fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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Ugo Fracassa
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LA LEZIONE DI ANATOMIA
un esercizio intertestuale
 
"Nous ne faisons que nous entregloser"
Michel-Eyquem de Montaigne, Essais

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Al lettore avventurato cui occorra - per un sussulto della memoria o solo a orecchio - di riconoscere in un testo l'eco del già letto, s'impone la scelta : farne bottino ad accrescere il proprio culturale bagaglio ovvero, liberalmente, come di un bene comune (l'acqua calda), erogare la scoperta? Aver rintracciato nella prosa di Arturo Loria, narratore carpigiano e solariano, quasi intatto dopo trecento anni un lacerto del corpus poetico-filosofico di Tommaso Campanella - filosofo e poeta di Stilo - ha deciso lo scrivente per la seconda. Un sottile ma tenace filo intertestuale lega - è bene anticipare l'agnizione - "La lezione di anatomia", racconto pubblicato con Il cieco e la bellona nel 1928, al madrigale nono della prima "Canzone in dispregio della morte", apparso nel 1622 tra le ottantanove poesie di Campanella stampate dal discepolo Tobia Adami. Di questa e di altre citazioni - da fonti non solo letterarie - lo studio presente, oltre a comunicare gli estremi, ambisce farsi ragione poiché - con Riffaterre - "l'intertestualità è il meccanismo proprio della lettura letteraria. Essa soltanto, in effetti, produce la significanza, mentre la lettura lineare, comune ai testi letterari e non letterari, non produce che il senso".

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Il protagonista del racconto, il "nuovo monatto" piovuto dalla campagna all'ospedale e messo a trasportare cadaveri dall'obitorio alla sala anatomica, assiste basito alla dissezione di un corpo :

"Il maestro aprì una borsa di stoffa, ne trasse dei ferri ben taglienti e cominciò a scuoiare un avambraccio partendo dal polso. Arrovesciò i due lembi di pelle. Apparvero, tra la carne, i nervi soprastesi alla giuntura"(1).

Quasi a scherno, volendo dimostrare che "l'alma non sa come s'è fabbricato il corpo", il madrigale nono attacca incalzando :

"Di' : come al buio hai tu distinto l'ossa
i nervi soprasteso alle giunture?"(2).

Come si vede, il prestito s'impone con l'evidenza e la vischiosità(3) del plagio e, tuttavia, non sembra giocare un ruolo decisivo nello svolgersi della narrazione. Esso interviene come prezioso elemento di décor descrittivo ma non muove la diegesi. Emerso come sintomo di una lettura metabolizzata, il reperto ha tutta l'aria di un tic linguistico-culturale, di una criptomnesia.

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Restando aperto il dibattito circa la caratura di Loria autore, da più parti gli si riconoscono doti di lettore inesausto, capace di trarre profitto - ai limiti del parassitismo - dall'enciclopedia posseduta. Correttamente Alessandro Bonsanti, in una nota del '61, diceva di una "cultura assimilata sino a scomparire", per la quale il reperto campanelliano assume valore esemplare; prima di lui Emilio Cecchi, con accenti di vago monito vigendo l'ipoteca crociana, notava che "un lume riflesso, un'infiltrazione libresca nella sua opera ci sono sempre", per poi concedere: "non si vuol intendere che, pur con ogni grazia, egli sia riuscito soltanto a combinare contaminazioni". Finalmente senza falsi pudori e a conforto di eventuali letture intertestuali, nella più recente introduzione a Il cieco e la bellona Luigi Baldacci afferma: "proprio in questa raccolta Loria dimostra di aver fatto suo il concetto che all'artista moderno non resta altra possibilità espressiva che quella della citazione". La citazione, pertanto, conterrebbe potenzialità non meramente decorative bensì espressive, ciò che occorre fin d'ora appurare per il caso in esame. Innanzitutto e a rigore, una simile performance - recuperare uno sperduto endecasillabo dall'opera del filosofo calabrese meglio noto per l'utopica Città del sole - risulterebbe scarsamente economica se limitata ad un gesto descrittivo. La sua pertinenza, al contrario, risulta ben significativa se, come fa, connota il tessuto linguistico del racconto in senso seicentesco, orientandone così, assieme ad altri indicatori, l'ambientazione temporale. - questa del tempo (e luogo) faccenda tipicamente loriana, dico la sua indeterminatezza e opacità. Se la nebbia delle locations care allo scrittore non impedisce di risalire, per via autobiografica, al fangoso entroterra carpigiano e, per via culturale, ad un orizzonte più latamente padano (come appare, per esempio, in Inferno XX, vv. 79-93 (4)), mancano nei racconti i nomi dei luoghi. Altrettanto vago, come si diceva, il quando, spesso inceppato in un passato recente e duraturo. "La lezione di anatomia" fa eccezione, infatti, anche grazie al plagio, è possibile datare l'azione: da subito la parola 'monatto' rimanda a un indistinto seicento manzoniano, di seguito il teatro anatomico, tempio di una scienza ancora semiclandestina, ricorda il primo costruito in Italia (nel 1591) e conservato nell'università patavina, infine il chirurgo Gregorius si dichiara allievo del Vesalio, attivo (tra l'altro proprio a Padova) tra cinque e seicento.La pluralità di stimoli e rimandi, costruita da Loria attorno al nucleo narrativo della "Lezione", ha sortito un riuso colto - il verso di Campanella - capace di risolvere uno snodo descrittivo e, insieme, di fungere da indicatore stratigrafico dell'impasto linguistico.

