Pasolini trentanni dopo 
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Antonio Limonciello
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PASOLINI PEDAGOGO
 
La produzione di un poeta, uno scrittore, un regista, un intellettuale come Pasolini, non può non avere un grande valore pedagogico. Egli ha insegnato in tutte le sue opere ed era sua precisa intenzione farlo, questo scritto però analizzerà il suo impegno diretto nel campo educativo, perché Pasolini è stato per più anni insegnante non per caso ma per scelta.

Le esperienze di insegnamento di Pasolini

Iniziò nel 1944 nella scuola di Versuta, contrada di Casarsa.
Scuola organizzata da Pasolini con il coinvolgimento della madre, una scuola per i ragazzi della contrada che, causa bombardamenti e cecchini, non potevano recarsi alle scuole pubbliche di San Giovanni al Tagliamento. La organizzò in un casolare di campagna, dove da due anni egli aveva due camere in soffitta, luogo di studio, di scrittura e d’amori.
I figli dei contadini, per ringraziare i due insegnanti, qualche volta portavano uova, farina, vino, e altro del loro mondo.
Dal 1947 al 1949 insegnò nella scuola media statale di Valvasone, sezione staccata delle medie di Pordenone. Il Preside De Zotti vide in lui un insegnante nato, lo chiamava “maestro mirabile”, “uno che sa tenere una partecipazione della classe mai vista, di aprirla allo sperimentalismo, ispirandosi alle idee di John Dewey”.
Pisolini, oltre ad insegnare letteratura e grammatica, era anche l’allenatore della squadra di calcio.
Andrea Zanzotto ricorda come coltivasse il giardinetto nel cortile della scuola, insegnasse i nomi latini delle piante, disegnasse cartelloni, inventasse favole, come quelle del mostro Userum, perché i ragazzini potessero imparare le terminazioni dei sostantivi della seconda declinazione, us, er, um
Così descrissero il loro professore due studenti alcuni anni dopo aver lasciato la scuola media di Valvasone:
Nel 1947, in prima media, arrivò un giovane professore di lettere, fece l’appello e si presentò, si chiamava Pier Paolo Pasolini.
Crediamo non fosse ricco perché ogni giorno, col buono e col cattivo tempo, si faceva, con la bici, 12 chilometri di strada bianca per venire da Casarsa a Valvasone.
Quella modesta bicicletta fu la sua fedele compagna per tutti e due gli anni che passò con noi.
Nei due anni che passammo con lui fummo i più ricchi e fortunati allievi del nostro Friuli. Piano piano egli ci condusse per mano nell’immensa steppa di Anton Cecov, piena di solitudine e tristezza. Ci fece fare la conoscenza con il mondo magico della Sicilia di Verga. Con lui attraversammo l’oceano Atlantico per fermarci commossi e pensosi nel piccolo cimitero di Spoon River, scendemmo nel profondo sud per riscaldarci ai canti degli Spirituals negri. Ci fece amare Ungaretti, Saba, Montale, Sandro Penna, Cardarelli, Quasimondo e molti altri poeti che, allora, non erano ne’ premi nobel, ne’ comparivano nelle antologie per le scuole

Di queste due esperienze lascerà “Diario di un insegnante” che comprende, tra l’altro, 2 gruppi di poesie, uno dedicato ai ragazzi della scuola di Versuta, e l’altro ai ragazzi della scuola di Valvasone, poesie che lui leggeva proprio a loro durante le lezioni.
Dal 1950 al 1954 prestò servizio presso la scuola media privata di Ciampino. Insegna per necessità economiche, 20 – 25 mila lire al mese. Era scappato da Casarsa per lo scandalo seguito alla denuncia dei genitori di alcuni ragazzi, espulso dal PCI friulano, con un processo giudiziario in corso, si era trasferito a Roma.
Per quattro anni e per ogni giorno partì dalla sua borgata di Ponte Mammolo per arrivare a Ciampino, due ore di mezzi pubblici all’andata e due al ritorno. Smetterà quando il contratto con l’editore Garzanti e le sceneggiature, a cui aveva cominciato a collaborare, gli permetteranno di fare a meno di quello stipendio.

