fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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Severo Lutrario
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EMERALD - 2
Parte Seconda
 
Il parcheggio degli aeromobili si trovava appena oltre il limite dello spazioporto, dietro il pub, circoscritto da una semplice recinzione metallica.
Arthur seguiva Ingrid, che se ne andava spedita con la sacca appesa per la corda alla sua spalla destra, tra quell'incredibile campionario di improbabili veicoli.
- Sant'iddio! - esclamò - ma voi usate questi cosi?
Allineati in file ordinate si susseguivano i più antiquati ed eterogenei mezzi di trasporto che Arthur avesse mai visto. Qualcuno di essi, sui pianeti centrali, era in disuso da almeno cento anni e quelli che riusciva a riconoscere erano modificati senza un apparente obiettivo o regola comune tanto da apparire singoli, improbabili e fantasiosi prototipi.
- Ehi, reinbowed - si volse posando al suolo la sacca, Ingrid - Sai quanto costa far arrivare a Emerald un aviomobile? Con la liquidazione da miners possiamo permetterci d'acquistare solo i ferri vecchi che la compagnia dismette. Ma non ti preoccupare, ogni indipendente conosce la sua carretta e, giuraci, la sa cavalcare.
- Ma sono tutti mezzi urbani o poco più!
- E cosa ti aspettavi, un traghetto suborbitale? Quelli la Compagnia se li tiene ben stretti e continuerà a farlo per almeno vent'anni.
Senza dargli modo di replicare, la ragazza riprese il cammino per andarsi a fermare davanti ad un aeronave su cui spiccava la scritta fosforescente Green Queen.
- Ecco la mia bella regina: quattro posti, autosufficiente, dieci metri quadri di stiva e in più - disse battendo sulle protuberanze cilindriche visibili sui lati posteriori del veicolo - per culo, due propulsori Hidening aggiunti che ho ricavato da un cassonetto della miniera A12.
- Ma ... - Arthur in bilico tra la protesta e il timore di urtare la suscettibilità della ragazza - Non è un mezzo urbano?
- Lo era. L'ho modificato con quattro cuccette ad aria, il cubicolo servizi, la cambusa e la stiva è separata da una porta.
- Ma la propulsione...
Ingrid lo guardò di traverso, come dubitasse delle sue capacità mentali:
- Hai idea della potenza che ci vuole per spingere da 0 a 200 chilometri all'ora in tre secondi un vagonetto carico di cento metri cubi di Mendelevio? E da una profondità di quattromila metri? Coi miei Hidening ti porto dove vuoi, puoi giurarci.

Mentre il faro dell'aviomobile fendeva la nebbia penicillina della notte emeraldiana, Arthur tentò di rilassarsi sprofondando nel sedile ad aria posto di fianco a quello di Ingrid in quello sferoide trasparente che costituiva la parte anteriore della Green Queen e lasciava al viaggiatore la sensazione di galleggiare nel vuoto.
- Un caffè?- Propose Ingrid
- Perché no?
- Qui dietro - disse la ragazza accennando con il capo - sulla destra, di fronte alle cuccette.
Arthur si alzò e raggiunse la parte centrale dell'aeronave.
- Come mai su Emerald? - chiese mentre armeggiava al distributore
- Ci sono venuta coi miei vecchi, avevo cinque anni. A sedici ho stipulato il contratto con la Compagnia e mi son fatta i miei cinque anni da miner, ma a ventuno ho detto no e con la liquidazione mi sono comprata la regina. Ora sono quattro anni che lavoro da indipendente.
- E va bene? - porgendole la tazza calda.
- Non mi lamento. Oddio, il colpaccio non l'ho fatto, solo piccoli giacimenti, un po' di reinbowed portati a spasso, ma almeno sono libera, non come i miei vecchi, miners ...
Erano ormai in viaggio da un paio d'ore e l'orizzonte di fronte a loro cominciava a inverdire. Arthur tentò di decifrare il paesaggio che scorreva sotto di loro.
- È il Pool - riferì Ingrid interpretando i suoi pensieri.
- Ho letto - annuì Arthur - Un piano praticamente ricoperto di un'unica foresta di Khiblei, una pianta simile alle nostre querce. Certo, è strano come l'ecosistema di questo pianeta non abbia previsto specie animali.
- È vero - confermò Ingrid - c'è una ricchissima varietà di vegetali e non un solo animale. Per fortuna buona parte delle piante di Emerald sono commestibili sia per l'uomo che per gli animali terrestri importati.
