fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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David Ballerini
 
IL GRANDE FANTASMA - 2
Parte Seconda
 
Chi volesse addentrarsi in un'analisi approfondita della figura di Michael (e di tanti suoi epigoni cinematografici) si accorgerebbe di che nodo inestricabile lo leghi (anche al di fuori di questa specifica soggettiva iniziale) a tale dialettica di vedere e non vedere (una dialettica tanto esasperata e contraddittoria da far sì, come si diceva, che il pdv più privilegiato sia contemporaneamente il massimo ostacolo alla vista), e quanto profondamente (tanto da potersi considerare una chiave di lettura fondamentale del film); si accorgerebbe di che rapporto particolare leghi una simile creatura all'atto del vedere e del guardare (8). Non essendo però questa la sede adatta ad un'analisi tanto lunga ed approfondita, bisognerà limitarne la trattazione all'indispensabile, a quei caratteri che risultano particolarmente evidenti di per sé senza la necessità di un rigoroso approfondimento. È, ad es., evidente come Michael sia sostanzialmente incapace di comparire nella narrazione agendo in maniera civilmente umana e socialmente equilibrata: se agisce, lo fa in maniera non umana ma selvaggia; ma se invece non sta agendo nella sua maniera selvaggia, allora sta guardando. Michael sembra non conoscere altri modi di essere che questi due, e, se vi si pone attenzione, ci si accorgerà che, contro ogni apparenza, il suo modo prioritario di esistere non è quello di assassino demoniaco (pure a prima vista ovviamente più caratterizzante), bensì l'altro, di osservatore demoniaco: non solo (secondo il racconto dello psichiatra) è stato capace di passare quindici anni fissando il vuoto (cioè guardando senza vedere, con consueta contraddizione), ma, pure nell'attualità della narrazione, il film lo mostra in realtà molto più impegnato (e molto più a lungo) a guardare le sue vittime che non a ucciderle. Non a caso è tanto ricorrente nel film quello stilema che lo mostra come osservatore nel quadro... E tanto quanto lui guarda le sue vittime, altrettante volte ne viene riguardato; ma non si lascia mai guardare (se non nel finale) come si lascerebbe guardare una qualsiasi persona: quella dialettica di vedere e non vedere che sopra è stata individuata, infatti, non lo abbandona mai, neppure quando non è lui a guardare ma viene guardato da qualcun altro. Intanto, la maschera che indossa da adulto pare essere assai più efficace di quella che indossò da bambino: la sua identità di adulto (contrariamente a quanto accadde con sua sorella) resta celata per lo spettatore così come per le sue prossime vittime; anche quando compare sullo schermo, lo spettatore sente di non vedere lui, ma solo una sagoma, una maschera che cela il buio. Ulteriormente a questo dato eminentemente metaforico, poi, si noterà certo un'assai più concreta capacità di apparire a piacimento o non apparire nell'immagine, a favore (o a scapito) degli altri personaggi come dello spettatore: così Michael può apparire improvvisamente a una finestra ed altrettanto improvvisamente sparire (spesso non visto dalla vittima ma visto dallo spettatore, per generare suspense); può decidere di farsi vedere da Laurie (interpretata da Jamie Lee Curtis) ma non dalla sua amica Annie (quella bruna) sparendo dietro una siepe, mentre queste tornano a casa da scuola; può decidere di far scomparire nel nulla il proprio supposto cadavere, così come di apparire da dietro un divano. Può persino decidere di materializzarsi lentamente nel vano buio di una porta come una dissolvenza d'apertura. Se, dunque, in un qualche modo, anche nel suo essere guardato Michael manifesta quella dialettica di vedere e non vedere che si è detta propria di quella sua lunga soggettiva iniziale (e quindi propria del suo guardare), è proprio in questo che risiede la sua capacità di terrorizzare, poiché tale dialettica, in seno al testo filmico, si trasforma in un'ubiquità e in un'onnipotenza; la possibilità di comparire ed attaccare in qualsiasi momento e in qualunque luogo. Ma se è sempre e comunque quella dialettica l'origine del terrore, allora non vi sarà nulla di che stupirsi, se analizzando una sequenza che esemplifica particolarmente bene quanto siamo venuti dicendo (una sequenza, cioè, in cui Michael non guarda ma viene guardato), si noterà che essa è quasi perfettamente simmetrica rispetto a quella prima lunga soggettiva che si è analizzato, e che pure qui la Steadicam svolge una parte tutt'altro che secondaria: in fin dei conti, le due sequenze sono costruite sullo stesso principio.
