fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
[ Testo:  precedente  successivo  ]  [ fascicolo ]  [ autore
Romolo Runcini
 
NOTERELLA
sulla mentalità del fascismo e dei suoi attuali esegeti
 
Presso Stampa Alternativa, nella simpatica collana "Piccola Biblioteca Millelire" è uscito recentemente (ma con data Maggio 1996) un pacchetto di libri a cura di Carlo Galeotti, dal titolo Credere. Obbedire. Combattere. I catechismi del fascismo che assieme al testo di pugno del Galeotti, Il Duce Dio tuo, riporta quattro volumetti fondamentali dell'ideologia del regime: Il primo libro del fascista (1937), Il secondo libro del fascista (1940), La dottrina fascista (1929) di Augusto Turati e La dottrina del fascismo (1940) di Benito Mussolini.
L'edizione tascabile è certamente gradevole e questi volumetti si lasciano leggere anche da coloro che temono d'impegnarsi in letture troppo ponderose. Trovo, dunque, lodevole l'iniziativa di diffondere quei testi per una diretta riflessione sulle idee che partoriscono gli esaltanti miti nostrani della romanità e dello spirito guerresco.
Osservando questi volumetti più da vicino, notiamo però alcune sviste: Il primo libro del fascista (d'ora in avanti Primo libro), benché ripreso qui alla edizione quarta del 1939, non contiene affatto il paragrafo "Autarchia", che venne aggiunto nel volume unico Il primo e il secondo libro del fascista dell'anno XIX, ossia 1941. Il paragrafo "La difesa della razza" non rientra nel Primo libro in nessuna edizione, appartenendo di fatto a Il secondo libro del fascista (d'ora in avanti Secondo libro), cioè a una lettura per scuole medie e superiori. Invece tale paragrafo, assunto impropriamente dal Galeotti nel Primo libro, corrisponde in parte, ma con varianti assai diverse, al paragrafo "Che cosa devo sapere sulla razza" che figura nell'edizione 1941 del Secondo libro. A questo pasticcio di struttura e di date dei due libri fascisti va aggiunto che il curatore, riferendosi alle edizioni autentiche dei medesimi, cita Verona 1939, omettendo il dato editoriale, Mondadori, un dato che invece figura debitamente per tutti gli editori dei libri consultati dall'autore di Il Duce Dio tuo, come si può notare nella succinta e inessenziale bibliografia di quel testo. Sarà un caso, o magari c'è un motivo opportuno per omettere qui il nome di Mondadori?
Inoltre, in calce rispettivamente al Primo libro (p.5) e al Secondo libro (p.4) l'autore di questa impresa editoriale, citando quale fonte ufficiale l'edizione veronese 1939 (senza l'editore), proclama subito dopo la sua ristampa (si fa per dire) Prima edizione maggio 1996 e Nuova edizione 1996. Galeotti è senza dubbio affetto da miopia precoce, visto che vent'anni fa, nel 1977, era uscito presso l'editore Savelli di Roma un volume a cura di Domenico De Masi e Romolo Runcini, intitolato P.N.F. Manuale di educazione fascista, con "introduzione" di De Masi e "Commento ai testi" di Runcini. Questo libro, da tempo esaurito, ha avuto un certo riscontro di pubblico e soprattutto è circolato nelle scuole di molte città italiane; il suo merito derivava soprattutto dall'essere nel formato e nel testo una copia anastatica del Primo e secondo libro, senza infingimenti si sorta. Una "Appendice" al Primo libro, a cura di De Masi, documentava gli sviluppi ideologici del testo nelle edizioni successive al 1937.
Ora, se prendiamo in considerazione il testo di Galeotti Il Duce Dio tuo, ci rendiamo subito conto di altre sviste, che non aumentano certo la credibilità di questo compilatore d'assalto. Nell' "Introduzione" al suo testo l'autore snocciola un lungo elenco di parole-chiave dal timbro fascista: "martire, credente, sacrificio … mistica fascista, comandamenti, catechismi" (p.6). Tutte queste parole effettivamente rientrano nel gergo del regime, salvo l'ultima "catechismi". Il giovinotto è troppo lontano da quel clima per capire che il termine "catechismo", tipicamente ecclesiastico, non poteva mai figurare in alcun testo di quegli anni, dal momento che apparteneva di fato a un linguaggio altro, quello della Chiesa e dei suoi proseliti (parrocchie, circoli dell'Azione cattolica, scout, ecc.) e i due regimi - il fascista e il cattolico - non erano certo in sintonia neppure dopo la stipulazione dei Patti lateranensi (1929), visto che nel 1931 il Papa in carica emana l'enciclica "Non abbiamo bisogno" contro le turbolenze fasciste ai danni di scuole e circoli cattolici, turbolenze continuate peraltro fino al 1938. Figurarsi se i decreti e dispacci di Achille Starace, segretario del P.N.F. - antiborghesi e anticlericali - potevano chiamarsi "catechismi"! Che poi i Cappellani militari e la Curia vescovile benedicessero i gagliardetti delle truppe fasciste (la M.V.S.N.) mandate in Abissinia e in Albania, questa faccenda rientrava negli accordi da rispettare, oltre che nello spirito delle guerre sante.