- Ma da quanto ho letto mi sembra che i tentativi di liberare gli animali siano falliti.
- Anche questo è vero, sembra che gli animali sopravvivano solo se allevati in fattorie.
- Ce ne sono molte?
- Qui nel pool si. È un posto tranquillo: vicino allo spazioporto, alla maggior parte degli insediamenti della compagnia e senza grossi problemi di trasporto.
L'orizzonte s'era tinto d'un verde smeraldo che faceva onore al nome del pianeta e la luce ora mostrava il mare delle fronde verdi lievemente ondeggianti alle sollecitazioni del vento.
Volarono per altre due ore su quel piano piatto e uniforme rotto solo di tanto in tanto dalle chiazze di vuoto che erano le fattorie che via via si andavano rimpicciolendo, a mano a mano che si allontanavano dallo spazioporto.
Con un cenno del capo Ingrid l'invitò a guardare l'orizzonte.
- Il Big Bert, il grande fiume - spiegò.
L'orizzonte mostrava un verde più chiaro e a tratti più luminoso, che ben presto si rivelò costituito dall'acqua che pigramente scorreva verso sinistra.
- Ma quanto è largo?
- In questo punto una decina di chilometri. Ma all'oceano, tra mille chilometri, arriva a tredici.
- Caspita!
- È lungo oltre seimila chilometri e nasce direttamente dalla grande dorsale.
Mentre guardava affascinato quell'immensa massa d'acqua che procedeva maestosa lambendo nel suo cammino delle piccole isole, notò sulla superficie un qualcosa che presto riconobbe per una rudimentale imbarcazione a vela.
- Ma, quella cos'è?
- Greenfree.
- Cosa?
- Spostati. Ce ne sono di tanto in tanto che decidono alla scadenza del contratto di rimanere su Emerald e se ne vanno in cerca di un posto lontano dalle miniere dove vivere con un po' di semi terrestri, qualche animale...
Arthur seguì affascinato quella barca alla cui poppa spiccava la figura d'un uomo dal capelli lunghi sollevati dal vento, che non aveva mostrato alcun segno d'essersi avveduto della loro presenza sulla sua testa.
- Ma dove sta andando?
- E chi lo sa? Probabilmente nella regione di Lao Tze. Ci sono degli ottimi alberi da frutta da quelle parti.
La linea più scura all'orizzonte si rivelò ben presto per una scogliera alta fino a duecento metri che immetteva, appunto, come Ingrid aveva detto, nella regione di Lao Tze, una regione montagnosa, piena di ripide gole a massicci graniti scolpiti dall'incessante vento del nord-ovest, dove le piccole radure riparate erano piene di alberi da frutta e limpidi laghetti.
Parlarono poco durante quel tratto di viaggio, con Arthur affascinato dallo spettacolo ed Ingrid telegrafica nelle informazioni.
Dopo alcune ore di viaggio verso sud-est, lentamente, il Lao Tze degradava verso il piano fino al Walker, il deserto di sabbia finissima dalle dune incessantemente in movimento.
Arthur calcolò che erano in viaggio da circa otto ore e dell'uomo e della sua potenza le tracce erano andate inesorabilmente scomparendo. Ora, di fronte a quell'immensità ostile, come avvertiva essere quel deserto, sentiva di dover riconsiderare l'idea che si era fatta di quegli uomini nel pub.
- Se il Green Queen avesse ora un'avaria, che succederebbe?
Ingrid sorrise:
- Bhè, la compagnia invierebbe un mezzo di soccorso e, se riuscissimo a non farci sommergere da una duna, se non finissimo in un succhione, se il sistema climatico continuasse a funzionare - qui arriviamo a 320 - 330 gradi Kelvin - avremmo qualche speranza di cavarcela.
- Consolante
- Aspetta d'essere nella cruna, prima di spaventarti, reinbowed - lo schernì la ragazza.
- La cruna?
La ragazza assentì con un sorriso sarcastico e non aggiunse altro.
Il viaggio continuò per ore, finché alle dune si sostituirono scure lastre di basalto, che lentamente s'innalzavano verso le catene montuose che incominciavano ad intravvedersi all'orizzonte. Il deserto cedette il posto prima ad una savana dalle rade piante basse e cespugliose e quindi ad una prateria via via sempre più ricca di boschetti, corsi d'acqua e grandi laghi. In questo tratto avvistarono un altro piccolo gruppo di Greenfree con un gregge di ovini al pascolo. Raggiunsero finalmente la zona montuosa e valicarono diverse catene di montagne totalmente ricoperte di alti alberi dalle foglie di un verde cupo simili a conifere, fino a giungere sulle pendici della grande dorsale ove, presero a salire oltre il limite delle alberature, oltre il limite delle erbe, oltre i muschi ed i licheni, fino alle nevi perenni d'un verde accecante.