Dal “Diario di un insegnante” si può comprendere come Pasolini si preoccupasse degli aspetti pedagogici e didattici. Riflessioni, scoperte, preparazione delle lezioni, osservazioni sui ragazzi, poesie, racconti, miti per i suoi ragazzi, mai li chiamerà alunni o studenti. A loro, d’altra parte, chiedeva componimenti non solo in prosa.
Dal Diario si può sintetizzare quanto segue:
- i ragazzi odiano studiare perché lo studio non è avventura, ma noiosa convenzione
- se un ragazzo è intelligente ma non studia è colpa dell’insegnante
- l’insegnante deve essere animatore del processo educativo. Non deve essere oggetto d’amore ma saper provocare amore per l’oggetto di studio, saper suscitare la passione per lo studio che si autoalimenta
- l’insegnante deve essere creativo e inventare situazioni dove apprendere è un gioco.
- l’insegnante non si deve abbassare al livello del ragazzo, non serve al processo educativo. È vero il contrario in quanto il ragazzo non vuole rimanere prigioniero del suo mondo ma è alla ricerca di strade per uscirne. E l’insegnante deve offrirgli l’opportunità
- l’insegnante deve però umanizzarsi, farsi scoprire nei sentimenti, nelle debolezze, nella sessualità, nella quotidianità. Questo tenendo un profilo culturale alto.
- la scuola deve far cadere tutti i feticci, in primo luogo quello del ruolo dell’insegnante che col suo potere terrorizza i ragazzi
- proprio per la necessità di abbattere tutti i feticci l’insegnamento della religione non deve essere obbligatorio
- nella scuola la poesia è relegata a un ruolo minore in quanto non utile ai processi produttivi. Bisogna invece dare maggiore importanza alla poesia.
- la poesia è importante perché può innescare il processo creativo fine a se stesso, non utilitaristico, quindi puro.
- si deve cominciare dalla poesia contemporanea perché più vicina per linguaggio e per sentire a coloro che la devono apprendere
- il processo di apprendimento passa attraverso il sentire: percepire emozioni e trovare le parole per esprimerle. Leggere poesia deve voler dire: sentirne le emozioni, scoprire le proprie, associare alle emozioni le scoperte linguistiche per esprimerle
- le antologie sono insulse e sempre vetuste, gli unici libri di testo utili sono i manuali, come la grammatica. Le antologie vanno abolite per essere sostituite da materiali vivi e locali
- il dialetto non deve rimanere fuori dalla scuola, esso è fonte primaria di ricchezza della lingua italiana
- il fine ultimo della scuola è creare cultura

Dunque il giovane insegnante Pasolini degli anni quaranta e cinquanta, dà un alto valore alla scuola, si preoccupa di aumentarne il ruolo e migliorarne la qualità.
Nel 1955 Pier Paolo Pasolini, ancora non famoso, e il giovane Lorenzo Milani individuano e denunziano i guasti ineluttabili di un'ondata di consumismo di cui allora potevano vedersi appena le prime avvisaglie. In una intervista comune diranno: il consumismo ha dilagato, ha travolto ethos pubblico, tradizioni e regimi.
Nell’intervista non ancora si indica la scuola come uno dei canali per trasmettere i comportamenti consumisti, Pasolini lo farà più in là, dopo l’istituzione dell’obbligo a 14 anni.
Negli anni 60 definisce la scuola obbligatoria e di massa: un mattatoio dell’intelligenza e della creatività.
Egli si rende conto che il nuovo potere fascista della seconda rivoluzione borghese ha ceduto alle richieste di maggiore istruzione dei comunisti dei socialisti, ma solo per meglio controllare le classi popolari e più efficacemente sfruttarle.
La scuola e la televisione stanno realizzando il genocidio della cultura italiana.
La scuola è responsabile del processo di omologazione in atto, scriveva infatti che: “tutti parlano una orribile lingua media di frasi fatte e modi di dire veicolati dalla televisione. Tutte le diversità stanno degradando verso i nati morti, ovvero la gente media, i piccoli borghesi”.
All’inizio degli anni 70 troverà assonanza e pensiero compiuto in “Descolarizzare la società” di Ivan Illich, troverà alleanze in alcuni movimenti di estrema sinistra e alcune minoranze cattoliche.

