fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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Giuseppe Panella
 
IL FANTASMA DELLA POLITICA - 2
il Settecento e lo sviluppo della teoria del gusto

Parte Seconda
 
Gusto, immaginazione e società: Burke

Allo stesso risultato giunge Burke nella sua analisi del gusto (ovviamente senza individuare il percorso sensistico cui si è fatto riferimento in precedenza). Burke, infatti, tende a conciliare la fisiologia materiale delle sensazioni con una psicologia delle affezioni sensibili:

"Il gusto, dunque, per ciò che riguarda l'immaginazione, si basa su un principio uguale in tutti gli uomini; non v'è nessuna diversità nel modo in cui essi sono commossi, né nelle cause della loro commozione; ma v'è una differenza nel grado che deriva da due principali motivi: o da un più intenso grado di sensibilità naturale o da una più vicina e prolungata attenzione all'oggetto"
(Edmund Burke Inchiesta sul Bello e il Sublime, trad. it. di G. Sertoli e G. Miglietta, Palermo, Aesthetica Edizioni,1985, p.58).

Infatti, una volta abbandonato l'orizzonte della sensibilità oggettivamente e quantitativamente definita (il buon gusto naturale), iniziano a sorgere quei problemi teorici legati alla necessità di introdurre criteri di differenziazione nel giudizio che risulteranno, alla fine, legati all'esigenza di raffinatezza prodotta da una superiore educazione (il buon gusto acquisito e frutto dell'approfondimento dei problemi dell'arte e della bellezza):

"Finché siamo a conoscenza delle qualità sensibili delle cose, ben difficilmente sembra che sia impegnato qualche cosa di più dell'immaginazione; qualcosa di più dell'immaginazione sembra esserlo invece quando vengono rappresentate le passioni, perché, per virtù di una simpatia naturale, esse vengono sentite da tutti senza il concorso della ragione e la loro efficacia è riconosciuta da ognuno. Amore, dolore, timore, ira, gioia, tutte queste passioni hanno a turno colpito l'animo di ognuno e non in modo arbitrario o casuale, ma secondo principi certi, naturali e costanti. Ma poiché molte delle opere dell'immaginazione non si limitano alla rappresentazione degli oggetti sensibili, né allo sforzo della volontà sulle passioni, ma si estendono ai modi, ai caratteri, alle azioni e alle intenzioni degli uomini, ai loro rapporti, alle virtù e ai vizi, entrano nel campo del giudizio, perfezionato dall'attenzione e dall'abitudine al ragionamento"
(Op. cit. , pp.59-60)

Il problema si sposta dall'analisi della sensibilità oggettiva, di pari identificabilità oggettiva, per farsi carico della questione della diversa soggettività del gusto e produrre quelle differenziazioni sociali che permetteranno di individuare il nuovo soggetto emerso nel corso delle trasformazioni storiche che ne individuano la novità e la 'differenza antropologica':

"Vi sono uomini la cui sensibilità è così ottusa, il cui temperamento è così freddo e flemmatico, che difficilmente si può dire siano desti durante l'intero corso della loro vita. Su tali persone, gli oggetti più notevoli producono soltanto un'impressione debole e oscura. Vi sono altri sempre così agitati da piaceri volgari e puramente sensuali o così asserviti alle basse cure dell'avarizia o così infiammati alla caccia di onori e di gloria, che le loro menti, continuamente abituate alla bufera di queste passioni violente e tempestose, difficilmente possono essere impressionate dal gioco delicato e raffinato dell'immaginazione. Questi ultimi, sebbene per un motivo ben diverso, diventano stupidi e insensibili quanto i primi"
(Op. cit. ,pp.60-61)

L'argomentazione di Burke, ripercorrendo e descrivendo la soggettività ancora hobbesiana dei soggetti che descrive, individua un principio di differenza che andrà a costituire il nocciolo della sua (futura) riflessione politica. I detentori del gusto sono coloro i quali risultano in grado di sviluppare la loro immaginazione e la loro educazione estetica in maniera tale che essa non sia assimilabile all'unilateralità dei processi lavorativi legati alla divisione del lavoro (qui gioca un ruolo fondamentale la descrizione che di tali processi si può trovare nell'opera di Adam Smith).

