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Mario Amato
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UN VECCHIO FOGLIO PROFETICO
 
Affascinante è perdersi nei labirinti costruiti da Kafka, ma anche negli stessi labirinti dei significati reconditi della sua scrittura. Può accadere accompagnando Joseph K. nei corridoi e nelle stanze del tribunale, immaginando la serie di edifici e giardini che dovrebbe attraversare il messaggero imperiale, può accadere perfino quando non ci sono labirinti, ma si è immobili in uno spazio chiuso, come avviene al calzolaio del racconto “Un vecchio foglio” [7]. L’antichità del foglio non è chiaramente detta, ma è l’argomento stesso che immette in un tempo remoto: il calzolaio ha un laboratorio nella piazza di fronte al palazzo imperiale e dal suo negozio può vedere “l’ingresso di tutte le strade che qui sboccano”. È presumibile quindi che quelle strade costituiscano un labirinto. La piazza è piena di soldati armati, ma essi non appartengono all’esercito dell’Imperatore, ammesso che ci sia un esercito imperiale. Sono invasori nomadi. Abbiamo quindi il contrasto tra nomadi e sedentari. Questi nomadi non conoscono la lingua del posto, hanno sporcato la piazza, rifiutano di comprendere le usanze del popolo assoggettato.
È abbastanza agevole comprendere che l’ispirazione per tale racconto proveniva a Kafka dal ghetto di Praga e dal tentativo del processo di assimilazione del popolo ebraico. Non bisogna neanche dimenticare che Kafka era uno scrittore praghese che scriveva in lingua tedesca, appartenente dunque all’Impero austro-ungarico, che forse è stato l’ultimo sogno di uno Stato sovrannazionale dove più popoli potessero vivere in pace, rispettando le rispettive culture. Non a caso Joseph Roth, Stefan Zweig e Franz Werfel, Robert Musil indicarono nei nazionalismi uno dei massimi mali del Novecento [8]. L’impero austro-ungarico non era un mondo, ma erano più mondi che si incrociavano. Kafka non viaggiò molto, ma pure dalle sue pagine traspare e traspira quel mondo. Si diceva che l’Austria-Ungheria non aveva una capitale, ma molti capitali. Vienna era la capitale, la Hauptstadt (letteralmente città principale) di riferimento, ma anche Praga, Budapest, Trieste erano a loro modo capitali. E certo Kafka sentiva la contraddizione di vivere in una terra multietnica e multiculturale, come si direbbe oggi, e di restare chiuso nel ghetto di Praga. Egli sentì, come ci confermano i suoi Diari e la “Lettera al padre”, il fascino della cultura jiddish, ma ciò non significava la rinuncia ad appartenere all’Impero asburgico.
Leggiamo ancora un passo del racconto: “Appena apro, al primo albore, il mio negozio, vedo l’ingresso di tutte le strade che qui sboccano già pieno di armati. Non sono però i nostri soldati, ma come si vede bene, nomadi che vengono da settentrione. Sono riusciti ad entrare – e non riesco a capir bene – perfino nella capitale, che pure è lontana dal confine”[9]. Vienna era lontana dal confine, ma non Praga. Anche a Praga tuttavia c’era la sede imperiale, dove era avvenuta la famosa defenestrazione[10].
Leggiamo ancora: “Era già subentrato un gran silenzio quando mi arrischiai a uscire: (…..). Proprio in quell’occasione mi parve di veder l’imperatore stesso a una finestra del palazzo; non vene mai, di solito, in queste stanze che confinano con l’esterno, vive sempre nel giardino più lontano dall’ingresso; ma questa volta – così almeno mi parve – era a una finestra e guardava con la testa china quel che succedeva dinanzi al suo castello” [11].
Qui l’imperatore rappresenta forse la speranza, forse finalmente il messia che si interessa di nuovo alle sorti del suo popolo eletto, ma è una speranza fievole: “Come andrà a finire? – ci chiediamo tutti – Quanto sopporteremo ancora questo peso e tormento? Il palazzo imperiale ha attirato i nomadi, ma non riesce ad allontanarli. Il portone resta chiuso;…..”.
Come nel racconto “Un messaggio dell’Imperatore” anche qui c’è la presenza di un castello, e sebbene il laboratorio del calzolaio sia sito proprio di fronte al palazzo imperiale, questo non pare accessibile. L’ultimo romanzo di Kafka si intitola “Il castello”. Vediamo allora qual è in generale il significato simbolico del castello: “Nella realtà, come nelle fiabe e nei sogni, il castello è generalmente situato sulle alture o in una radura della foresta: è una dimora solida e di difficile accesso; rispetto alla casa, dà un’impressione di maggiore sicurezza ed è, generalmente, un simbolo di protezione. La sua collocazione lo isola in mezzo a campi, boschi, o colline; ciò che esso racchiude è separato dal resto del mondo, assume un aspetto lontano, inaccessibile e desiderabile”. [12]
È vero, in questo racconto il palazzo imperiale è in città, ma ciò che racchiude è inaccessibile; del resto l’Imperatore vive sempre nel giardino più lontano dall’ingresso, frase che ci rivela l’impenetrabilità del castello.