Scheda su “Descolarizzare la società” di Ivan Illich:

- Sono istituzioni manipolatrici scuola, forze armate, prigioni, manicomi, ospizi, orfanotrofi.
……….
- Noi diamo il nome di educazione ad un bene di consumo, ad un prodotto la cui fabbricazione è assicurata da un'istituzione chiamata ufficialmente scuola
……….
- L'insegnante riassume in sé le funzioni di giudice, ideologo e medico, e pertanto una società liberale non può fondarsi sul sistema scolastico moderno: "dai rapporti insegnante-allievo sono infatti escluse tutte le salvaguardie della libertà individuale".
……….
- Occorre invece conferire cittadinanza piena ai ragazzi di dodici anni….
……….
- La descolarizzazione dovrebbe essere la premessa di qualsiasi movimento per la liberazione dell'uomo
.………
- Il rapporto autentico fra maestro e allievo è gratuito ed è un privilegio per entrambi.
…..
Cosa bisogna fare?
La riforma dell'istruzione deve innanzitutto restituire l'iniziativa dell'apprendimento "al discente o al suo tutore più immediato" e togliere l'obbligo di frequenza.
Eliminando le restrizioni all'insegnamento, spariranno anche quelle all'apprendimento
Bisogna rilasciare ad ogni cittadino, fin dalla nascita, una carta di credito educativ.
Le leggi devono estendere a tutti la libertà accademica.
Bisogna creare liberi centri di preparazione aperti a tutti.

Questo l’Ivan Illich del Descolarizzare la società del 1970

Nel 1975, su “Il mondo” Pasolini pubblicherà in 14 lettere settimanali: “Gennariello”. un Pasolini che ha letto Illich, sia quello di Descolarizzare la società, sia quello de La Convivialità.

Il programma enunciato, prevedeva 15 lettere settimanali:

1) Come ti immagino
2) Come tu devi immaginarmi
3) La mia scrittura pedagogica
4) Progetto dell’opera
5) Le fonti educative più immediate
6) La famiglia: il padre
7) La famiglia: la madre
8) La scuola e ciò che vi insegna
9) I maestri
10) I professori
11) Gli altri studenti e coetanei in genere
12) La stampa e la televisione
13) Il sesso (10 paragrafi)
14) La religione (10 paragrafi)
15) La politica (10 paragrafi)

Ne pubblicherà 14 e di contenuto sostanzialmente diverso

studente e pedagogo si scelgono
1. come ti immagino
2. come tu devi immaginarmi
3. ancora sul tuo pedagogo

le fonti, il linguaggio, i temi, il metodo
4. come parleremo
5. progetto dell’opera

le fonti 1: le cose, il linguaggio delle cose
6. la prima lezione me l’ha data una tenda
7. impotenza contro il linguaggio delle cose
8. siamo 2 estranei, lo dicono le tazze da tè
9. come è mutato il linguaggio delle cose
10. Bologna città consumista e comunista

le fonti 2: i tuoi coetanei
11. i ragazzi sono conformisti 2 volte
12. vivono ma dovrebbero essere morti

ogni tanto i maestri divagano
13. siamo belli, dunque deturpiamoci
14. le madonne oggi non piangono più

Soffermiamoci sul progetto educativo che Pasolini presenta nella sua quinta lettera, quella del 3 aprile 1975: Il progetto enuncia le fonti educative, i temi da approfondire, la lingua e il metodo.