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Accertata la pertinenza citazionale, s'affaccia all'attenzione la sua pregnanza, ovvero l'isotopia che si instaura tra la Canzone in dispregio della morte e il racconto tratto da Il cieco e la bellona in relazione al tema dell'anatomia. - questo, in età barocca, tema cruciale tanto da configurare un genere, spia di quel sentimento metafisico che "An Anatomie of the world", componimento pubblicato da John Donne nel 1611, illustra col puntiglio del breviario(5). Il madrigale decimo di Campanella, quello che segue il più volte citato, ammonisce "l'alma" interlocutrice a non fornire spiegazioni in merito alla fabbricazione del corpo che siano tratte dalla scienza:

"Non mi risponder quel ch' impari altronde
e nell'anatomia, che non è tuo
cotal sapere, ma suo,
di chi t'avvisa (…)"

Fin da ora, perciò, la nuova scienza risulta inadeguata a rappresentare l'umano nella sua interezza. Di più, essa pare minacciarne l'integrità in stretto parallelismo con la rivoluzione scientifica che, con metodo sperimentale, va disgregando in brandelli di specialismo un'episteme riconosciuta. Dell'uomo, già al centro di un universo di cui era misura, restano, dopo la dissezione, le disjecta membra arrese all'osservazione. Resta da chiedersi quale simpatia leghi Loria a Campanella ed il primo novecento al seicento barocco. La domanda più che legittima risulta decisiva poiché non è, il nostro, autore facile a citazioni deboli e decontestualizzate, ma invece fermo ad un criterio di attualità inflessibilmente applicato al pantheon stesso della tradizione letteraria nazionale. Basti la seguente professione di "lettore odierno" tratta dal suo saggio sulla poesia di Lorenzo de' Medici, dove si dichiara "fedele dinanzi alla poesia di chiunque, ad un'intima richiesta per cose che davvero tocchino e muovano". Pur innamorato dell'umanesimo e valente studioso della letteratura italiana quattro e cinquecentesca, lo scrittore di Solaria ha iscritto la propria opera senza remore nella modernità, scontando nell'impossibilità del romanzo(6) la frammentarietà novecentesca. Nel suo mondo letterario, nato all'insegna del picaresco, la critica ha piuttosto ravvisato un' "esagerazione barocca"; egli stesso - con precoce autocoscienza - già nel '28 rivendicava quella 'maniera' che Italo Svevo gli consigliava di smettere: "Riconosco, battendomi il petto, la serietà del Suo giudizio, specie là dove mi addita la necessità di uscire dal mio 'mondo di guitti', ma sento che devo arrivarci per gradi, non correre il rischio di sostituire a un mondo un poco di maniera, uno ancora più falso". Di Campanella perciò, toccava e muoveva l'interna contraddizione tra vecchio e nuovo (rinascimento/barocco, pensiero controriformistico/istanze della Nuova Scienza), contraddizione intimamente sentita dal narratore di Carpi che, pur educato nel culto della classicità ( in un appunto del marzo '42, a proposito di ermetismo si legge: "io mi sento sempre più fuori dall'odierno mondo letterario. Sogno tragedie greche"), non esita a surrogare ispirazione con citazione.