"Come il lavoro comune, che è una forma di dolore," ­ scrive Burke, infatti, nel prosieguo dell'argomentazione ­ "È l'esercizio delle parti più robuste, così una forma di terrore è l'esercizio delle parti più delicate del sistema; e se una certa forma di dolore è di tal natura da influire sulla vista o sull'udito, che sono gli organi più delicati, l'impressione si avvicina di più a quella che ha una causa intellettuale. In tutti questi casi, se il dolore e il terrore sono modificati in modo da non essere realmente nocivi, se il dolore non giunge alla violenza e il terrore non ha a che fare con il pericolo reale di distruzione della persona, poiché queste emozioni liberano le parti, sia le delicate che le robuste, da un ingombro pericoloso e dannoso, sono capaci di produrre diletto; non piacere, ma una forma di dilettoso orrore, una specie di tranquillità tinta di errore; la quale, dal momento che dipende dall'istinto di conservazione, è una delle passioni più forti. Il suo oggetto è il sublime"
(Op. cit., pp.146-147)

Come Tom Furniss si è provato a dimostrare nel suo libro dedicato all'ideologia estetica di Burke (Edmund Burke's Aesthetic Ideology. Language, Gender and Political Economy in Revolution, Cambridge, Cambridge University Press,1993,un saggio che deve molto alla lezione 'althusseriana' di Terry Eagleton e del suo The Ideology of the Aesthetic, Oxford, Blackwell, 1990, ma che dà la possibilità di iniziare un lavoro di scavo in profondità del rapporto tra estetica e politica nel Settecento), il gusto è inserito in un complesso di gerarchie di senso e di comprensione del mondo che variano, appunto, a partire dal gender sessuale e dalla collocazione nel processo sociale e produttivo.
Tale processo (che culmina con l'opera di Burke sul sublime) era in realtà già iniziato nelle ricostruzioni estetiche di Joseph Addison.

Gusto, società e piacere dell'immaginazione: Addison

I piaceri dell'immaginazione (che costituiscono, a tale riguardo, l'opera più importante e rappresentativa nel vastissimo corpus dell'opera di Addison) possono essere letti e analizzati ad un duplice livello: il primo, probabilmente il più semplice, è quello storico e sociologico, sul piano della vicenda del giornalismo in Inghilterra e delle sue implicanze dal punto di vista della dimensione del gusto; il secondo, più intrigante ed intricato (ma certamente, a mio avviso, più coinvolgente ai fini di una ricerca ancora ben lontana all'essere conclusa) è quello della ricostruzione estetica dei concetti, della loro fortuna e del loro legame con la dimensione politica cui è possibile rapportarli.

"Before the profound observers of the present race repose too securely on the consciousness of their superiority to Addison, let them consider his Remarks on Ovid, in which may be found specimens of criticism sufficiently subtle and refined; let them peruse likewise his Essays on 'Wit', and on the 'Pleasures of Imagination', in which he founds art on the base of nature, and draws the principles of invention from dispositions inherent in the mind of man, with skill and elegance, such as his contemners will not easily attain"

Ha scritto di lui Samuel Johnson, Catone ed Alcibiade della letteratura inglese nel XVIII secolo, nel suo libro di ricostruzione biografica che porta il categorico titolo di Lives of the Poets del 1781.
Art on the base of nature è frase illuminante per comprendere il compito che Addison si prefisse sotto il profilo estetico; un tema che aveva ereditato dagli stilemi classici seicenteschi, ma che porterà al calor bianco sottoponendolo allo scrutinio dell'esperienza e della ricostruzione diretta dei processi di costruzione e di individuazione del rationale inerente ed esistente nella nozione di Bello.
Come Addison stesso scrive enunciando il suo programma di ricerca nel II foglio del testo dei Piaceri dell'immaginazione (che, va ricordato, escono sulla rivista The Spectator nei numeri che vanno dal 411 al 421 e che temporalmente sono scaglionati tra il 21 giugno 1712 e il 3 luglio dello stesso anno, in successione rapidissima cioè e come scritti ­ come accadde quasi sicuramente ­ di getto):