le fonti educative
1 - quelle immediate sono mute ma ci parlano, esse sono gli oggetti inerti che ci circondano. Dagli oggetti si riceve la prima educazione, per questo sarà affrontato per primo il linguaggio delle cose. Ma se Pasolini si è formato su certi oggetti del suo tempo, e la sua estetica è inscindibile dalla sua cultura, egli è separato da Gennariello, perché Gennariello si è formato sugli oggetti di oggi, oggetti a lui estranei. Egli come pedagogo potrà tentare di scalfire le altri fonti pedagogiche ma non la fonte oggetti. Gli oggetti hanno formato una separatezza incolmabile, rispetto alla quale nessuno può intervenire.
2 - dopo aver affrontato il linguaggio delle merci, o beni di consumo, passerà alle attuali fonti educative, e cioè i coetanei. Essi sono adesso i veri educatori, i portatori, inconsapevoli e prepotenti, di valori nuovi che solo i giovani vivono, da questo processo educativo i padri, le madri, i maestri, e Pasolini stesso, sono esclusi. Dunque il pedagogo non può scalfire neanche questa fonte.
3 - i genitori, gli educatori ufficiali, o diseducatori. Ovvero cosa accade nelle dinamiche familiari, il rapporto di amore e odio per i genitori. Il pedagogo qui può essere incisivo.
4 - la scuola, ovvero quel luogo organizzato per diseducare, che rende un ragazzo idiota, umiliato, degradato, incapace di capire, chiuso in una morsa di meschinità mentale. Anche su questa fonte il pedagogo può essere incisivo
5 - la stampa e la televisione, spaventosi organi pedagogici privi di alternativa. “Sarò furente con loro” perché essi sono come gli oggetti, non ammettono replica. Il pedagogo può però far acquisire capacità critica rispetto al mezzo, ovvero il suo linguaggio.

Nel trattare le 5 fonti pedagogiche cercherà di essere non scientifico, perché come dice Barthes, si è scientifici per mancanza di sottigliezza, insomma la scienza è grossolana e limitante.

Dopo le fonti passerà ai temi, e cioè:
- il sesso
- il comportamento
- la religione
- la politica
- l’arte


L’atteggiamento sarà pragmatico, con consigli pratici e divertimento nella trattazione. Niente di prestabilito ma tutto lasciato alla spontaneità del divenire relazionale.

Gli aspetti pedagogici:

Che scuola è questa di Gennariello?
È una scuola dove:

1) L’insegnante e lo studente si scelgono, non si impongono a vicenda (non esiste una struttura che obbliga insegnanti e studenti a operare assieme anche se non si piacciono).

2) L’insegnamento è critica dei valori e delle istituzioni dominanti, l’insegnamento libera le coscienze dai lacci e laccioli delle convenzioni, dello scontato, dell’omologante

3) Si recuperano i dialetti, cioè le basi della cultura italiana.

Questa volta con una motivazione in più rispetto agli anni quaranta: i dialetti sono luoghi della cultura popolare ancora non distrutti completamente dal consumismo e dall’omologazione.

4) Si rifiuta l’italiano medio, cioè la lingua del potere, per fare controcultura.
E dove, secondo Pasolini, sarebbero questi luoghi di resistenza o estraneità alla cultura dominante?
In un primo momento nell’Italia rurale preindustriale, nei paesi di campagna, ma poi già ne Le Ceneri di Gramsci, 1957, ne piangerà la morte.
Poi li scopre nel sottoproletariato urbano che vive ai margini, anzi fuori dall’agire dei poteri borghesi.
Infine, via, via che il genocidio culturale si realizza, l’ultima frontiera italiana la trova in Napoli, nel cui humus ha già ambientato, nel 1971, il Decameron.
E ancora nel 75, con Gennariello, egli crede che a Napoli sia possibile una cultura altra.
Infine, vale pena ricordare che nel suo Manifesto per un nuovo teatro, siamo nel 1968, non solo detta le caratteristiche di questo teatro, ma indica anche a chi si deve rivolgere: alle elite intellettuali e agli operai, quindi egli ancora indica nella classe operaia il luogo di una possibile cultura altra: “Non perché gli operai non siano attraversati da fenomeni di imborghesimento, anzi, ma loro possiedono una coscienza di classe che li rende ancora capaci di critica e di alternativa”.

5) Si propone la conoscenza critica del mondo.
Egli, il pedagogo, educa Gennariello alla vita, in un rapporto diretto, improponibile nella scuola di massa, improponibile a livello istituzionale, improponibile nelle compatibilità di un qualsiasi sistema economico e politico.

