fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
[ Testo:  precedente  successivo  ]  [ fascicolo ]  [ autore
Amedeo Di Sora
[ teatrodellappeso@libero.it ]
 
LA CONDIZIONE OUROBORICA
 
Il serpente circolare, inteso come drago originario che si morde la coda, l'ouroboros (ourà. "coda", boròs: "divorante"), è un simbolo molto antico. Ancestrale potenzialità, il drago circonda l'intero cosmo con le sue spire: come nelle raffigurazioni degli antichi geografi, non di rado lo si rinviene, appunto, in forma di enorme serpente circolare.
Nella tradizione ermetica, la figura dell'ouroboros simboleggia l'unione del fisso con il volatile, del corpo con lo spirito. Inoltre, nella sua circolarità, rappresenta l'infinito, l'eternità, ed anche l'unità, poiché tutti i punti della circonferenza sono equidistanti dal centro ed in stretto contatto gli uni con gli altri. Esso è la sostanza delle sostanze, ovvero il vuoto, animato pur se tenebroso e di essenza caotica.
Questo primordiale inizio, il disco nero, da cui tutto è scaturito, questo "sonno senza sogni" di cui non possiamo né potremo mai avere coscienza, sfugge a qualsivoglia "rappresentazione", contiene tutto ciò che non si esprime: non può essere conosciuto né compreso. Il tentativo dis-umano di colmare questo vuoto della mente riconduce ogni suono verbale all'originario sapienziale silenzio.
Il simbolo del drago, nella sua polivalenza semantica, può esserci d'aiuto nel momento terribile in cui lo sguardo s'inabissa nella visione del nulla, nella percezione di uno spazio senza orizzonti, di un tempo privo di limiti. D'altronde, per il pensiero tradizionale cinese il Drago ed il Serpente incarnano i simboli del flusso e del riflusso esistenziale.
Sostiene G. Durand (1) che l'ouroboros "è per la coscienza mitica il grande simbolo del ciclo temporale". Figura femminile e maschile, datrice di vita e custode di morte, "il serpente che si morde la coda - secondo G. Bachelard -non è un semplice anello di carne, è la dialettica materiale della vita e della morte, la morte che esce dalla vita e la vita che esce dalla morte, non come i contrari della logica platonica, ma come una inversione senza fine della materia di morte o della materia di vita" (2).
Il cerchio è farmaco ed è contemporaneamente veleno, cioè potenza di attrazione e di dissolvimento, principio dominante e principio dominato, maschile e femminile. "Uroboro, - per citare ancora Durand - principio ermafrodito di fecondità, il serpente sarà infine avvalorato come custode della perennità ancestrale e soprattutto come temibile custode del mistero ultimo del tempo: della morte" (3). È il t'ai chi cinese che contiene in sé nero e bianco, giorno e notte, cielo e terra. È il grande ermafrodito, l'elemento creatore iniziale, perfetto nella sua autosufficienza.
Gli antichi alchimisti consideravano l'unità della materia (serpente che si morde la coda) come la base da cui partire per avviare la serie delle trasmutazioni. Presupposto fondamentale per la riuscita dell'opus doveva essere la corrispondenza, nelle diverse fasi, dei processi interni con quelli esterni. Il processo di trasmutazione dei metalli vili, riconoscibile nella successione all'interno del vas alchemicum dei tre colori principali: nero, bianco e rosso (rispettivamente la fase della putrefazione-nigredo, della dissoluzione-albedo, della liberazione-resurrezione- rubedo riguardante la materia), doveva coincidere con il processo di trasmutazione interiore dell'alchimista che, passando da una fase iniziale di sofferenza (un vero e proprio descensus ad inferos, durante il quale nascita e morte si compenetrano) perveniva ad una "rinascita" integrale.
Uno degli ultimi alchimisti, l'enigmatico Fulcanelli, trattando del Castello di Dampierre-sur-Boutonne nel secondo volume de Le dimore filosofali, descrive in particolare il soffitto della Galleria alta decorato da immagini bizzarre. Nel terzo cassettone della seconda serie "sul capitello di una elegante colonna si drizza l'immagine del serpente Ouroboros. Questo strano bassorilievo è segnato dall'assioma: .NOSCE. TE. IPSUM. Traduzione latina dell'iscrizione greca che compariva sul frontone del celebre tempio di Delfi: GNOTHI SEAYTON, conosci te stesso (...) 'Voi che volete conoscere la pietra, conoscete voi stessi e la conoscerete'. Questa è l'affermazione della legge analogica che dà, in effetti, la 'chiave' del mistero".
Ancora nella stessa opera Fulcanelli, a proposito dell' l' ouroboros, dichiara: "Data l'impostazione di questo emblema -esso è, insieme con il Sigillo di Salomone, il segno distintivo della Grande Opera-, il suo significato resta suscettibile di interpretazioni differenti, Geroglifico dell'unione assoluta, dell'indissolubilità dei quattro elementi e dei due principî ricondotti all'unità nella pietra filosofale, questa universalità ne permette l'uso e l'attribuzione alle diverse fasi dell'Opera, poiché tutte mirano allo stesso scopo e sono orientate verso l'unione, l'omogeneità delle nature prime, il cambiamento della loro nativa antipatia in solida e stabile amicizia" (4).
Gli gnostici, situandosi fra i cristiani, che consideravano il serpente come diabolos, e gli egiziani, i greci e i persiani che ne esaltavano i tratti ctonî positivi, vollero conciliare le due contrastanti concezioni individuando nell'ouroboros l'esistenza di una bipolarità divaricante, funzionale alla loro dottrina, capace di esprimere da una parte il caos tenebroso, dall'altra il Tempo infinito: visione che rimanda, in ogni caso, al limite circolare del mondo umano.

NOTE
1) G. Durand, Le strutture antropologiche dell'immaginario, Bari, Dedalo, 1972, p. 317.
2) G. Bachelard, in G. Durand, op. cit., p. 317.
3) G. Durand, op. cit., p. 319.
4) Fulcanelli, Le dimore fil