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Scontato il veto di Croce, per il quale il barocco era nient'altro che "una varietà del brutto", l'interesse per la cultura del secolo decimosettimo si è rinnovato grazie all'apporto , tra gli altri, di studiosi quali Praz, Raimondi, Anceschi. Proprio la pratica e la teoria della citazione accomuna il seicento alla produzione artistica moderna e postmoderna, tanto che le nuove teorie dell'intertestualità trovano nel trattato di eloquenza Agudeza y arte de ingenio di Baltazar Graciàn un solido riferimento. Al capitolo "de los conceptos por acomodaciòn de verso antigo, de algùn texto o autoridad", dal letterato gesuita interamente dedicato alla casistica intertestuale, si legge: "Cuantas mas son las correlaciones del texto, acomodado con las circunstancias del sujeto, es mayor el concepto y mas fundamental"; come a dire che, nel plagio loriano, ciò che conta è che la ripresa verbale corrisponda alla coincidenza tematica(7). Da questo punto di vista, l'espediente retorico in esame riesce particolarmente 'concettoso' nella misura in cui, attraverso l'aderenza letterale all'ipotesto, rimanda al topos anatomico. In tal modo il narrato si apre su un orizzonte speculativo (sul quale torneremo in conclusione) capace di fornire un ulteriore livello di lettura ad un racconto solo apparentemente centrato sui facili effetti dell'orrido.

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Sennonché il ritrovamento di cui si è data notizia fin qui, esercitandosi a coglierne le implicazioni di lettura intertestuale, non esaurisce lo sfondo culturale sul quale appoggia la "Lezione". Nessuna sorpresa per chi concordi con Bachtin sulla natura pluridiscorsiva della lingua e sia al corrente del fatto che parole ed espressioni sono quasi sempre "di seconda (terza, quarta, ennesima) mano". Il racconto ci presenta il fantomatico Gregorius che, "sbucato improvviso da una sua stanza attigua, salì in cattedra". Non diversamente Andreas Vesal, medico e scienziato fiammingo del quale il personaggio si professa discepolo, descriveva nel 1543 la tipica lezione di anatomia : "Quest'ultimo [lo scienziato] è appollaiato su un alto pulpito come una cornacchia e, con fare molto sdegnoso, ripete fino alla monotonia notizie (…)". Pure Gregorius, sceso nel fondo del teatro, ricorre ad un formulario verosimilmente standardizzato: " 'Come vedete, signori …come vedete', e all'intercalare aggiungeva in sunto quanto aveva già esposto". Quanto si vuole affermare è che lo stesso Campanella - con ogni probabilità - giunto frammezzo a più astratte elucubrazioni alla materia anatomica, mutuasse quei "nervi soprasteso alle giunture", come le "tante varie testure / di vene", "le fibre e legature", il "bodel" che "si piega stringe e ingrossa" da un consolidato gergo specialistico. Tanto più che, come scrive M. L. Altieri Biagi: "Quando la ricerca scientifica è concepita come filo-sofia,nel senso sei-settecentesco della parola (…),anche la lingua che l'autore usa per discorrere con se stesso e per comunicare con gli altri non è strumento inerte, ma mezzo con cui la mente cerca di dare ordine a se stessa"(8).
Ma veniamo all'altra fonte - in verità meglio nota e presente alla memoria (visiva)- per la quale "La lezione di anatomia" nonché plagio vuole essere alluso omaggio. La scena: attorniato da spettatori nerovestiti, il chirurgo - per mezzo di una pinza?-"tirando i tendini mostrò come si muovevano le dita". Se Loria non fa cenno allo strumento, è Rembrandt a ritrarlo ne "La lezione di Anatomia del Dr. Tulp" (1632), secondo ipotesto e pittorico cui occorre riferirsi(9). La derivazione dal dipinto, eseguito per la gilda chirurgica di Amsterdam in luogo della commissionata e più tradizionale galleria di ritratti, è, anche stavolta, manifesta e, oltre a riproporre l'allusione al genere anatomico nella cultura del seicento, induce a interrogarci circa l'importanza della citazione nella scrittura di Loria.