Riflessioni critiche
Pasolini realizzerà solo in parte il piano editoriale annunciato. Durante la trattazione si lascia scavalcare dalla necessità di intervenire sulla cronaca che lo riguarda. Alla fine si sofferma essenzialmente su 2 fonti, quelle, secondo lui, più determinanti per la formazione di Gennariello: gli oggetti e i coetanei, ovvero, le fonti non scalfibili dal pedagogo.
I temi enunciati non saranno più ripresi, se non marginalmente.
Rispetto al linguaggio delle cose, egli dichiara il suo rifiuto ad apprenderne il nuovo, ne vuole rimanere estraneo, vuole resistere a quello che avanza.
Però egli può trasmettere a Gennariello un atteggiamento critico rispetto ai nuovi oggetti, e soprattutto al consumismo, ovvero al consumare gli oggetti, cambiarli in continuazione anziché conservarli.

Nel presentare la fonte i coetanei, li classifica in Obbedienti e Disobbedienti.
Liquida rapidamente i disobbedienti e si sofferma a lungo sugli obbedienti, in particolare su una sottocategoria da lui definita: “i destinatari ad essere morti”.
Perché i giovani sono tristi e brutti?
Perché se sono belli si deturpano con capelli incolti, barbe orribili, vestiti omologanti?
Si era già espresso in un lungo intervento “I giovani infelici”, nel quale sostanzialmente ritiene che essi pagano le colpe dei padri. E dove sarebbero queste colpe dei padri? “Nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese. In poche parole, i padri hanno tradito la resistenza e sono diventati tutti dei piccoli borghesi”.
In Gennariello aggiunge: “una delle ragioni sta proprio nella larga presenza dei non Benedetti, dei destinati ad essere morti. Sono coloro che la scienza ha salvato, coloro che fino a una ventina d’anni fa sarebbero morti durante i primi anni di vita. Sono dei sopravvissuti, in loro c’è qualcosa di artificiale, di contro natura. Ora, se ci fosse un problema di salvare la specie, la loro salvezza avrebbe un senso, ma essi sono salvati per poi ritrovarsi a non essere benedetti dai loro genitori. I Nati Oggi non sono aprioristicamente benedetti, il giudizio è sospeso, ma sono certamente maledetti “i nati in più”.
Qual è la funzione pedagogica dei sopravvissuti? La loro ansia di normalità li porta ad insegnare:
- il conformismo
- la rinuncia, perché essi devono ridurre al minimo lo sforzo per vivere
- il brutto, perché loro si ritengono tali
I “Vivono ma dovrebbero essere morti” sono l’emblema della classe media.
È meglio che Gennariello non si accompagni a persone del genere, queste persone lo porterebbero inesorabilmente verso il degrado in cui versano i giovani d’oggi.

È inquietante, c’è qualche cosa di odioso, di razzista in queste affermazioni. Come dire che, siccome saranno pessimi soggetti sociali, conservatori reazionari, sarebbe meglio lasciarli morire?
E comunque, se proprio dovessero vivere … è bene non frequentarli.
Forse Pasolini voleva affrontare il discorso dell’aborto?
No, lo ha già fatto in una lettera precedente.
Per sua esplicita ammissione, Pasolini voleva solo trovare una metafora forte per esprimere il suo disprezzo verso la classe media.
E allora, ancora di più rimane un’operazione di cattivo gusto, anzi, nazista.
E se anche così fosse, cioè che i destinati a morire abbassano la qualità del genere umano, e se anche fosse che questi giovani siano tristi e nevrotici, non c’è speranza di guarigione? E chi dispone quale debba essere la qualità del genere umano? Non c’è speranza di recupero?
Solo due, tre anni dopo, nel triennio 77-79, l’Italia si dota di un complesso di norme su:

- il nuovo diritto di famiglia
- l’integrazione di tutti i tipi di handicap, a scuola come sul lavoro
- la chiusura dei manicomi
- il diritto allo studio

Ma Pasolini non c’era più. Avrebbe perseverato nelle sue idee o avrebbe salutato gli eventi come un passo verso l’umanizzazione?