"Considererò in primo luogo quei piaceri dell'immaginazione che sorgono dalla visione e dall'esame di oggetti esterni: e questi, credo, provengono tutti dalla vista di ciò che è grande, non comune o bello. Vi può essere, è vero, qualcosa di così terribile o ripugnante che l'orrore o la schifezza dell'oggetto superi il piacere che deriva dalla sua grandezza o novità o bellezza; ma allo stesso disgusto che ci dà, sarà sempre mescolata una certa dose di piacere, quando sia più cospicua e prevalente una qualunque di quelle tre qualità"
(Joseph Addison, "I piaceri dell'immaginazione" in L'estetica dell'empirismo inglese, trad. it. e cura di Mario Manlio Rossi, Firenze, Sansoni,1944, t.I, p.260 ­ la trad. it. utilizzata, sebbene impraticabile non solo a causa dei frequenti refusi ma soprattutto del pregiudizio largamente e diffusamente crociano che la attraversa e che impedisce al suo autore l'ampiezza di veduta storica e critica insieme necessarie all'analisi dei testi, è l'unica (e benemerita) attualmente vigente, in attesa di una mia edizione ancora a venire).

Tra capacità conoscitiva acquisita mediante il gusto ed avvertimento della potenza della forma del Sublime si delinea così l'itinerario estetico del pensiero di Addison. Esso definisce la propria evoluzione e la propria potenza estetica a partire dal "piacevole stupore" che coglie la soggettività 'educata' che guarda e analizza sulla base della nozione di "grandezza":

"Per "grandezza", non intendo soltanto la massa d'un qualunque oggetto singolo ma l'ampiezza d'una veduta completa, considerata come visione unitaria. Tali sono i panorami della campagna aperta, un vasto deserto selvaggio di enormi ammassi di montagne, di rocce eccelse e di precipizi, ovvero una grande distesa di acque, nei quali non ci colpisce la bellezza o la novità della veduta, ma quella rozza magnificenza che si rivela in molte di quelle stupende opere della natura. Alla nostra immaginazione piace venir riempita da un oggetto, tentar di afferrare cose troppo grandi per la sua capacità. Veniamo gettati in un piacevole stupore da visioni così illimitate e quando le percepiamo, sentiamo nell'anima una deliziosa calma attonita. Alla mente umana, per natura sua, dispiace tutto ciò che sembra costringerla e le pare di essere in una prigione quando la vista è rinserrata in brevi confini e limitata da ogni parte dalla vicinanza di muri o di montagne. Un orizzonte spazioso è invece immagine di libertà "
(Op. cit. , pp. 260-261)

In questo sembrerebbe consistere il paradosso addisoniano del piacevole ­ in un'illimitatezza o in un'infinità che pur tuttavia viene percepita da sensi che hanno natura e capacità finite (e non è fuori luogo, a mio avviso, evocare qui altri segnali dell'Infinito e cioè quelli attribuibili alla poetica del Sublime di Giacomo Leopardi). Ma il punto più interessante della ricostruzione degli elementi che costituiscono la natura del piacere legato all'esercizio dinamico dell'immaginazione è legato, tuttavia, alla condivisione che di esso si raggiunge. Come rileva correttamente Bozal, l'immaginazione e i suoi parametri di valutazione della funzione della bellezza sono tali solo in rapporto alla possibilità che essi hanno di essere valutati sulla base di standard attribuibili a cerchie o sfere più ampie di comunità sociali e non a soggetti singoli, a individualità precise, allo sguardo neutro o oggettivato dello spettatore come entità non definita e non collocata nella stratigrafia sociale del consenso di gusto:

