le botteghe d'oriente 
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Franco Silvestro
 
L'ORIENTE DEI MIRACOLI
 
Pianti. E poi grida, quella notte, svegliarono i Miracoli.
Ossessa. Scapigliata. Quasi una strega, come nelle storie del sacrestano. In vestaglia al balcone centrale del palazzo. La luce del salone penetra il cotone e illumina due coscioni carnosi e abbondanti. Grandi mutande scure. Le zizze ballano. Sono più grandi del mio pallone .
... si sono fottuti tutto.- La ringhiera trema.
Le finestre si aprono - ch'è stato?... che succede? Gente in pigiama, in canottiera, a petto nudo - hanno rubato a casa della marchesa Sante Tittillera -.
La piccola piazza d'un tratto gremita. Prima gli uomini, poi le donne cariche di figli. Il bar di don Giosué l'ebreo riapre e l'odore di caffè si diffonde. Sembra quasi mattino. Forse lo è. Chi mi accarezza a destra chi a sinistra - complimenti signò com'è cresciuto questa creatura. - Mani sul viso. Puzza di pesce. Che schifo! I seni di mia madre sanno di quiete, di pace. Oggi di farina. La gente parla e fuma. Boh! Donna Filomena, la segatera, tiene banco. Come racconta lei non lo fa nessuno. Don Arturo il barbiere, lo chiamano la capéra, cerca pubblico. Ma tutti dalla segatera. E lei aspetta. Guarda guarda, c'è anche don Armando Caputo, l'ingegnere.
- Buona sera ingegnè… - saluta la segatera - come mai questo onore?
- Cosa volete, le grida ...il baccano...
Baccano. E che è? Ba..ba baccalà. Piace a mio nonno. Se lo mangia con le gengive. Fritto e con tanto sale. A Natale. L'ingegnere s'atteggia. Che schiattacove, come parla lento - "ma perché questo furto è così speciale,... ne succedono tanti in questo quartiere .... non si può più vivere". - Immediato il rimprovero - "ingegnè si vede proprio che voi non fate vita di quartiere, quando si vive ai piani alti le voci della strada arrivano stanche e quando si chiudono le finestre non arrivano affatto, si perdono nell'aria, come le fesserie". Terribile la segatera.
-e fatemi capire... Si giustifica don Armando.
- voi sapete che la marchesa Sante Tittillera non è una vera marchesa. Pochi, però, sanno che si chiama Assunta Martucci detta Malboro per via della bancarella di sigarette che teneva molti anni fa a Piazzetta Augusteo, proprio vicino alla Funicolare. Dal giorno che entrò nel palazzo, Assunta ha sempre avuto l'accortezza di non farsi notare, mai ricevimenti, mai estranei. Ci ha saputo fare. E bene. Guardatela adesso. Sguaiata e volgare come una vasciaiola, se si comportava così come si sta comportando la cosa si sapeva. Io e solo io sapevo, poi vi dirò come, ma non ho mai parlato, perché aspettavo una prova. E ora eccola! -Tutti zitti. La lingua della segatera taglia come il coltello nel burro. Dice mia madre.
- I Sante Tittillera erano un'antica e nobile famiglia siciliana, terre e proprietà a non finire, dalla montagna al mare, a Napoli e in Sicilia. Insomma ricchi assai. Dopo la guerra si sistemarono qui, in questo palazzo e qui morirono qualche anno dopo lasciando tutto soldi e proprietà al giovane e unico figlio: don Alfonso Maria Sante Tittillera. Bello come il sole ingenuo come questo bambino.- Tutti mi guardano. Mi sento ancora più bambino. Mia madre mi stringe e mi sento figlio. La storia continua.
- Il giovane marchese studiava per diventare avvocato ma i troppi soldi gli fecero perdere la testa. Molto denaro molti amici e quando se ne ha tanto di danaro, tutti gli amici sono buoni anche quelli cattivi. E fu così che cominciò a spendere e a spandere: macchine americane, caffè sciantà, ballerine e feste pure il venerdì santo!-
- Don Alfonso si innamorò di una artista francese; a Parigi, "quelle così" "si chiamano ARRtiste, e quella finì per metterlo in ginocchio. Pure lei doveva essere una mezza pazza, si fece comprare un cane nero e grosso come un asino, Berzebù, e don Pasquale il macellaio, mi diceva che mangiava la meglio carne, chili di carne! Qualcuno diceva di averlo visto bere sciampagna!-
Carne. Sciampagna. Belzebù. Il marchese come Re Giovanni contro Robin Hood. Il cane nero è il diavolo. Appare all'improvviso in fondo ai corridori. Ringhia. Ho freddo. Il seno caldo di mia madre mi avvolge. Un bacio in fronte. Tutto svanisce. Ecco i carabinieri. In coppia. Senza pennacchio. Cercano la segatera. Va a conferire. Ritorna. Drammatica. "Non posso parlare..." avverte. Perennemente vestita di nero, la vedova giovane. Al collo un medaglione con la foto del marito che morto in guerra riposava tra due palle rotonde e abbondanti. Zizze mai succhiate. Così dicevano al circolo ENAL i vecchi. Eccola qua, grossa e grassa si siede. Ma come fa una sedia così piccola a reggere un mazzo così grosso? La sedia scricchiola, si assesta, resiste.
È seduta. La gente aspetta.
- Allora dove eravamo rimasti? Ah!... allora il marchese spandendo e spendendo rimase senza una lira. Cominciò a vendere case e terreni e più tardi a impegnare anche i gioielli di famiglia. L'artista francese lo lasciò e se ne andò con un magliaro di Piazza Mercato. Il marchese licenziò tutta la servitù e qualcuno per dispetto gli avvelenò il cane. Feste non se ne vedevano più e solo qualche donna di malaffare varcava ogni tanto il portoncino del palazzo.