Però gli faremmo torto se non contestualizzassimo Gennariello nel momento che Pasolini stava vivendo.
Gennariello, questo ragazzo fermo nel tempo, che in Italia può essere solo napoletano, ma che l’autore potrebbe indicare in milioni di ragazzi delle bidonville del terzo mondo, riproduce, oramai stancamente, il prototipo del suo amore “peccato innocente” dell’adolescente friulano.
In Pasolini, quando scrive che i giovani sono orribili, era già avvenuto il crollo del presente, come lui stesso lo definì: “il presente è solo dolore”.
È un Pasolini che ha abiurato la Trilogia della vita, dirà per la mercificazione del corpo e del sesso, ma anche perché quella vita semplice dei primordi della borghesia oggi gli appare assolutamente improponibile.
È un Pasolini che ha da poco approfondito Sade delle “120 giornate di Sodoma”, e in qualche modo ne segue lo stile epistolare.
Egli sta girando il suo ultimo film “Salò …”, che, appunto, è un film di una probabile morte necessaria per una improbabile rinascita, che non può esserci, e non ci sarà, anche perché egli non vuole un’altra vita.
È un Pasolini il cui sogno adolescente di ragazzo che batte le rive del Tagliamento è degenerato in incubo. Il rito notturno, che ancora officia e che lo porterà alla morte, è senza amore.
Quei giovani con cui va di notte lui li odia, cosa che ribadirà con forza proprio nell’ultimo intervento sul Corriere, quello del 30 ottobre 1975.
Dunque questo scivolone sui “sono vivi ma dovrebbero esser morti” ci rivela quanto lui nel profondo non abbia più la dimensione del riscatto.

Egli, come precedentemente detto, è contro la scuola perché luogo di distruzione della persona, luogo di diseducazione, di degrado, di omologazione.
Ma è anche contro i movimenti che si oppongono alla scolarizzazione di massa, gli studenti, perché ormai sono solo moda, omologazione e degrado allo stesso modo della scuola.
Dirà: “Ci vorrebbero grandi maestri precettori, persone di cultura, perché queste non sono ferme al presente, perché queste o sono molto avanti o stanno indietro, o tutte e due le cose assieme”.
8 milioni di precettori per 8 milioni di studenti? E che proposta è?
Naturalmente Pasolini, nelle sue provocazioni, opera per paradossi e assolutismi. Poi, nei fatti, nell’agire politico, si mostra persona ragionevole e concreta, pragmatica, come ama dire lui. Non a caso il suo riferimento politico rimarrà sempre il PCI, un PCI amore-dolore, un amore-odio a cui sarà fedele nei rimproveri.
Infatti, a proposito del delitto del Circeo, ritornerà a parlare di televisione e di scuola nei 2 ultimi interventi sul Corriere della sera. In particolare nell’ultimo, Le mie proposte su scuola e TV, egli, nel rispondere a Moravia, ribadisce la sua radicale e utopistica proposta di chiudere la scuola dell’obbligo e la TV, ma chiarisce in modo inequivocabile che: si tratta di una sospensione in attesa di una radicale riforma.
Scriverà:
La prima cosa da fare è fermare il genocidio culturale:
- sospendiamo la scuola media obbligatoria, ... la quinta elementare basta all’operaio e a suo figlio,
- sospendiamo la televisione, l’informazione murale e la bacheca dell’Unità bastano al Quarticciolo per essere sufficientemente informato…
- Realizziamo una radicale riforma, dopo ripartiamo, magari non solo per 8 anni, l’optimum per me sarebbe 15 anni di scuola”


Negli stessi giorni, in un incontro con gli insegnanti di Lecce, si sbilancerà ad improvvisare perfino le nuove materie da introdurre con la riforma: “scuola guida e galateo stradale, problemi burocratici di ogni tipo, economia, elementi di urbanistica, ecologia, igiene, sesso…. e soprattutto aggiungerei molte letture, molte libere letture, liberamente commentate”.