"Tuttavia, il soggetto non s'identifica con un singolo individuo, il soggetto dei giudizi di gusto ha, per così dire, un carattere plurale e include tanto le idee e le valutazioni nuove quanto i nuovi procedimenti di diffusione e critica delle opere d'arte[...].
L'esperienza del sublime e del pittoresco non è un'esperienza individuale, per quanto si eserciti individualmente. Solo quando i sistemi di valutazione estetica includono la grandiosità sublime come qualcosa di più che un espediente retorico o stilistico, solo quando la diversità provoca piacere e non rifiuto, solo allora è possibile un'esperienza estetica che contempli il sublime e il pittoresco tra le proprie finalità"
(Valeriano Bozal, op. cit. , pp.40-41)

I "piaceri dell'immaginazione" descritti da Addison individuano, dunque, una soggettività definita dalla sua capacità di accettare i livelli di diversificazione presenti all'interno della sua produttività di senso. Essa, proprio per la natura della sua relazione perspicua con le articolazioni stratificate della sensibilità, esibisce una consapevolezza molto forte dell'esistenza di livelli definiti e differenziati di gusto e della possibilità esibita di una educazione ad esso presente nell'ambito della società.
È sempre Bozal a chiarire questo rapporto:

"Le immagini partecipano in modo energico al processo di formazione dell'identità della comunità, esplicitano i valori in cui essa si riconosce, consolidandoli e diffondendoli. La differenza consiste, ora, nell'assunzione di valori propriamente estetici come valori d'identità[...]. Questo è il punto di partenza del soggetto che chiamiamo moderno e questo è il tratto caratteristico della sua modernità: l'inesistenza di un fondamento dato per lo spazio dal quale rappresentare il mondo, l'ineluttabile necessità di configurarlo per essere. La situazione in cui si trova è radicale, la figura che costruisce di se stesso mentre costruisce quella del mondo non è quella di questo o quello, è la sua stessa identità in quanto soggetto. L'autonomia del gusto è tratto e manifestazione dell'autonomia di questo soggetto che costituisce la comunità di rappresentazione. La comunità non solo rappresenta il mondo come sublime, pittoresco, grottesco, ecc., ma rappresenta anche se stessa come soggetto di quel sublime, di quel pittoresco, di quel grottesco e in questo modo disegna una figura di se stessa e del mondo"
(Op. cit., p.79)

Politica ed educazione del gusto

Ciò risulta tanto più evidente quando le categorie estetiche riferite alla visione e all'ammirazione per la natura e le sue forme di manifestazione oggettive vengono utilizzate per 'analisi e la ricostruzione delle ragioni per le quali l'arte raggiunge il suo obbiettivo nei confronti della soggettività che l'osserva e la giudica. Stabilire quando, in sostanza, un'opera d'arte piaccia o meno: tale è il compito che Addison vuole assolvere.

"Sarebbe vano ricercare se la capacità di immaginare vivacemente derivi da maggior perfezione dell'anima o da tessuti più delicati nel cervello d'un uomo in confronto ad un altro. Ma è ben certo che uno scrittore elevato deve possedere di nascita questa facoltà nella sua piena forza e vigoria in modo da esser capace di ricevere idee vivaci dagli oggetti esterni, di conservarle a lungo, di combinarle insieme, quando è necessario, nelle figure e rappresentazioni più adatte a colpire la fantasia del lettore. Un poeta deve studiarsi di educare la propria immaginazione quanto un filosofo si affanna per coltivare il proprio intelletto"
(Joseph Addison, "I piaceri dell'immaginazione" in L'estetica dell'empirismo inglese" cit., p.285).

