rammemorare/dismemorare 
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Silvana Poccioni
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CAP. V
 
Era tornata in Centrale circa tre mesi prima. Se ne era parlato a lungo durante il pranzo, il giorno successivo alla telefonata di Alfonso, un amico d'infanzia, con cui aveva ricordato, come in una fiaba, la piccola contrada dell'Ente Autonomo Volturno, dove anche lui era nato, era vissuto da ragazzo. Si erano commossi al pensiero degli amici comuni, Pina, Franca e Adriana, Maria Rosaria, Enzo, Tottò e per alcuni minuti davvero avevano avuto la sensazione che tutto fosse recuperabile, al di là del cammino lungo e tortuoso compiuto dalle loro esistenze e da quelle di tutti gli altri.

Vedendola così emotivamente coinvolta, Riccardo le propose una gita per il primo maggio, il cui itinerario avrebbe incluso i luoghi della sua infanzia, una sorta di ritorno alle radici. Si sarebbe potuta iniziare quella recherche du temps perdu proprio dalla Centrale, per poi risalire alle sorgenti; avrebbero deciso tutto il resto via facendo. Luca, eccitato dall'idea di vedere finalmente il mitico luogo dove era nata la sua mamma, approvò subito la proposta , sostenendola calorosamente e progettando già l'ora della partenza e il pranzo al ristorante sul lago.

Silvia esitò a lungo prima di accettare. Non andava in Centrale da più di vent'anni, da quando vi aveva accompagnato Riccardo, perché potesse condividere con lei anche i ricordi legati a quel luogo tanto amato.
Allora vi risiedevano ancora alcune famiglie e, benché la sua casa fosse ormai disabitata da otto anni, non si notava un particolare degrado ambientale, fatta eccezione per le erbacce che avevano invaso parte dello spiazzo antistante la palazzina.

Adesso, però, aveva paura di ritornarvi. Temeva più di ogni altra cosa la disillusione. Nel ricordo quel luogo era rimasto intatto, come ai tempi in cui era stato teatro di importanti avvenimenti della sua vita e ora che la si chiamava a decidere circa quella gita, sentiva prepotente l'istinto di rinunciarvi. Sapeva bene che col tempo mutano il senso e il valore delle cose, che esse possono diventare per noi significative e importanti solo perché sono parte del nostro passato ed è proprio questa consapevolezza che spesso ci spinge a rifiutare il confronto con la realtà del presente. - È l'etica della rinunzia - pensò tra sé - che ci permette di conservare inalterati certi ricordi senza il rischio di infrangere il sogno, di svilire gli ideali in cui faticosamente abbiamo trasformato col trascorrere del tempo anche gli eventi più banali. -

Si vergognò della propria debolezza; ebbe la sensazione di trovarsi per la prima volta di fronte ad uno specchio, che le rimandava esatta l'immagine delle sue paure, tutte quelle che la tenevano attaccata come un'ostrica allo scoglio del passato e le impedivano di abbandonarsi alla corrente di un futuro molto più ampio di quel domani oltre il quale da tanto ormai evitava di inoltrarsi.

Accettò, dunque, di fare quel breve viaggio, pur percependo inconsciamente che sarebbe stato come aprire il vaso di Pandora del passato, col rischio di scoprirlo dolorosamente vuoto.

Partirono presto, la mattina successiva, lei, Riccardo e Luca. Daniele aveva già organizzato la sua giornata con gli amici e la ragazza; da parecchio tempo, ormai, non li seguiva più nei loro piccoli viaggi, soprattutto quando la partenza era prevista per le prime ore del mattino. Portò con sé anche la videocamera, nell'eventualità che ci fosse da riprendere qualcosa di interessante, disse. In realtà aveva intenzione di catturare immagini care e di tornare a guardarle ogni volta che ne avesse sentito il desiderio.

