fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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David Ballerini
 
IL GRANDE FANTASMA - 1
Parte Prima
 
Per comprendere cosa realmente ci sia alla radice del fantasmatico, potrebbe forse già bastare anche solo un qualche generico vocabolario: fantasmatico viene infatti dal francese fantasmatique, ed è definito come "Di fantasma, di spettro"; ma anche come "Derivante dalla sensazione, da un'impressione sensoriale"(1): curioso accostamento; curioso o, meglio, interessante…
Per chiarirlo, converrà ricorrere nuovamente al vocabolario: la radice è, ovviamente, la stessa di fantasma; e fantasma allora da dove viene? Fantasma, dunque, pare derivare dal latino phantasma, a sua volta rifatto su un phantásma greco, che voleva dire, sì, anche semplicemente "fantasma", ma anche, guarda caso, "immagine"; oltretutto, parola -questa greca -derivata da phantázein, che significa "mostrare", e, nella forma media, "apparire"(2).
Ciò su cui, insomma, sembra proprio cadere l'accento, è la natura di "immagine" di tutto ciò che è fantasmatico, di manifestazione proprio in quanto immagine che si mostra e che, viceversa, apparisce. Ora, dato che è cosa nota che i fantasmi non possiedono un corpo, potrebbe a prima vista parere ovvio che si insista tanto sulla loro immagine: è in fin dei conti l'unica cosa che possiedono! Eppure la questione non è così semplice. Il problema infatti è: se i fantasmi sono figure così fortemente caratterizzate - e così fortemente caratterizzate proprio perché così paurose, ovvero così fortemente "altre" - è perché rappresentano irruzioni del mondo dei morti nella nostra dimensione? O piuttosto è semplicemente proprio perché sono immagini?
La seconda ipotesi ci pare estremamente affascinante. Del resto, il considerare il fantasmatico principalmente come immagine, e quindi che esso possa mostrarsi (cioè manifestarsi) e/o, viceversa, apparire a (cioè essere percepito da qualcuno), ci rimanda con forza ai regimi dello sguardo. Da questo punto di vista, le due azioni (o condizioni) inverse e contrarie del mostrarsi e dell'apparire a possono allora dare vita, combinandosi differentemente, a tutta una casistica dello sguardo: il fantasma, infatti, potrebbe né mostrarsiapparire (cioè non essere in alcun modo presente); potrebbe mostrarsi senza però essere scorto dagli astanti (cioè senza apparire loro); potrebbe apparire a qualcuno (cioè essere da questo qualcuno in qualche modo percepito), senza però che di fatto si mostri; potrebbe, infine, mostrarsi apertamente ed essere percepito da tutti gli astanti (cioè apparire loro). E allora non è forse vero che proprio una dialettica di vedere e non vedere è ciò che caratterizza l'orrore, il pauroso? Non è forse vero che l'uomo nero nascosto sotto il letto, e il mostro nell'armadio, fanno tanta più paura finché dentro a quell'armadio e sotto il letto non si va a guardare? E questa dialettica di vedere e non vedere (per dirla in "soldoni") non potrebbe essere in fin dei conti una maniera diversa di esprimere quella stessa vicinanza/lontananza, quella stessa familiarità/estraneità del famigerato perturbante freudiano?
Allora, ci verrebbe quasi da pensare che, se al giorno d'oggi apparizioni di fantasmi nel nostro mondo avvengono con minor frequenza che in passato, ciò sia dovuto proprio al fatto che i fantasmi abbiano potuto trovare nel '900 un posto a loro assai più gradito e adatto: cioè, il cinema! Quale miglior regno per l'immagine e per lo sguardo? Potremmo allora dire, precisando meglio, che il fantasmatico possa non rappresentarsi affatto sullo schermo (cioè né mostrarsiapparire); che possa mostrarsi per lo spettatore ma non essere visto dagli altri personaggi (cioè non apparire loro); che possa apparire agli altri personaggi (che però lo vedono fuori campo) senza che con ciò si mostri allo spettatore; che possa trovarsi in campo mostrandosi tanto allo spettatore che agli altri personaggi (cioè apparendo loro). Tutto ciò, ovviamente, all'insegna della suspense… Il considerare più in concreto qualche film, forse potrebbe aiutarci a dimostrare questa tesi.
