fant)a(smatico 
[ Testo:  precedente  successivo  ]  [ fascicolo ]  [ autore
Alfonso Cardamone
[ a.cardamone@email.it ]
 
TRA UTOPIA E DISTOPIA: LA SCIENCE FICTION
 
Chi, ponendosi alla ricerca di risposte convincenti e non corrive, intendesse approfondire gli ambiti di significazione, anche i più riposti, impliciti in quel fenomeno letterario e, per varie forme, artistico che va sotto il nome di “science fiction”, non avrebbe che da sfogliare (e non certo sbadatamente) il libro intitolato, appunto, “Science Fiction”, a cura di Franco Monteleone e Cecilia Martino, pubblicato da Bulzoni nell’ottobre dello scorso anno.
L’opera, che si presenta come una raccolta di saggi e interventi sul tema, viene proposta nella sezione Studi sul cinema della Collana “I libri dell’ Associazione Sigismondo Malatesta”, ma in realtà è sufficiente scorrere l’indice generale per capire, già alla prima occhiata, che si è andati ben oltre il semplice ambito cinematografico.
Dal saggio introduttivo di Romolo Runcini (La locomotiva e l’elfo. Tecnica e fantasia nel cinema di fantascienza), che fornisce le coordinate fondamentali della SF, come “ultima fase diegetica del fantastico”, sia per quanto attiene al piano filmico che a quello letterario; agli interventi conclusivi di Michele Fadda («Where Am I?» Gli incerti epiloghi dello sguardo e dell’identità nella SF hollywoodiana contemporanea) e di Vivian Sobchack (Love Machines. Spielberg/Kubrick, Artificial Intelligence and other Oxymorous of SF Cinema), che apre squarci inquietanti “sull’immaginazione tecnologica … dell’America contemporanea e sulle sue visioni inconciliabili e irresolute di un futuro impossibile e disumano”; la raccolta allarga e distende l’indagine critica fino a coinvolgere la SF nelle dinamiche politologiche (G. Cremonini, Fantastico fantascienza fantapolitica), o in quelle mitopoietiche (F. La Polla, L’alieno dai mille volti. Mito e SF), o ancora nel rapporto presente-futuro (C. Pagetti, Il futuro immaginario della fantascienza. Vivere un altro presente), proiettandola magari sulle frontiere del virtuale e del cyberspazio (interventi di V. Fortunati, G. Canova, M. Spanu), indagandola nelle relazioni tra fantascienza e orrore (P. Rouyer, Le sang de la nouvelle chair. Le gore dans la Science Fiction) e, infine, negli aspetti tecnici degli effetti speciali (M. W. Bruno, SF & SFX. Il ruolo degli effetti speciali).
L’asse portante dell’opera è comunque costituito dal saggio di Romolo Runcini, che trova una significativa complementarità in quello di Pagetti. Non a caso, infatti, le conclusioni vicendevolmente si completano.
La SF, analizzata nelle sue implicazioni politico-sociali, configura, in ultima istanza, come scrive Runcini, “l’enigma radicale del nostro tempo”, la domanda su quale sia “il confine fra reale e irreale”. E se Runcini conclude sostenendo, con apparente paradosso, che “Oltre le soglie del Terzo Millennio la SF, come ultimo racconto fantastico, si rivela, dopo l’inevitabile esaurimento della prospettiva realistica giunta agli estremi del minimalismo, il solo genere artistico e letterario in grado di interrogare gli abissi del reale”; Pagetti gli fa eco dichiarando che “Lo scrittore –anche e forse soprattutto lo scrittore di fantascienza- può rappresentare un’alternativa all’incubo del presente e, in questo modo, restituire all’utopia il senso di una speranza di riscatto di fronte ai fallimenti più clamorosi della Storia a lui contemporanea”.
In realtà, i due saggi, procedendo lungo percorsi segnati da topoi invertiti (quello di Runcini dalla letteratura al cinema, quello di Pagetti dal cinema alla letteratura), incardinano ambedue i rispettivi itinerari di ricerca sulla dialettica utopia/distopia, come centrale alla definizione sostanziale del complesso diegetico della Science Fiction.
Se la SF è spesso raffigurazione di un ipotetico futuro, è vero però che questo futuro, per Pagetti, “è un copione che viene continuamente riscritto e modificato in base al suo ipotetico rapporto con il presente”: “Il futuro inseguito dalla fantascienza non può essere altro che un presente modificato”. Significativa variante dell’utopia o della distopia novecentesca, il futuro immaginato dalla SF “vuole essere esplicita riaffermazione di una ideologia capace di denunciare i guasti del presente e di individuare le responsabilità storiche e politiche di chi detiene il potere”. Dunque, accentuazione della funzione politica della fantascienza, come “vocazione non soltanto di denuncia, ma anche di proposta e di alternativa”. Ed ecco che, in questa prospettiva, “le immagini del futuro e i miti dell’origine finiscono per sovrapporsi e per convalidarsi a vicenda”.
Esattamente come sostenuto nel saggio d’apertura da Romolo Runcini con le metafore della locomotiva e dell’elfo. La prima, già immagine forte della «railway mania» dell’età vittoriana, al tempo stesso “simbolo vivo di potenza tecnica” e veicolo di “timori di una eventuale perdita del … controllo sociale”, definisce simbolicamente l’ambiguità dell’ “impatto della macchina sulla scrittura letteraria e filmica” della Science Fiction nel suo sviluppo storico. La seconda, “stereotipo popolare di antiche presenze magiche”, legate agli aspetti più oscuri e intimi di una natura elementare e selvaggia, finisce per coagulare “scenari e desideri infantili di libertà, solidarietà, fantasia”, offrendo alla SF “un’ampia risorsa naturale di immagini e sensazioni disposte a mantenere in campo il giusto equilibrio fra Tecnica e Fantasia”. Da Metropolis di Lang, del 1927, il cinema di fantascienza rappresenta il genere che “con maggiore ampiezza e profondità” esprime “lo stato di spaesamento di fronte all’ambiguità e alla minaccia globale degli eventi”, dalla paura della «bomba» degli anni Cinquanta, alla mentita pacificazione del mondo seguita alla caduta del muro di Berlino, fino “alla complessità ed enigmaticità della condizione umana ormai soggetta alle sempre più rapide e violente spinte della mutazione antropologica e culturale della nostra civiltà telematica”, responsabilmente testimoniata, ai nostri giorni, secondo Runcini, dalle esperienze cinematografiche di registi come Salvatores, Cronenberg, i fratelli Wachowski.


marzo 2004