Nella cabina pressurizzata Arthur sentiva che i campi magnetici antigravitazionali, che tenevano sollevato ed orientavano il mezzo, stavano combattendo una lotta impari per avere ragione delle crescenti turbolenze atmosferiche.
- Ma dove passeremo?
- Oh, le vette qui sono sui tredicimila metri e non possiamo salirci con la regina - rispose lei, sorridendo a denti stretti - Passeremo ai novemila, per la cruna.
Arthur ingoiò la saliva e la guardò esterrefatto.
- Iuhuuu! - gridò la ragazza e sembrò tenere i comandi come le redini d'un cavallo terrestre mentre li spingeva con decisione in avanti.
Arthur si volse a guardare all'esterno e restò paralizzato dalla paura: la ragazza aveva spinto in avanti alla massima potenza la Green Queen in quella che pareva intravvedersi come una gola non più larga di un chilometro e in cui impazzava una tempesta di neve che rendeva quasi nulla la visibilità.
L'aeromobile era sballottato da ogni parte e pareva sul punto di schiantarsi ad ogni istante. Mentre il terribile vento che soffiava in direzione contraria sembrava dover avere la meglio sulla decantata potenza dei propulsori Hidening.
D'improvviso fu come se una folata maligna avesse sorpreso il computer che gestiva l'assetto dell'aeronave e, prima che i campi magnetici riassestassero i reciproci equilibri, la Green Queen si rovesciò repentinamente sul fianco. Arthur ruzzolò senza controllo dal suo sedile ad aria, rovinando su Ingrid, facendole perdere il controllo dei comandi e scaraventandola pesantemente contro la fiancata.
L'aeronave impazzita, con i propulsori Hidening urlanti alla massima potenza, urtò pesantemente il suolo per un paio di volte in un grande frastuono e mentre Ingrid, dolorante al braccio sinistro e con il volto rigato da un rivolo di sangue, tentava d'aggrapparsi alla consolle per raggiungere i comandi, rimbalzò con un clangore sinistro contro la parete sinistra della gola.
Il contraccolpo fu terribile. Arthur intravvide Ingrid quasi perdere la presa, mentre disperata tentava di reggersi con la mano destra alla consolle. Poi, la ragazza riuscì a disinserire la propulsione Hidening.
Dopo una serie di sobbalzi che sembravano doverla frantumare da un momento all'altro, l'astronave si fermò, fortunatamente, quasi in assetto. Solo allora Ingrid si lasciò scivolare sulla schiena, ponendosi a sedere con una smorfia di dolore.
- Mi dispiace ... - Arthur fu interrotto dal cenno che col capo Ingrid gli rivolgeva indicando un qualcosa in alto.
Ancora intontito, in un primo momento non comprese, poi guardando in alto, sopra la testa di Ingrid, vide sul soffitto sferico la trasparenza segnarsi di merletti di traslucide fluorescenze che si andavano lentamente ramificando e quindi udì, frammisto al mutevole grido del vento, il sommesso ma tagliente suono di un sibilo.
- Il gel ... - mormorò in un filo di voce Ingrid - Là ... nella cambusa ... presto - e la frase le si spense in un violento colpo di tosse.
Finalmente comprese. La cosa più faticosa fu scrollarsi di dosso il ghiaccio della paura, poi tirò, quasi forzò lo scomparto della cambusa e affannosamente individuò la bomboletta. Si tirò in piedi e traballando raggiunse Ingrid e spruzzò, spruzzò e spruzzò ancora.
- È fatta - la voce di Ingrid, ridotta ad un sottile sussurro, finalmente penetrò la sua frenesia.
Rimase per un attimo imbambolato, lasciando che il senso di quelle parole lo raggiungesse. Si lasciò cadere allora ansimante accanto a Ingrid.
- Devi portarci fuori - sussurrò Ingrid
- Io?! - protestò Arthur
- Non posso farcela - replicò Ingrid - Devo avere il braccio e un paio di costole spezzate. Se non ci tiri fuori siamo spacciati.
Arthur chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.