Pausa. Sento mia madre respirare. Aria calda. Aria di maggio.
- È qui, a questo punto, che Assunta Martucci entra in scena. Il marchese aveva un debito di sigarette. Un debito mai saldato e fu così che Assunta un giorno si presentò al portone del palazzo e bussò per ore fino a che non entrò. Dal quel giorno lì è rimasta e non ne è più uscita.
Atmosfera del mistero. Assunta Martucci prepara filtri magici immersa nel vapore, il marchese scamiciato buttato su una poltrona beve. Preda della contrabbandiera. Forse si innamorarono, qualcuno disse.
- ma quale amore e amore... don Alfonso non capiva più niente e Assunta se lo pazziò...accussì. Pollice e medio schioccano.
- Si fece accettare, gli pagò qualche debito e pare che sdebitò anche qualche gioiello di famiglia. E accussì il marchese si fece sposare. Niente cerimonia, una cosa veloce nella cappella del palazzo. Dopo qualche mese Assunta lo mise a pane e mortadella mentre lei s'abbuffava di quattro stagioni e di frittura di pesce. Ma tutto questo lo seppe fare bene, molto bene. Nessuno sapeva niente: chi era lei, che faceva, da dove veniva, a chi apparteneva. E nessuno avrebbe saputo mai niente se un giorno qualcosa non fosse successo.
Pausa. Cosa successe? chiedevano gli occhi.
- Una volta Assunta fece venire un tassì sotto casa per farsi accompagnare a Pozzuoli dove teneva padre e madre. Quando il tassista la vide uscire dal palazzo schiattò dalle risate, la pancia in mano, non si poteva più reggere, appoggiato alla macchina alluccava "all'anima della marchesa... la marchesa dei miracoli.. la marchesa dei miracoli.." e rideva rideva.
Assunta fece per rientrare ma andò verso il tassista e gli sputò in faccia. Due volte. E quello continuava a ridere. Altri sputi e maleparole. E che maleparole... roba di prima qualità, cose che non posso ripetere davanti a queste anime innocenti! - E mi guarda. Di nuovo mani calde sul viso. Innocente. Sto mettendo i peli. Come Giggino. È più piccolo di me ma ha già i peli e arriva pure.
Inarrestabile la segatera: - Quando Assunta rientrò io avvicinai il tassista e lui spon-ta-nea-men-te mi raccontò cosa era successo. E mi disse tante cose. Mi disse della bancarella a Piazzetta Augusteo, di tutte le volte che l'aveva accompagnata in piena notte nei locali degli americani giù al porto. Era famosa come "Malboro".
- ..e il marito, il marchese che fine ha fatto? - chiedono. Pausa.
La segatera si fa lentamente il segno della croce. Scomoda il ritratto di suo marito dal placido senone. Lo bacia. I bambini tremano. Io tremo. Diavoli. Fatture.
La gente porge l'orecchio, spinge, s'affolla. È scomparsa la segatera, non riesco più a vederla. Troppa gente davanti. All'improvviso. Segmentando prima sottovoce. - Si-fi-li-de. La sifilide se lo magnò. Poco per volta.
Mi stringo a mia madre. La fisilide, deve essere grosso, più grosso di un leone per mangiarsi un marchese - non è stata Assunta Martucci a mischiargliela - sentenziò la segatera - l'aveva già prima di conoscerla…-
Forse la francese, qualcuno azzardò. L'artista sciantà forse gliela aveva mischiata. Con autorità la segatera:
- Non inventate. Non vi buttate a indovinare. I fatti vanno rispettati. A me la gente crede e mi confida perché sa che io non sono né una malalingua né una bugiarda. Riferisco, come giornale. Vedo, penso, metto insieme ed esce lo stono. A me Assunta Martucci mi sta qua, sullo stomaco, avrei potuto dire che fu lei a mischiargliela la malattia, chi potrebbe dire il contrario? Ma io non lo dico, non sono una mala lingua. Altro Passalacqua. Celestiale tostatura. Profumo infinito. Mia madre lo gusta. Mi bacia sulla bocca e sento il caffè. Mi piace. Ho sonno.
La marchesa distrutta era rientrata. Il palazzo al buio. Don Arturo era rimasto solo. Sconfitto. Come al solito. Niente da fare con la segatera. Vedovi. Mammà dice che un giorno o l'altro si sposeranno. Donna Filomena lo fece chiamare.
- un caffè per don Arturo...
- Grazie donna Filomena... a proposito avete saputo che hanno ritrovato la moglie di Totore o'ferraro?
- l'ho sentito dire, voi che sapete? - la segatera alla carica con una punta di invidia per la notizia fresca fresa.
- della faccenda si è occupato don Armando... e voi sapete che quando don Armando si mette a disposizione di qualcuno la cosa la risolve.
- Certo la moglie di Totore è proprio un bella femmina. Troppo bella. Chi lavora dalla mattina alla sera non dovrebbe mai sposare una donna troppo bella. Gli sfaticati questo lo sanno.. lo sanno fin troppo bene. A proposito dove l'hanno trovata?
Don Arturo è lento, mi fa venire sonno. Mammà mi dondola. La segatera mi copre con uno scialle nero. Sento la carne calda di mia madre sulla guancia. Fa freddo.
... stavano a Melito, in campagna, sì lui è Melito...
Altre storie si raccontano. Altro caffè scorreva. Il palazzo scompare nel buio. Altri luoghi e altre persone. I bambini sognarono di mostri che mangiavano marchesi, di cani sanguinari avvelenati, e di sigarette americane vestite da sposa.