Nell’ultimo incompiuto romanzo Kafka torna all’antica collocazione e pone il castello – che forse non è un castello- in alto, non ad una grande distanza dal borgo, ma che per l’agrimensore K. è impercorribile.
Kafka usa spesso gli stessi simboli, è mono-tono, eppure la sua scrittura è ad ogni lettura una scoperta, ma è anche inquietante.
Leggendo attentamente il racconto “Un vecchio foglio”, datato 1917, non può non venire in mente ciò che sarebbe accaduto non molti anni dopo, quando Praga venne occupata dalle truppe naziste [13]. Leggiamo: “Anche tra i miei prodotti hanno preso qualche oggetto di valore. Ma non me ne posso lamentare quando, per esempio, guardo quel che capita al macellaio di faccia. Non fa a tempo a portare la sua merce, che gli vien già tutta strappata e divorata dai nomadi. Anche i loro cavalli si nutrono di carne; spesso un cavaliere se ne sta disteso accanto al suo cavallo e ambedue mangiano lo stesso pezzo di carne, ognuno a un’estremità. Il macellaio è impaurito e non osa smettere di portar la carne” [14].
Spesso ci siamo chiesti perché il popolo ebraico non si sia difeso, tranne che a Varsavia. È Kafka stesso a risponderci: “A noi artigiani e commercianti è affidata la difesa della patria, ma non siamo all’altezza della situazione; né ci siamo vantati di esserlo. È un malinteso, ed è quello che ci manda in rovina” [15].
Kafka era un profeta? Lo era solo nel senso e nella misura in cui lo è ogni grande scrittore. Se la malattia fece in modo che gli fossero risparmiate le sofferenze in qualche campo di sterminio, i nazisti non risparmiarono dal fuoco i suoi libri, ma le dittature passano, i dittatori muoiono, e noi per nostra fortuna possiamo ancora ascoltare il canto che proviene dai libri e porlo fra gli eroi del nostro popolo, ovvero, come rispose Albert Einstein al poliziotto statunitense che gli chiedeva a quale razza appartenesse, fra gli eroi della razza umana.

[7] Franz Kafka, Racconti, Mondadori, Milano 1990, pagg. 235-237
[8] A tale proposito vedi l’articolo di Joseph Roth “Il dolore del Novecento”, “Il mondo di ieri”, di Stefan Zweig, “Il crepuscolo di un mondo” di Franz Werfel, “L’uomo senza qualità” di Robert Musil (Capitolo “La Cacania”)
[9] Franz Kafka, op. cit., pag. 235
[10] Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Con il nome di Defenestrazione di Praga si intendono due episodi nella storia della Boemia, avvenuti rispettivamente nel 1419 e nel 1618, e a volte uno più recente, del 1948, nella storia della Cecoslovacchia; in questi eventi, svoltisi tutti nella città di Praga, una o più persone furono gettate da una finestra (con defenestrazione si intende proprio l'atto di gettare fuori da una finestra qualcuno). Entrambi i primi due eventi contribuirono a innescare prolungati conflitti all'interno della Boemia e altrove, ma tra i due il secondo è quello più noto, perché tradizionalmente indicato come l'episodio iniziale della Guerra dei trent'anni; oggi, con il termine "Defenestrazione di Praga", si intende normalmente l'evento del 1618.
Prima defenestrazione
La prima defenestrazione di Praga, avvenuta il 30 luglio 1419, consistette nell'uccisione di sette membri dell'ostile consiglio cittadino da parte di una folla di radicali cechi hussiti. La prolungata guerra hussita scoppiò subito dopo, e durò fino al 1436.
Jan Želivský, un prete hussita della chiesa della vergine della neve organizzò una processione dei propri fedeli lungo le strade di Praga sino al palazzo Novoměstská radnice, nella piazza Carlo; tale atto doveva rappresentare un segno di protesta contro il rifiuto da parte dei membri del consiglio della città ad uno scambio di prigionieri, inteso a liberare alcuni hussiti rinchiusi nelle carceri. Inoltre, la processione era il risultato del crescente malcontento causato dall'ineguaglianza tra le posizioni nobiliari e la chiesa; questo malcontento, combinato con un crescente nazionalismo e un aumento di influenza delle correnti radicali, come quella guidata dallo stesso Jan Želivský, si accanì contro la corruzione della chiesa cattolica.