- Che devo fare? - Si rialzò sorreggendosi alla consolle
- Aziona il quadro in alto sulla sinistra
- Fatto
Una serie di segmenti radiali comparvero in una piccola spia olografica.
- Bene, almeno i campi funzionano ancora - sospirò Ingrid e dopo aggiunse - il computer di volo è andato, dovrai navigare manualmente e a vista. Afferra la barra e tienila ferma qualunque cosa succeda. Se siamo fortunati schizzeremo fuori da questo inferno.
Arthur si sedette e afferrò la barra con entrambe la mani.
Con uno sforzo che le procurò un grande dolore Ingrid si torse fino a raggiungere con la mano destra la leva dei propulsori Hidening e con un:
- Ci vediamo all'inferno, reinbowed - l'abbassò.
La Green Queen mandò una lamento sinistro e parve impuntarsi verso il suolo, Arthur strinse ancor più spasmodicamente le sue mani sudate sulla barra. Poi, con una lentezza quasi irreale, l'aeronave si sollevò per poi schizzare in avanti in una sorta di nulla verde.
Finalmente, dopo un tempo che ad Arthur parve infinito, la gola s'aprì, il terreno prese a scendere e furono fuori dalla cruna.
Arthur abbassò il capo, incredulo, verso Ingrid, ma la ragazza era svenuta. Doveva trovare una radura, un posto dove fermarsi, per poterle prestare soccorso.
Nevicava ed Uraneo si avviava al tramonto di là, oltre la dorsale, mentre egli teneva ancora le braccia irragionevolmente irrigidite sulla barra sorvolando gole e crepacci profondi chilometri. Si fermò, con una perizia che lo sorprese, in una vallata sui quattromila metri.
Cercò inutilmente il Kit medico nell'aeromobile poi, non potendo fare altro, pulì la ferita alla testa della ragazza: era pallida e aveva la febbre. Tento di azionare il comunicatore con lo spazioporto ma inutilmente: evidentemente era rimasto danneggiato. L'unica soluzione sarebbe stata quella di riportare la ragazza indietro, ma anche se avesse saputo ritrovare la rotta per la Cruna, non era in grado di affrontare quell'attraversamento da solo e con il mezzo danneggiato.
Provò una grande tenerezza mentre tamponava la fronte di Ingrid con un panno inumidito. Ora la comprendeva, ora si. Ora poteva pensare, con un misto di sgomento e ammirazione, ai Greenfree e alla loro follia. Nulla, neanche l'immensità degli spazi siderali svelati dall'oblò di una nave spaziale erano paragonabili a Emerald nella sua memoria. Probabilmente era stata quella precarietà, quell'assenza di filtri tecnologici, quello scoprirsi fragile, indifeso, al di fuori della tutela della società umana; e, certo, era stata sicuramente quell'ultima avventura a far sì che il viaggio si fosse trasformato in un'intima esperienza di vita.
La Compagnia prima o poi avrebbe inviato un traghetto suborbitale, affidando la ricerca al flebile segnale di quel seme metallico che gli era stato inserito sotto l'ascella destra, forse un giorno li avrebbero scovati, forse, ma avvertì chiaro che, eccettuata la preoccupazione per le condizioni della ragazza, questa eventualità non rivestiva per lui, ora, l'importanza che fino a poco prima avrebbe avuto: era dall'altra parte, oltre la cruna, oltre una soglia da cui il tornare al prima non era dato.
Un lamento l'avvertì che Ingrid aveva ripreso conoscenza.
- Tranquilla, siamo fuori - l'aiutò a bere - Non so come ho fatto, ma siamo fuori ... È colpa mia, lo so e ...
- No - rispose lei - Ero io che avrei dovuto avvertirti di usare le cinture.
- Se mi indichi dove possiamo trovare un insediamento, un campo di Greenfree, vedo di portartici: hai bisogno di cure.
- No - Ingrid socchiuse gli occhi scotendo la testa - Andiamo avanti.
- Ma che dici?! - protestò Arthur
- Andiamo avanti - ripeté Ingrid, lo sguardo puntato oltre le pareti della Green Queen - Non senti?
Come suggestionato, d'improvviso avvertì un qualcosa, forse la profonda frequenza d'una vibrazione o il fantasma d'una eco.
- Cos'è?
- Ci chiama.
Si volse a guardare fuori dell'aeronave, la notte aveva ovattato di nebbia la vallata.