Non potendo, dunque, trovare la parola "catechismo" in alcun testo fascista - neppure nel libro di G. S. Spinetti, Mistica fascista, Hoepli, Milano, 1936, dedicato ad Arnaldo Mussolini - né nei testi di autori citati nella sua impresa editoriale, il Galeotti l'ha scoperto nel mio vecchio "Commento ai testi" nel libro della Savelli sopra ricordato; un'interpretazione, la mia, che riscosse un vivo apprezzamento per l'originalità della prospettiva critica (siamo nel 1977) da parte di Mario Isnenghi in un articolo su "il manifesto" uscito qualche mese dopo la pubblicazione del libro. Di fatto quel termine ecclesiastico lo avevo proposto nel saggio di commento al Primo e Secondo libro, mettendo a confronto il testo cattolico ufficiale con i due libri fascisti. Nella pur breve prospettiva economico-politica del fascismo come movimento e come regime, impiegavo quel termine in ordine a una lettura critica e motivazionale che - dall'interno di una metodologia marxista - tentava un approccio allo studio della mentalità e della ritualizzazione gerarchica di un regime totalitario di massa che cercava il consenso generale del Paese. Ora il Galeotti, appropriatosi del termine in questione (senza citarne la fonte, com'è suo vezzo) e invaghitosi della potenzialità ideologica in esso racchiusa, ne ha fatto subito un passe-partout universale per comprendere la cosiddetta "religiosità" del Fascismo. Ma in realtà questa parola "catechismo" (come qualunque parola), appiccicata dall'esterno, come un francobollo, a un testo estraneo alle sue vere funzioni ideative e comportamentali, sottratta alla dialettica di un corso storico, calata dal cielo delle idee crociane, finisce per non avere alcun valore ermeneutico nell'esame di un evento o di una situazione, diventando così un'immagine astratta e inverosimile, ossia fuori di sé. Galeotti è forse un poeta? E allora faccia il poeta, non lo storico.
Tornando al testo Il Duce Dio tuo, in una nota a p.21, l'autore elogia Emilio Gentile come primo interprete dell'istanza religiosa (Il culto del Littorio, Laterza, Bari, 1993)nel crogiuolo dell'ideologia fascista. Il compilatore dimentica però, assieme al suo maestro E. Gentile. Che gli studi svolti da Georges Bataille al College de Sociologie di Parigi, con A. Breton, R. Caillois, M. Leiris - i quali negli Anni Trenta indagavano, da sinistra, sui meccanismi del consenso di massa nei regimi nazi-fascisti - avevano condotto alla scoperta dell'uso opportunistico, del sacro nelle cerimonie di partito e nelle parate militari quale fattore stimolante e aggregante dello spirito nazionale di quei popoli obbedienti e ordinati. Esistono sul caso, oltre ai testi importanti di quegli studioso parigini, due lettere di Bataille - tradotte e commentate da Marina Galletti e apparse sul n.4 di "Alternative", marzo-aprile 1996, pp.111-120 - il quale aveva visitato nel 1934 la "Mostra della Rivoluzione fascista" a Roma e avvertito subito i motivi sotterranei di una sacralità inventata a puri scopi politici. D'altronde, se è vero, come Emilio Gentile sostiene - nell' "Introduzione alla nuova edizione di Le origini dell'ideologia fascista. 1918-1925 (1975), Il Mulino, Bologna, 1996, p.5 - che fino agli Anni Settanta la neghittosità e "l'avversione, per lo studio degli aspetti ideologici del fascismo era tale che scarsa eco ebbero allora, nella storiografia italiana, gli studi di Ernst Nolte, Eugen Weber, George L. Mosse, James A.Gregor …" è anche vero che altri studiosi della sinistra (non sempre bene accetti dal P.C.I.) da T.W.Adorno a W.Benjamin, da M.Horkheimer a Gunther Anders, e, da noi, da A. Asor Rosa a G. Marramao, da M. De Michelis a C. Bordoni, da G. Manacorda a G. Patronio hanno certamente portato contributi importanti nell'esame del complesso fenomeno dell'ideologia fascista.
Giunti alla fine del volumetto Il Duce Dio tuo - dove il tormentone del "catechismo" attraversa la religione e la mistica fascista, il culto della morte fascista, la "macchina del consenso", il razzismo, lo stato - accogliamo senza sorpresa il tono apocalittico di Galeotti nei confronti della civiltà delle macchine, una reazione allo sviluppo dei linguaggi multimediali attardata sugli Anni tra le due guerre, quando i "cavalieri della paura" lanciavano fuoco e fiamme sulla società di massa e sui nuovi strumenti di comunicazione tecnologici che li spodestavano dai loro saggi di legislatori del mondo. Nel paragrafo conclusivo "Il fascismo prossimo venturo", sulla scia della semplicistica e obsoleta teoria popperiana di "Cattiva maestra televisione", si celebrano i nefasti della minaccia del Grande Fratello di orwelliana memoria, dimenticando la pervasività individualistica del personal computer, l'enciclopedismo di Internet, l'accumulazione libera di idee e di immagini. Una vecchia solfa del tradizionalismo intellettuale e non: è il fatalismo della destra.