Ripartiamo dal punto a cui eravamo arrivati in un nostro precedente articolo, La natura selvaggia dello sguardo, pubblicato sul precedente numero di questa rivista: in quell'occasione si era parlato di Shining (The Shining, 1980) di Kubrick, e più specificamente, tra le altre cose, dell'idea di far impersonare alla Steadicam lo sguardo dei fantasmi dell'Overlook Hotel(3): ora, se in Kubrick i risultati di questo connubio di Steadicam e di spettri furono eccezionali, l'idea tuttavia non era nuova. Già con Halloween (idem, 1978) infatti, per la regia di John Carpenter e la fotografia di Dean Cundey, si era aperto un capitolo importante (per quanto spesso di non alta qualità) della fortuna della Steadicam: quello che la vede associata alla presenza (e, quindi, al pdv) di un maniaco (più o meno diabolico). Tuttavia, Halloween stesso, a sua volta, non faceva che variare e sviluppare in direzione di quella forma di maniaco (forse la più frequente tra le varie incarnazioni del male) quell'intuizione che, prima ancora, aveva inizialmente portato all'associazione di Steadicam e Pazuzu nell'Esorcista II (Exorcist II The Heretic, 1977) di John Boorman.
Al riguardo ebbe a dire William Fraker, il direttore della fotografia di quest'ultimo film: "[...] our demon […] is called Pazuzu and he's a demon of the air. Therefore, he moves through things and around them and so forth. John [Boorman] put the Steadicam to use to suggest all this movement"(4). E così, ad es., subito dopo la sequenza dello scampato incendio all'Istituto psichiatrico, Regan (Linda Blair) dorme e sogna, e ci ritroviamo catapultati in Africa (per la precisione in Etiopia), nelle immediate vicinanze di un villaggio: per amor di brevità, sorvoliamo sull'estrema ricchezza visiva di queste immagini, e ci concentriamo direttamente sul movimento particolarissimo della mdp. La mdp, infatti, avanza verso le capanne con un movimento molto lento e fluttuante, simile a quello di una foglia portata dal vento: cambia spesso direzione, ondeggia dolcemente, sale e scende variando la sua altezza da terra; infine, si avvicina alla finestra tonda di una capanna e vi scruta dentro, scoprendovi Max von Sydow, alias padre Merrin giovane. È più che evidente come una simile scena, un simile movimento di macchina, non possano assolutamente passare inosservati allo spettatore: la scena è cioè tanto marcata stilisticamente da chiamare immediatamente in causa la soggettività che di tale sguardo è portatrice; si tratta insomma di una soggettiva stilistica (5). Dunque, chi può mai essere il soggetto portatore di un tale sguardo e di un pdv tanto insolito e fluttuante? Deve inoltre evidentemente trattarsi di un soggetto del tutto incorporeo o quasi, dato che la mdp passa vicinissima alle persone del villaggio, ma nessuno sembra notarne la presenza... La risposta giunge presto: Max von Sydow ricambia lo sguardo del soggetto misterioso, e la mdp, eseguendo in conseguenza una netta inversione di campo, ce ne svela l'identità: una cavalletta, anzi, la cavalletta, cioè (come si potrà in seguito capire) Pazuzu in persona(6).
Discorsi del tutto analoghi potrebbero essere fatti per altre soggettive Steadicam di Pazuzu disseminate nel corso del film: come quella in cui il demone (nella visione della trance ipnotica) porta Richard Burton da Kokumo (ormai grande e capace di sconfiggere il male) in una città Africana dal forte sapore onirico e decadente, che sembra appena uscita da un racconto di certo horror metafisico. Qui la scena è assai più concitata: Pazuzu non si muove inavvertibile come una foglia al vento, bensì furioso come una raffica di vento di tempesta imbottigliata tra gli stretti vicoli e le mura di fango e pietra della città; la gente fugge dinanzi a lui terrorizzata, dando vita a una baraonda di forme e di colori: oggetti e ceste cadono, tuniche e pollame svolazzano per l'inquadratura. Infine, sospinta dalla furia del demone, tutta la gente si raccoglie nella piazzetta antistante la casa di Kokumo, che, intanto varca la soglia della sua porta e si para dinanzi al demone: la mdp continua ad avanzare fino ad inquadrare il primo piano di Kokumo. Kokumo non fugge: anzi, "sputa" un leopardo contro il demone, facendolo fuggire e interrompendo la trance ipnotica.