E la Scuola media, dal 1977 al 1979, ebbe processi di riforma, buona parte delle discipline proposte da Pasolini furono introdotte nei Programmi del 1979, l’operatività, la concretezza che auspicava, fu chiaramente enunciata nelle premesse come approccio didattico comune a tutte le discipline, ma non credo che Pasolini avrebbe approvato la nuova scuola media, né tanto meno che si sarebbe illuso di fermare il consumismo italiano.

Tornando alle analisi di Pasolini sulla seconda rivoluzione borghese, noi sappiamo che le sue preoccupazioni sono diventante realtà, anzi si è andati ben oltre.
L’accelerazione impressa dal capitalismo per la conquista di tutto il pianeta terra è tale che ogni persona è continuamente chiamata a modificare conoscenza e rapporto con le cose.
Non è più un problema generazionale, è un problema che riguarda la nostra vita, il rapido modificarsi del linguaggio delle cose è tale da rendere quasi impossibile vivere senza appropriarsi dei nuovi oggetti.
Tant’è vero che da anni si parla di analfabetismo di ritorno, di educazione permanente e formazione continua.
O forse si potrebbe vivere senza?
Si può fare a meno del sistema di comunicazione globale e di tutti gli strumenti e linguaggi necessari ad esserne soggetti attivi?

Che società?
Che società immagina Pasolini al posto di quella fascista consumista della seconda rivoluzione borghese?
Sembrerebbe quella rurale e del proto capitalismo, sembrerebbe, perché in altri interventi, ripubblicati poi in Scritti Corsari, egli respinge sdegnosamente gli attacchi, anche dei suoi amici, che lo accusano di volere l’italietta di prima della guerra.
In questi interventi ricorda come egli sia ancorato all’Italia della resistenza come nessun altro, come egli abbia sempre denunciato il primo fascismo e successivamente il clerico fascismo democristiano, ma ribadisce come, purtroppo, siano loro, i suoi accusatori, a non vedere le nuove e più pericolose forme di fascismo.
Sul nuovo fascismo, quello dei consumi e delle manipolazioni dei media Pasolini aveva ragioni da vendere, egli però sembrava ignorare che tra la vita di quei contadini del Friuli degli anni 30-40, tra la Bologna piccolo borghese degli studi, del suo gruppo di amici, e il fascismo prima, e il clerico-fascismo poi, ci fosse una inscindibile relazione.
E allora?
Allora Pasolini non ha una società da prospettare, egli indica solo luoghi mitici, luoghi che non sono mai esistiti, se non nella forma da lui mitizzata, la sua società è una nostalgia.

E oggi che società abbiamo?

Da: Impero di Negri-Hard

1) Lo sviluppo del sistema globale richiede una continua capacità di contrattazione di equilibri sistemici, quindi una macchina che crea una domanda continua di autorità
2) L’Impero non nasce come atto di propria volontà ma come una risposta a una sua invocazione, l’impero è invocato, auspicato desiderato come strumento capace di risolvere il conflitto
3) L’Impero nasce in nome dell’eccezionalità dell’intervento, la formazione di un diritto che previene e reprime per ricostruire l’equilibrio sociale
4) Una base di valori etici universali, come presupposto del diritto che dà i poteri all’impero, pertanto il diritto di polizia legittimato dai valori universali
5)Stiamo assistendo, inconsapevoli, alla nascita di un nuovo ordine planetario, con la sua macchina amministratrice, le nuove gerarchie di comando globale:
6) Biopotere nella società del controllo: La società del controllo nasce alla fine dell’era moderna ed inaugura l’era postmoderna. Essa è caratterizzata da meccanismi di comando sempre più democratici ed immanenti al sociale. Questi meccanismi vengono distribuiti attraverso i cervelli e i corpi degli individui. Le macchine colonizzano direttamente i cervelli (col sistema delle comunicazioni, comprese le reti) e i corpi (nei sistemi del welfare, nel monitoraggio delle attività, ecc..). L’integrazione e l’esclusione sociale vengono sempre più interiorizzate dai soggetti stessi. Si va verso uno stato sempre più grave di alienazione del senso della vita e del desiderio di creatività. Il potere raggiunge la profondità dei corpi e delle coscienze, nonché tutti i gangli delle relazioni sociali.