Quando, oltrepassato l'ultimo paese prima del lungo rettilineo di Carpenti, si immisero nella stradina che portava al primo salto, sentì che i battiti del cuore nel petto acceleravano e l'adrenalina le indebolì le gambe. Tra i pioppi e le acacie, curva dopo curva, si intravedevano le apparecchiature della sottostazione, gli alti tralicci e i trasformatori, finché, d'improvviso, si stagliò dinanzi ai loro occhi la grande facciata della Centrale base, con il bassorilievo del dio Volturno, rimasto indenne al bombardamento della seconda guerra mondiale, che aveva raso al suolo l'intero edificio.

Di fronte al cancello d'ingresso, ora chiuso ai non addetti, rimase a lungo come ipnotizzata. Sulla sinistra il bacino di raccolta delle acque provenienti dalle gigantesche tubazioni riportava alle sue orecchie il ben noto rumore. Mentre Luca e Riccardo guardavano meravigliati le grandi tubature, che si arrampicavano su, lungo il crinale della montagna, perdendosi alla vista, lei volse gli occhi a cercare, sulla destra, al di là dei fili più alti degli impianti, la rampa di piccole scale che un tempo conducevano al villaggio. Solo erbacce, alberi ormai alti, cespugli al posto delle scale; nessuna traccia di queste né della fontana col mosaico di maioliche azzurre che li dissetava, a mezza via, quando risalivano a piedi dalla centrale. Chiuse un momento gli occhi e lesse, nitida come un tempo, la scritta francescana sui bordi della piccola vasca

"Laudato si' , mi' Signore, per sor'aqua, / la quale è multo utile et utile et preziosa et casta"

Una strada di recente costruzione, piuttosto ampia, fiancheggiava ora il pendio e giungeva, evidentemente, fin su alle casette.

Bisogna aspettarsi di tutto,adesso - disse a se stessa mentre salivano verso il villaggio; ma quel che vide non sarebbe stato immaginabile nemmeno se qualcuno le avesse descritto ogni cosa nei minimi particolari prima che arrivassero sul posto.

La casa di Agnese, all'angolo del viale che ora proseguiva asfaltato fin su al paese, costeggiando il vecchio Dopolavoro, conservava ancora il suo aspetto di vecchia masseria, malgrado i rovi ne avessero invaso l'aia e il grande portico. Il degrado, lo stato di abbandono, il rovinoso trascorrere degli anni erano invece visibili su tutta la zona un tempo abitata dal personale in servizio alla Centrale. Il viale di sinistra, che dava sul campetto sportivo e portava su, fiancheggiando le case fino alla chiesa e più su ancora fino alla sua abitazione, era ridotto ad uno stretto sentiero, soffocato dalle querce e dalle ortiche. Alzando gli occhi, si scorgeva nella folta vegetazione la parte superiore del caseggiato e se ne ricavava un'impressione di migliore conservazione rispetto alla parte bassa.

Le prime tre palazzine erano deteriorate al punto che sul terrazzo dei Pascucci era cresciuto addirittura un albero. Sparito il canale coperto di cemento che scendeva dal grande lavatoio; del tutto invasa dalla folta vegetazione spontanea la parte superiore della scalinata, che scendeva serpeggiando alla sottostazione.
Sentiva il cuore stretto come in una morsa mentre gli occhi si posavano su quel paesaggio desolato.
Eppure, se solo provava a chiuderli, poteva vedere tutto esattamente com'era trent'anni prima e con le orecchie le riusciva di sentire le voci delle persone care che abitavano quel luogo insieme a lei. Restava ora da vedere la sua casa…

Quando imboccarono l'ultimo vialetto, che dalla strada del lavatoio immetteva alle due palazzine più alte, dovette appoggiarsi a Riccardo, tanto grande si era fatta l'emozione: ecco la fontanella dietro la casa della nonna ancora funzionante; ecco l'albero di prugne, il minuscolo garage e …la casa.