Eppure, una tale intuizione doveva essere in realtà già ben più vasta e profonda che non semplicemente legata alla natura di spirito dell'aria di Pazuzu, se questo connubio di male e Steadicam si è poi potuto produrre e protrarre anche in forme (come Michael, il maniaco di Halloween) che ben poco (almeno apparentemente) hanno di aeriforme... O forse più semplicemente fortunata, per il consueto intreccio di stile e tecnica che sempre si accompagna alla Steadicam, per semplici questioni economiche, dato che il cinema horror si è affermato soprattutto nell'ambito dei B-movie e delle piccole produzioni indipendenti, e, si sa, la Steadicam fa risparmiare tempo e soldi; o forse anche (e perché no?) per entrambi i motivi... Ad ogni modo, non vi può esser dubbio sul fatto che Halloween, ben più del suo predecessore, costituì di fatto un modello di successo e frequentemente imitato: l'Esorcista II, per varie ragioni, col suo spiccato misticismo, è sempre rimasto un po' un capitolo a sé; e quanto al successivo Shining, siamo a tutto un altro livello. Dunque, si generò alle spalle del film di Carpenter una sorta di rinascita del genere horror, che per lo più continuò sempre a dimostrare il suo debito verso questo film, riutilizzandone gli stilemi di rappresentazione del "mostro". Trattandosi di un film tanto noto, evitiamo di riassumerne la trama; si vorranno solo richiamare brevemente alla memoria i personaggi e gli interpreti principali, affinché poi la trattazione risulti più fluida e snella: tutta l'azione ruota attorno a Michael (prima bambino e poi uomo), figura di maniaco mascherato dai tratti decisamente demoniaci; Michael è sfuggito alla sorveglianza del suo psichiatra, interpretato da Donald Pleasence, l'unico a sapere veramente che razza di mostro sia; vittime deputate di Michael sono tre amiche, tre ragazze del paese di origine di Michael, i cui destini si incroceranno fatalmente nella notte di Halloween (che dà il titolo e l'atmosfera generale del film): di esse, solo Laurie, quella interpretata da Jamie Lee Curtis (qui al suo debutto cinematografico), riuscirà a salvarsi.
Un movimento di macchina (palesemente Steadicam) in avanti (verso una tipica casa della provincia americana), apparentemente del tutto libero ed ancora indecifrabile, apre la prima sequenza del film: ma, quando la mdp giunge ai piedi dell'edificio, il suo spiare attraverso le finestre e il suo modo di muoversi (il suo pdv, insomma) denunciano chiaramente il carattere tutto soggettivo della visione. La narrazione sta dunque iniziando con una lunga soggettiva Steadicam: ma una soggettiva di chi?
La Steadicam si ferma davanti ai gradini che conducono nella veranda e quindi all'ingresso principale: attraverso le tendine del portone a vetri, si intravedono le sagome di due persone che si stanno baciando appassionatamente; chi sono? L'attenzione dello spettatore è su di loro, e può così seguire senza alcuna difficoltà la Steadicam, che, per spiarli meglio mentre si spostano nella stanza accanto, si muove verso destra e svolta l'angolo della casa, per andare a fermarsi (celata dall'oscurità) davanti a una finestra aperta. Qui la Steadicam si ferma e li osserva e li ascolta: si tratta di una coppia di adolescenti, che approfittano dell'assenza dei genitori di lei (a cui appartiene la casa) per amoreggiare indisturbati su un divano. I genitori torneranno solo più tardi, tuttavia non sono completamente soli: da qualche parte ci deve essere Michael. Lo spettatore non sa ancora chi sia Michael, ma evidentemente la sua presenza non deve costituire un problema, visto che la coppia decide di approfittare comunque della disponibilità della camera da letto di lei e salgono di sopra; ciò che più conta però, è che l'accenno a questa terza persona presente-assente riporta l'attenzione dello spettatore sulla misteriosa soggettività di cui sta condividendo il pdv: sulla natura di soggettiva stilistic della ripresa, del resto, non vi possono esser dubbi, ed essa viene ribadita con sempre maggior insistenza. Quando infatti i due scompaiono fuori vista su per le scale, la Steadicam si guarda intorno come per decidere sul da farsi, ritorna decisamente sui suoi passi oltre l'angolo della casa e guarda in alto verso la finestra della camera: lo spegnersi della luce al suo interno (sottolineato dalla colonna sonora) sembra suonare come una conferma, per il misterioso osservatore, di ciò che sta accadendo, il quale ritorna deciso verso il retro della casa. Il quesito sull'identità dell'osservatore si fa sempre più pressante per lo spettatore: un così insistito protrarsi della soggettiva stilistica rende sempre più acuta l'esigenza di una chiarificazione dal punto di vista grammaticale, ovvero l'agognata sostituzione del pdv col personaggio (finalmente in carne ed ossa e visibile per lo spettatore) a cui tale pdv appartiene; un personaggio che diventa tanto più presente ed ingombrante quanto è più assente, e ad una cui eventuale marginalità nella storia non è ormai più possibile credere in alcun