Durante la processione una pietra lanciata da una finestra colpì Želivský; in seguito a questo attacco la folla, guidata da Jan Žižka, irruppe nel palazzo. Qui presero prigionieri un giudice, il borgomastro e altri membri del consiglio per un totale di sette individui, gettandoli poi da una finestra sulla strada, dove vennero finiti dalla folla. Secondo alcuni, re Venceslao (Václav IV in ceco), venuto a conoscenza della notizia, ne fu talmente impressionato da morire poco tempo dopo per lo shock.
Seconda defenestrazione
La seconda defenestrazione di Praga, avvenuta il 23 maggio 1618, fu l'evento scatenante della guerra dei Trent'Anni. L'aristocrazia boema era in rivolta a seguito dell'elezione di Ferdinando II, duca di Stiria e cattolico zelante, a sovrano del Regno di Boemia,di popolazione prevalentemente protestante.
Particolari
Con l'elezione di Ferdinando II la tolleranza mostrata fino ad allora verso i protestanti veniva messa in discussione, e l'ordine di cessare la costruzione di alcune cappelle protestanti fece da scintilla per la sollevazione. I rivoltosi, sostenendo che i terreni su cui si stavano costruendo le cappelle fossero del re e non della chiesa cattolica, denunciarono la violazione della lettera di maestà, scritta dall'imperatore Rodolfo II nel 1609, che permetteva la libertà di culto.
Al castello di Hradčany, noto anche come Pražský hrad (ovvero "Castello di Praga"), il 23 maggio 1618 alcuni rappresentanti dell'aristocrazia, galvanizzati dal Conte Thurn, catturarono due governatori imperiali, Jaroslav Martinitz e Wilhelm Slavata, e li lanciarono fuori dalle finestre del castello insieme a un loro segretario Philip Fabricius; i malcapitati atterrarono su un cumulo di letame, Slavata svenne, ma nessuno di loro si ferì gravemente. Il Fabricius poco dopo fu nominato nobile dall'imperatore con il titolo di von Hohenfall (letteralmente “caduto dall'alto”).
La sopravvivenza dei tre delegati imperiali fu vista, in ambienti cattolici, come una grazia divina e il segno che la lotta cattolica era più che approvata da Dio.
[11] Franz Kafka, op. cit., pag. 236
[12] Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, BUR, volume secondo, Seggiano di Piolnello, 1997
[13] Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Reinhard Tristan Eugen Heydric (7 marzo 1904 – 4 giugno 1942) è stato un militare tedesco, uno dei più importanti sostenitori di Adolf Hitler durante il suo dominio sulla Germania. Detto der Henker (il boia), divenne ben presto un gerarca nazista. Fu stretto collaboratore di Heinrich Himmler nella Gestapo. Agì in Boemia e Moravia nel 1941, compiendo sanguinose repressioni. Fu ucciso nel 1942, all'età di 38 anni, in un attentato organizzato da patrioti cecoslovacchi. Fu a lungo sospettato di avere origini ebraiche, sospetti che comunque non furono mai confermati ufficialmente dal momento che Heydrich impersonava nel regime nazista l'esempio del perfetto ariano, anche se al momento attuale possiamo dire con sicurezza che tali origini erano presenti da entrambi i genitori.
Reinhard Heydrich nacque ad Halle, in Germania, il 7 marzo 1904 figlio del musicista e compositore Richard Bruno Heydrich e di Elisabeth Anna Amalia Krantz, una cantante d'opera.
Entrambi i genitori erano appassionati di musica (il padre era un compositore) e fecero nascere nel figlio una passione per il violino che durò per tutta la vita. Sebbene Reinhard fosse una persona timida, era fisicamente molto prestante ed eccelleva nell'atletica, nel nuoto e nella scherma.
Heydrich entrò nei Freikorps sin da giovane. Nel 1922 entrò in marina ma fu presto congedato perché, dopo aver avuto una storia con la figlia di un suo superiore, la tradì per una donna più giovane. La figlia dell'ufficiale riferì l'accaduto al padre che l'accusò di "condotta deplorevole per un ufficiale e per un gentiluomo". Al processo Heydrich si presentò con una spavalderia tale che gli costò anche l'accusa di insubordinazione. Cacciato dalla marina e senza più nessuna prospettiva di carriera, nel 1931 si sposò.
Nel 1931 Himmler volle creare un'unità di controspionaggio interna alle Schutzstaffel (SS). Su consiglio di un amico, il barone Von Eberstein, prese contatti con Heydrich che venne poi selezionato per il compito e che entrò così a far parte anche del Partito Nazista.