Erano ripartiti alle prime luci dell'alba, puntando verso oriente. Ingrid abbandonata sul sedile di destra ed Arthur alla guida dell'aeronave. La parte montana cedette il passo ad una lussureggiante foresta pluviale ricca di fiumi, grandi laghi ed altipiani e poi, quando il vento da est divenne costante e ricco di salsedine, apparve una zona acquitrinosa: la terra di Aither.
Non parlarono, Ingrid manteneva lo sguardo fisso in un punto, là, oltre la curva dell'orizzonte, mentre Arthur rimestava il coacervo delle domande senza riuscire a ricondurle sul piano della consapevolezza: Uranès, Geo, Aither e Phanes, il Brillante, lo sposo di Nyx, l'oscura. Corpo e coscienza, ancora e di nuovo l'angoscia dell'insopportabile durata, della caducità, della titanica miseria e l'orgoglio e la stupidità ... la sete, quella sete d'oblio, lì oltre il cipresso, bagnarsi nel lago di Mnemosine: la fonte, bere e dimenticare, bere ed uscire dal quadro, dalla storia, dalle generazioni ... ed il riposo nella promessa del tutto ... Del tutto, si.
- Si - la voce di Ingrid era sommessa e pacata - è Emerald.
Sussultò e s'accorse di respirare profondamente mentre guardava quel profilo reso ieratico da quella strana mistura di sofferenza e determinazione. Sussultò e s'accorse di accettare quell'irragionevole affermazione appena balbettata, quasi solo accennata.
Era Emerald stesso a chiamarli, a guidarli. Era Emerald presente e remoto, maestro dei sogni e sogno ad un tempo ... Era Emerald ...
- Che vuole?
- ... Egli è - rispose Ingrid inchiodando al suo viso il suo sguardo febbricitante.
Era il sogno la misura dello spazio. Era il sogno la misura di quel tempo ... Non si sforzò più di capire, di dare misure, cedette al richiamo.
La costa era una scogliera alta fino a cinquecento metri, a picco sull'oceano, incessantemente battuta da un mare in tempesta che ne aveva eroso il profilo in profondi fiordi.
La risalirono fino ad un estremo promontorio flagellato dai marosi, dove una sorta di faraglione si protendeva come un estremo richiamo verso oriente. Lì, con le fitte fronde scarmigliate dal vento, s'ergeva ritto un unico cipresso.
Arrestò la Green Queen nei pressi e scese. Il vento gonfio di salsedine l'aggredì sferzandolo. Rimase immobile per lunghi istanti e poi s'avvicinò avvertendo come l'estremo riverbero di un canto.
-Johb! - gridò irragionevolmente
Si volse come a cercare l'amico e vide Ingrid, bocconi, carezzare quel ch'era parsa a lui una roccia ricoperta di muschio. La ragazza cantilenava una nenia.
Guardò la donna, guardò l'albero.
- Johb! - Urlò, ora, di straziante comprensione.
L'albero parve chinare a lui le fronde e il canto quasi sospendersi. Arthur posò la mano sulla corteccia.
Remoto, come una voce che s'andasse frantumando nel coro, lo percepì svanire come linfa nella terra, come vibrazione di un orgasmo infinito.
Non avrebbe ricordato in seguito come fossero risaliti sulla Green Queen e si fossero allontanati dalla costa. Avevano volato per un lungo tempo senza parlare, con lo sguardo fisso davanti a loro.
Emerald scorreva sotto la Green Queen con turbolenta indolenza.
- Tutto questo non ha senso - scosse la testa infine Arthur - La Compagnia, la Confederazione, la specie umana... niente altro che una coltura virale ... orgogliosa ed effimera ... una malattia contagiosa - Ingrid continuava a guardare fisso davanti a sé - Perché, a che scopo?
- E perché no? - Ingrid si era voltata e lo puntava ora con uno sguardo penetrante e sfrontato di sfida.
- ... Chi lo sa? - le sorrise - siamo fiammelle che bruciano il tempo d'un secondo, ma Cristo, che splendore!
Risero.
Non tornarono ad Emeral City, si fermarono oltre la grande dorsale di Pangea in una morbida vallata alpina, trovando ospitalità in un piccolo accampamento di Greenfree.
La Compagnia e la follia della Confederazione sarebbero passate come uno stato febbrile acuto. Loro ne sarebbero stati il vaccino, loro, emeraldiani, avrebbero stretto il patto col gigante sognatore.
Ed intanto, Emerald avrebbe continuato a splendere sul nero velluto del nulla.