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Qui bisogna tornare alla lettera del testo e citare dal finale quando, rientrato dalla sua donna, l'apprendista monatto, "con aria di uomo che ha una sua vita piena fuori di casa, si mise a raccontare com'era fatta una lezione di anatomia. Il racconto inorridiva la poveretta ma il monatto godeva che, a poco a poco, l'orrore si partiva da lui". A questo punto egli si prova a citare le formule e i termini orecchiati a lezione:

"Qui volle dimostrare che ricordava le parole del Gregorius dal momento che le aveva capite anche lui e perché ne imitava il tono credette di ripeterle. Con un sorriso vago ai suoi perduti timori disse: '…Come vedete, signori, il morto è fatto così' ".

In altre parole, per comparire sotto finale la citazione si fa argomento, tra gli altri, del racconto, aggiungendovi un'ulteriore chiave di lettura, un livello metaletterario. Da forma a contenuto, da strumento retorico a tema, l'intertestualità ha ne "La lezione di anatomia" la sua ribalta. Ma, pare dire l'autore, si da citazione e citazione e una minima fenomenologia deve saper distinguere almeno tra buona e mala. "Pietra di paragone della scrittura", la citazione permette di cavarsela, serve a sbarazzarsi del già detto; essa "ha lo statuto di un criterio di validità, di un controllo dell'enunciazione, di un dispositivo di regolazione (…) della ripetizione del già detto; se buona qualifica, se cattiva squalifica"(10). La stessa tesi espressa in teoria da Antoine Compagnon appare drammatizzata nella "Lezione". Da una parte, infatti, l'incolto monatto tenta di sbarazzarsi di nozioni subite e imparaticce sforzandosi velleitariamente di ripetere, e lo storpia, il dettato traudito del Gregorius(11); dall'altra, Loria testimonia, con la facilità/ felicità del riuso, una lezione assimilata, una cultura condivisa, metabolizzata, fatta natura e riemersa per un soprassalto di memoria. La dissezione, del resto, sopporta una lettura allegorica(12) che abbia come termine altro quello di citazione: entrambe smembrano e decontestualizzano. Se la seconda, con Benjamin, "salva e punisce la lingua", la prima paga con lo scempio dei corpi il progresso scientifico.

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Arturo Loria per lunghi anni è stato voce italiana di Bernard Berenson, traducendo costantemente quanto si andava pubblicando sul Mondo Forse compensando la propria impossibilità a fornire l'opera (il lutto mai elaborato per il romanzo perduto), il narratore fiorentino d'adozione si è infiltrato nel corpus degli scritti del critico quasi parassitandolo. Berenson era per lui l'umanista, ultimo portatore di un sapere olistico, somigliante perciò "a un maestro di fisiologia che sia conscio di come il laboratorio tenda spesso ad allontanare i ricercatori da un concetto unitario dell'uomo"(13). Davvero questa similitudine chiude il cerchio e ci conferma nell'ipotesi circa le connotazioni del tema anatomico dal seicento di Campanella al novecento di Loria.
Dalla macroscopica proliferazione di mondi e dalla parcellizzazione anatomica che segnano la crisi epistemologica del XVII secolo - il De revolutione orbium di Niccolò Copernico data 1543 come il De humani corporis fabrica di Andreas Vesal - e dalla microscopica scissione dell'atomo e della psiche - la Traumdeutung apre il novecento - sortiscono epoche affini per dubbi, eresie, relativismo. Così, non senza un brivido di contemporaneità, John Donne nella sua "Anatomia":

And freely men confess, that this world's spent,
When in the Planet, and the Firmament
They seeke so many new, they see that this
Is crumbled out againe to his Atomis.
'Tis all in pieces, all cohaerence gone;
All just supply, and all relation(14).

NOTE

1) Il corsivo è mio.
2) Idem
3) Il termine, nell'accezione inaugurata da Cesare Segre in Esperienze ariostesche (Pisa 1966), indica le coincidenze verbali di ampi segmenti discorsivi, prova inconfutabile di un rapp