Dunque ci stiamo avviando verso la società imperiale, una società nella quale siamo sussunti, nostro malgrado, nel sistema produttivo capitalistico.
Siamo solo una delle tante variabili consentite e compatibili. Naturalmente compresi molti di coloro che si autodefiniscono alternativi, in tutte le accezioni possibili ed immaginabili.
In una tale società il progetto pedagogico di Pasolini è ancora utile?

Sì, perché serve a formare l’uomo, il cittadino, un uomo capace di essere libero, dunque capace di dare contributi enormi alla creatività delle moltitudini.
Ricordo che egli, naturalmente, ritiene non sia compito della scuola formare il lavoratore.

Ogni tempo ha gli intellettuali che si merita
Per concludere, è importante far notare con quanta insistenza nel 1975 Pasolini si preoccupasse dell’educazione e della scuola.
Ma non era solo Pasolini ad occuparsene, la scuola era spesso al centro del dibattito nazionale, soprattutto la scuola media, quella dell’età evolutiva.
Bisogna dire però che gli intellettuali e i politici non agivano nel vuoto, loro sapevano come fossero presenti nel paese esperienze di base significative e rivoluzionarie, ovunque nascevano scuole di base che sperimentavano altri percorsi rispetto alla scuola istituzionale, scuole militanti, fatte di volontari che davano risposte altre alle classi subalterne. La più importante di queste fu certamente la scuola di Barbiana creata da Lorenzo Milani.
Nel 1967 fu pubblicato Lettere a una professoressa, libro che segnò una generazione di giovani e futuri insegnanti.
Pasolini scriverà:
É un libro che mi è piaciuto immensamente perché mi ha tenuto continuamente sospeso fra delle risate che facevo veramente, fisicamente, e dei continui groppi alla gola, cosa che molto raramente succede nel leggere un libro. E si ha questa sensazione davanti a dei libri che riscoprono, con verginità e novità, qualcosa, dando un senso come di vertigine, di libertà nel giudicare il mondo che ci è intorno”.
Ora possiamo immaginare che Pasolini ritrovò tanto di Versuta e Valvasone, le sue due scuole del Friuli, possiamo immaginare una certa soddisfazione per aver precorso quanto avveniva a Barbiana, e anche la nostalgia per quel mondo che aveva dovuto abbandonare per vicende giudiziarie.
In ogni caso Pasolini in seguito, nel commentare le “Lettere alla mamma” di Lorenzo Milani, Mondandori 1973, definirà la scuola di Barbiana “l’unico atto rivoluzionario di questi anni”.

Ai nostri tempi sono i cattolici di destra, Comunione e liberazione in primo luogo, ad essere per la Descolarizzazione, lo sono perché privilegiano il ruolo educativo della famiglia.
Ai nostri tempi è la maggioranza politica di destra a portare avanti un programma contro la scuola.
La riforma che si sta realizzando ha abolito la definizione di obbligo scolastico e sta riducendo la quantità e la qualità di scuola: il 10 % di orario in meno alle medie e fino al 25% in meno alle superiori, per non parlare degli istituti professionali.
La destra sta realizzando Pasolini e Illich?
Non scherziamo. E però:
Perché alla riforma Moratti ci si oppone resistendo sulla scuola attuale, e non proponendo un’altra scuola? Perché oggi non esistono domande così radicali come quelle che poneva Pasolini e risposte così radicali come quelle di Lorenzo Milani o quelle di Ivan Illich?
Perché non si può andare contro la scuola, perché non si può rifiutare la scuola?
È possibile una non-scuola come la immaginò Illich?
O una scuola come la realizzò Lorenzo Milani?
No, certamente la scuola oggi deve essere ancora altro.
La scuola sta vivendo a livello mondiale la più grave crisi della sua storia, ciò che è scoraggiante, e rende tristi, è che sembra non esistere più un pensiero realmente alternativo. Anche in Italia, c’è si un forte movimento di opposizione alla riforma Moratti, ma non esistono esperienze pedagogiche di base che indicano nuove strade.
E senza creatività delle moltitudini non ci saranno soluzioni da proporre.

intervento dagli "Atti del Convegno" di Frosinone