In questo periodo Heydrich fu piuttosto insignificante nell'apparato nazista. Guadagnava poco e lavorava in un piccolo ufficio. Il suo compito, e quello della sua unità, era però molto delicato: costruire un archivio di notizie riservate su tutte le persone che potevano minacciare il Reich, ma anche di alti ufficiali e personalità politiche di spicco.
Nel 1932 la sua divisione venne ribattezzata Sicherheitsdienst (SD). Heydrich cominciò ad acquisire potere. Sfruttando le informazioni in suo possesso si guadagnò l'amicizia di Himmler che lo mise a capo del Reichssicherheitshauptamt (RSHA) (il quale comprendeva: SD, Gestapo e le Einsatzgruppen), il tutto nonostante le sue origini ebraiche, le quali furono strumento di ricatto nei suoi confronti da parte delle alte sfere del partito nazista.
Dopo la presa del potere da parte di Adolf Hitler, Heydrich si occupò di quelle organizzazioni o quelle persone che potevano ledere alla causa nazista. Egli stesso, in seguito, organizzò il falso attacco alla centrale radio di Gleiwitz denominato "operazione Himmler" che diede il via alla Seconda guerra mondiale.
Heydrich all'inizio del conflitto prestò servizio nella Luftwaffe, ottenendo anche delle decorazioni per la sua audacia. Nel 1941 venne abbattuto da razzi della contraerea sovietica e fu costretto a nuotare in un fiume per salvarsi. Questo fu troppo sia per Himmler che per Hitler, che sapevano quanto poteva essere pericoloso per la Germania Nazista il fatto che Heydrich potesse essere catturato vivo.
Nel settembre 1941 divenne governatore del Protettorato di Boemia e Moravia, sostituendo Konstantin von Neurath. Heydrich diventò il dittatore de facto della zona, ordinando repressioni e persecuzioni tanto da guadagnarsi l'appellativo di boia (der Henker in tedesco). Spesso guidava per le strade della Boemia e della Moravia con una macchina scoperta per mostrare l'efficacia delle sue forme repressive alle forze di occupazione.
Il 20 gennaio del 1942 Heydrich tenne a Wannsee la tristemente famosa conferenza nella quale venne pianificata la Soluzione Finale (Endlösung der Judenfrage in tedesco).
Il 27 maggio del 1942 un commando composto da membri del governo cecoslovacco in esilio addestrato dagli Inglesi del SOE (Special Operations Executive) attentò alla vita di Heydrich. Il gruppo, composto da Adolf Opálka (il capo), Josef Valčík, Jan Kubiš e Jozef Gabčík, riuscì a fermare l'auto su cui Heydrich viaggiava insieme al suo autista, l'SS-Oberscharführer Klein, ed a gettargli contro una granata anticarro. Tuttavia ciò non bastò ad uccidere Heydrich che scese dalla macchina e cercò di inseguire i suoi aggressori, prima di accasciarsi svenuto. Fu mandato, su ordine di Himmler, all'ospedale di Praga. Le ferite riportate nell'attentato risultarono però troppo gravi, e alle ore 4,30 del 4 giugno spirò all'età di 37 anni per setticemia, anche per la decisione da parte dei medici che lo curavano di somministrargli sulfamidici, collaudato prodotto della scienza tedesca, invece che la più efficace penicillina, nuovo ritrovato di quella inglese.
Gli attentatori nel frattempo trovarono rifugio presso una chiesa ma, rintracciati dalle forze di occupazione ed impossibilitati a difendersi, scelsero la via del suicidio.
Ad Heydrich spettarono tutti gli onori militari. Un grandioso funerale fu allestito a Berlino con tutte le più alte cariche del Reich, Adolf Hitler compreso, che così ricordò Heydrich: "E’ stato stupido ed idiota. Un uomo come lui non doveva esporsi a simili rischi".
Come rappresaglia, i tedeschi assassinarono tutti i maschi oltre i 16 anni nel villaggio di Lidice, vicino a Praga, ed in seguito lo bruciarono completamente.
In onore di Heydrich il piano per la costruzione dei primi tre campi di sterminio tedeschi (Treblinka, Sobibór, e Belzec) prese il nome di Operazione Reinhard.
Reinhard Heydrich fu sepolto nel cimitero degli Invalidi di Berlino, in una tomba a fianco di quella del generale Tauentzien Von Wittenberg, eroe della guerra tedesco-prussiana contro Napoleone (1815). Il cippo funebre fu distrutto dopo l'occupazione sovietica di Berlino così che oggi la sepoltura risulta priva di qualsiasi segno di identificazione.
[14] Franz Kafka, op. cit., pag. 236
[15] Ivi, pag. 237