Ricacciò indietro le lacrime. L'edera si era arrampicata fino al primo piano, insinuandosi negli infissi sconnessi della finestra vicino al terrazzo. Spalancato e ormai ridotto in pezzi il portone. Frantumate in molti punti le scale che portavano in tre brevi rampe all'appartamento. Volle comunque salire con Luca, malgrado Riccardo gridasse loro di essere prudenti e di non farlo. Salirono fin sulla soffitta e poi ridiscesero, dopo aver guardato in tutte le stanze, vuote e sporche, il bambino per curiosità, lei nell'assurda speranza di ritrovarvi tracce di qualcosa che le era appartenuto.

Dalla finestra della piccola cucina guardò giù e, prima che gli occhi le rimandassero l'immagine reale dello spazio sottostante, rivide il giardino, con i vialetti a stella coperti di fine ghiaia, la voliera piena di uccellini di ogni specie, la fontana di pietre costruita da suo padre, con lo zampillo e i pesciolini grigi e rossi, le aiole ricche di fiori variopinti e di splendide rose, che sua madre, giovane allora e bellissima, raccoglieva con grande orgoglio e col suo indimenticabile sorriso.

Non restava più nulla di quell'angolo di paradiso, all'infuori delle erbacce e delle noci spagnole; solo qualche rosellina selvatica e stentata si faceva strada faticosamente tra le ortiche

Il resto della giornata corse via veloce, tra l'entusiasmo di Luca e l'affetto di Riccardo, che divideva in silenzio con lei le sue emozioni. Visitarono l'abbazia e mangiarono sul lago, come programmato. Poi Silvia volle rivedere la diga della montagna spaccata, e vi giunsero risalendo lungo la vecchia statale fino alla piana.

Anche lì tutto era cambiato rispetto ai tempi in cui vi andava con i suoi parenti per la scampagnata di ferragosto. Provò di nuovo, come le era accaduto già altre volte in quel giorno, la strana sensazione di sdoppiarsi, di vivere simultaneamente in una duplice dimensione, quella del passato, ormai lontanissimo, e quella del presente. Era come se la Silvia, tornata in quel luogo il primo maggio del 2002, potesse vedere se stessa bambina, quando negli anni sessanta arrivava nel grande prato, con i suoi genitori, la sorella, le zie, per trascorrervi la giornata del quindici agosto, con i cesti pieni di leccornie, il cocomero rosso e succoso, la corda per saltare, il pallone e l' altalena, che suo padre non mancava di allestire, legando robuste funi ai rami delle enormi querce che costellavano la piana erbosa.

La sera, mentre fumava al buio, affacciata alla finestra dello studio, cercò di analizzare il suo stato d'animo, di comprendere il perché di quella profonda tristezza che si era accompagnata quel giorno alla vista dei luoghi della sua infanzia. Eppure razionalmente si era preparata a tutto.

Il suo punto debole era proprio nell'incapacità di accordare cuore e ragione, di distinguere ciò che è da ciò che sarebbe potuto essere o da ciò che non è più.

La realtà del presente l'aveva più volte delusa, addolorata, aveva danneggiato in molti punti l'edificio dei suoi ricordi, nello stesso modo in cui il trascorrere del tempo aveva rovinato la sua casa , trasformato l'ambiente in cui, per tanti anni, era corsa a rifugiarsi con il ricordo, nell'illusoria speranza che potesse essersi conservato intatto come lo portava dentro di sé.

- C'è una profonda contraddizione nel cercare nella realtà i quadri della nostra memoria. - disse a se stessa, parafrasando con autoironia la conclusione della Recherche proustiana.

- Ma i guasti non sono irrimediabili. Dopo tutto mi resta ancora la poesia. -

Prese la penna rinfrancata e scrisse, di getto:

"Vecchia casa. Non saranno i rovi / né l'edera che s'insinua negli infissi /sconnessi / ad impedirmi di vederla / com'era e resta / nei miei ricordi. / Le rovine del tempo / sono veli che rimuove / senza fatica / la memoria / e la mano della bambina / che dopo i giochi / a sera / si fermava ansiosa / sulla stretta rampa delle scale / per accertarsi che non ci fossero / sulla parete / le innocue falene / a spaventarla."