modo. Il misterioso osservatore entra in casa attraverso la porta rimasta aperta della cucina e afferra un lungo e minaccioso coltello da un cassetto: dall'inizio della narrazione non c'è ancora stato alcuno stacco di montaggio, e la ripresa continua ancora. Nell'atto di afferrare il coltello, intanto, un indizio viene fornito allo spettatore: la mano che si vede allungarsi nell'inquadratura verso il coltello, è quella esile e delicata di un bambino, o tutt'al più di una ragazza, ma la strana manica che fascia il braccio fa senza dubbio parte di una maschera, di un vestito di carnevale. Sempre in continuità di ripresa, il misterioso osservatore, attraversa altre stanze della casa, si sofferma per gettare uno sguardo al divano su cui prima osservava la coppia, e si avvia verso le scale: la presenza del coltello non lascia presagire nulla di buono, e la suspense è alle stelle; la lentezza del suo spostarsi attraverso la casa enfatizza il tutto (e anche la colonna sonora dà il suo aiuto), e ricorda l'imperturbabile freddezza con cui uno squalo si avvicina alla sua preda. L'osservatore fa appena in tempo a vedersi sfilare davanti (rimanendo lui non visto) il ragazzo che scende velocemente dalle scale: reduce da un incontro amoroso di sconcertante brevità (dovendosi di necessità supporre come coincidenti il tempo dell'azione e quello della rappresentazione), si dilegua dal portone salutando la ragazza, rimasta al piano di sopra, di cui solo si sente la voce. Ancor sempre in continuità di ripresa (quindi ancora in piena soggettiva), l'osservatore misterioso prende a salire su per le scale: il canto distratto e rilassato della ragazza che giunge dal piano superiore, lascia ormai ben pochi dubbi su chi sia la vittima predestinata di quel coltello e quale destino la attenda. Giunto al piano superiore, l'osservatore incappa in una maschera di carnevale, abbandonata in terra dai due andando verso la camera, e, con un gesto inatteso, allunga la solita mano infantile per afferrarla e la indossa(7), costringendo lo spettatore a una visione faticosa attraverso i buchi per gli occhi. La ragazza si spazzola i capelli semi nuda e continua a cantare seduta al tavolino da toilette: il letto disfatto appare al misterioso osservatore come un'ulteriore conferma. Quando finalmente si accorge della presenza sempre più vicina dell'osservatore alle sue spalle, la ragazza si volta sorpresa e spaventata, e, prima di essere barbaramente uccisa a coltellate, ha solo il tempo di guardare in macchina e riconoscere nell'osservatore misterioso quel Michael a cui prima aveva accennato. Con ciò, conferma una congettura (quella per cui, appunto, sia Michael l'osservatore) che lo spettatore ha certamente fatto, ma che in realtà conta per lui ben poco: infatti, cos'è ancora Michael, a questo punto, se non un semplice nome privo di un significato e di un'immagine? Quell'identità (e quindi quella figura) che non sono potute sfuggire alla ragazza nonostante la maschera, neppure nel breve arco di un istante, continuano a negarsi tenacemente allo spettatore: l'immagine dell'osservatore assassino si cela dietro il suo proprio sguardo assai più e meglio che dietro una maschera. Se, da un lato, il fortissimo senso di suspense che lo spettatore prova, oltre che alla lentezza dell'azione, dovrebbe essere attribuito alla condivisione del pdv di chi è il vero motore della storia, quindi di un pdv privilegiato (lo spettatore sa della terza presenza e del coltello, i due ragazzi sono ignari di tutto), dall'altro lato, lo spettatore ha la sensazione altrettanto forte (se non di più) di non riuscire a vedere proprio ciò che è fondamentale: nella durata della ripresa, l'immagine che passa per gli occhi del misterioso osservatore si trasforma da una possibilità privilegiata di vedere ad un'impossibilità, viene sentita dalla spettatore come un ostacolo che gli si para davanti, un velo che si vorrebbe strappare dallo schermo. Dunque, anche a questo può servire una soggettiva, a nascondere il soggetto stesso che sta guardando -e, per inciso, sarà anche opportuno notare come ad un simile uso della soggettiva la Steadicam dia un contributo fondamentale, permettendo di dar vita ad un pdv particolarmente credibile senza limitazioni di durata e di spazio. Lo spettatore deve dunque aspettare ancora che Michael finisca di martoriare il corpo della giovane, torni sul pianerottolo, scenda le scale ed esca dal portone, prima che due adulti (i suoi genitori) gli strappino la maschera dal volto e la mdp (con uno stacco di montaggio che segna la fine della lunga soggettiva) finalmente ne chiarisca l'identità eseguendo una netta inversione di campo: l'identità di un bambinetto di sei anni dall'aria angelica ma senza più un barlume di luce negli occhi, il fratellino della ragazza che ha appena finito di uccidere.

NOTE
1) Definizione di "Fantasmatico" da Il nuovo Zingarelli.
2) Etimologia di "Fantasma" ancora da Il nuovo Zingarelli e dal Dizionario Etimologico della Lingua Italiana Zanichelli.
3) Cfr. D. Ballerini,