Il principio dell'educazione dell'immaginazione (e, di conseguenza, del gusto) investe sia l'autore che lo spettatore: entrambi debbono trovare nel loro rapporto intersoggettivo la prospettiva estetica che ne individui i parametri condivisi (e condivisibili) per ottenere il piacere perseguito dall'attività creativa. La verifica di questo procedimento permette di valutare la qualità dell'opera d'arte (nel caso in questione, delle modalità artistiche della scrittura):

"La grande arte dello scrittore si rivela nella scelta di allusioni piacevoli che devono di solito venir tratte da opere di natura e d'arte belle o grandiose: benché infatti cose nuove e non comuni dilettino l'immaginazione, le allusioni (che hanno per scopo principale quello di illustrare e spiegare certi passi) devono sempre venir prese da cose più note e più comuni dei passi stessi che vanno spiegati"
(Op. cit., p.303)

Di conseguenza: le allusioni troppo raffinate dei dotti risultano incomprensibili, le allusioni troppo familiari o dozzinali dei politici di professione non elevano e educano la mente e il gusto. Il criterio da adottare, allora, per adeguarsi allo standard della comunità di appartenenza e alla sua capacità di comprensione delle similitudini e delle metafore è quello di adattarne il livello di comunicazione:

"È ben vero che si possono trovare allusioni svariatissime e molto piacevoli tanto nel genere dotto che in quello triviale; ma le più piacevoli si trovano, in generale, in cose della natura che sono ovvie per gente di ogni educazione e più gradite di quelle che si posson trovare nelle arti e nelle scienze. È questa capacità di colpire l'immaginazione che abbellisce il buon senso e rende gli scritti di uno più piacevoli di quelli d'un altro"
(Op. cit., pp.304-305)

È nella trasformazione della dimensione artificiale dell'arte in natura comune agli uomini che consiste la funzione dell'educazione del gusto. Ed essa consiste e trova il proprio inveramento nel dare la possibilità alle facoltà latenti nella natura umana di venire alla luce. Come aveva scritto in un saggio del 6 novembre 1711 dedicato all'educazione dei sentimenti:

"Considero un'anima umana senza educazione come il marmo nella cava, che non mostra nessuna delle bellezze che gli sono proprie finché l'abilità di chi lo pulisce fa apparire i colori, fa brillare la superficie e scopre ogni venatura, ogni macchia e ogni striatura ornamentale che corre per il suo corpo. Nello stesso modo l'educazione, quando opera su una mente nobile, mette in evidenza ogni virtù e ogni perfezione nascosta, che senza tale aiuto non possono mai fare la loro comparsa".
(Joseph Addison Dallo "Spettatore", trad. it. e note di C. Revelli, Torino UTET, 1957, p.209)

La capacità del gusto a produrre una piattaforma condivisa di educazione della soggettività e a costituirne i parametri relativi e in grado di realizzarla è legata alla sua capacità di costruzione di un livello articolato del discorso e del sentire comuni. Nello specificarne i caratteri e le passioni individuali alla luce del loro funzionamento generalizzato consiste, invece, la sua funzione politica conclamata e la sua diffusa condizione di categoria unificatrice della ragione e dei sentimenti, delle passioni e degli interessi della società delle individualità che esprime.
La funzione della politica diventa, allora, quella di far emergere i fantasmi della soggettività storica e unificarla in un progetto di lettura e di descrizione delle sue prospettive. Unificare i soggetti sulla base del loro apprezzamento della bellezza producendo un'opera di stratificazione della capacità immaginativa ad essi inerente è, invece, il compito dell'estetica e della sua soluzione sulla base del principio di valore del gusto. Legare politica ed estetica attraverso il primato del giudizio di gusto è stato il grande merito storico di Joseph Addison. Il fantasma della soggettività da lui evocata e legata a questa alleanza sociale tra politica ed educazione estetica è qualcosa che continua ad abitare ancora le stanze semivuote del castello della Modernità al suo tramonto.