . Nietzsche “Also Spracht Zarathustra“ – Reclam V.(trad. it.) “Così Parlò Zarathustra" a cura di G. Colli M. Montinari – Adelphi
12) in "C. Bene – la voce di Narciso –" Il Saggitaore, Politeama, 1982
13) Platone “Fedro“ – Bompiani testo a fronte, 2001
14) Radio 3. Quattro momenti sul nulla – puntata radiofonica dedicata a Carmelo Bene di Maurizio Grande. Ottobre 1996
15) cit. da un saggio del prof. Leonardo Samonà “Nichilismo senza redenzione“ presente nel volume curato da R. Bruno e F. Pellecchia “Nichilismo e redenzione“ – Franco Angeli, 2003
16) “La stessa ampollosità / che vi impedisce di pensare / muta in danza la vostra demenza / Uomini, o larve del creato“ da “Festa di reggenza“ presente nel volume “Artaud: poesie della crudeltà“ trad. e note di P. Di Palmo – ed Stampa Alternativa