Il riferimento è a quella sequenza in cui Laurie (Jamie Lee Curtis) si reca nella casa di fronte a quella in cui lei sta facendo la babysitter, per scoprire che fine abbiano fatto le sue amiche, e si scontra con Michael che, intanto, ha provveduto ad eliminarle. Si seguano dunque attentamente le mosse di Laurie: ecco che si noterà come anche questa sequenza (così come la lunga soggettiva d'inizio film) incominci con un avvicinamento a una tipica casa della provincia americana, un giro attorno all'edificio per osservare (attraverso le finestre) le luci del piano superiore, l'ingresso dalla porta posteriore lasciata aperta, l'attraversamento di alcune stanze e la salita su per le scale verso le camere da letto. Anche in questo caso, quasi tutto è Steadicam: tuttavia, non essendo la figura dell'osservatore (qui evidentemente incarnata da Jamie Lee Curtis) a dover essere questa volta nascosta, non tutto ciò che è Steadicam è in soggettiva, né le poche inquadrature non Steadicam presenti sembrano nuocere in alcun modo all'efficacia della sequenza. Quando però la Steadicam svolge, in effetti, la soggettiva dell'osservatore (e cioè di Laurie che si avvicina al fatale incontro e poi ne fugge), ecco, che tale soggettiva, pur non appartenendo a Michael, svolge le stesse funzioni ed ha le stesse caratteristiche di quella prima soggettiva di cui tanto si è detto: sono infatti di nuovo la sensazione di non vedere e di suspense ad aggredire prepotentemente lo spettatore. Differentemente da Laurie, lo spettatore sa quale pericolo si nasconda in quella casa, e la comunque insistente presenza della soggettiva Steadicam nell'avvicinarsi alla casa e, soprattutto, nel salire su per le scale, manifesta chiaramente la natura di percorso visivo dell'episodio: percorso visivo che dovrebbe, secondo ogni ovvietà e probabilità, condurre velocemente alla visione di ciò che è significativo, cioè il pericolo in agguato, cioè Michael. Ma la figura di Michael si nega allo sguardo di Laurie e dello spettatore tenacemente: Laurie può avvicinarsi alla casa, girarvi attorno, entrarvi, perlustrare il pian terreno, avventurarsi al primo piano, addentrarsi sulla scena stessa del delitto senza scorgere traccia di Michael o di una qualsiasi spiegazione dell'accaduto. Di nuovo, ciò che è più significativo si nega tenacemente allo sguardo dello spettatore nonostante le molte soggettive e, addirittura, le molte inquadrature di natura più "oggettiva" . Da questo punto di vista, la sequenza comincia, questa volta, da subito, fin dall'avvicinamento alla casa, a produrre suspense, perché, ora che lo spettatore sa molte più cose, non ha ovviamente bisogno di aspettare l'entrata in scena di un coltello per presagire ciò che sta per succedere… Né le somiglianze si arrestano qui: oltre all'uso di un identico coltello, ad es., troviamo di nuovo, come occupanti occasionali della casa e vittime del mostro, una coppietta di più o meno adolescenti in intimità. Ed ancora a fine di suspense si deve ritenere un semplice ma astuto espediente registico al momento dell'ingresso di Laurie nella camera da letto: tanto Laurie che lo spettatore sanno già che vi troveranno qualcosa all'interno, dato che la luce è accesa, ed è gioco forza che, come di fatto avviene, per manifestare la "scoperta" e sciogliere questo stato di suspense, si scelga di proseguire con la soggettiva di lei; tuttavia, al momento dell'apertura della porta socchiusa, Carpenter opta per interrompere momentaneamente la soggettiva Steadicam di Laurie con un breve pedinamento a precedere, il cui scopo è di mostrare allo spettatore, prima ancora dello spettacolo che si para di fronte a Laurie, la sua espressione, cioè il terrore che tale spettacolo le incute: prima dell'inevitabile effetto di sorpresa al ritorno sulla soggettiva Steadicam di Laurie, Carpenter sceglie cioè di imprimere un'ultima (per il momento) impennata allo stato di attesa e di suspense dello spettatore. Si vorrà inoltre, per inciso, notare l'evidente carattere di messa in scena, di teatralità, di tale scena del delitto, ovvero della camera da letto con i cadaveri delle sue amiche quale compare a Laurie: la composizione del cadavere e della lapide sul letto, la presenza della zucca illuminata, la comparsa smaccatamente a effetto degli altri due cadaveri da dentro gli armadi… Se tutto ciò, nel contesto del racconto, deve essere attribuito all'azione dell'insania di Michael, si vorrà però notare quanto bene ciò consuoni con quel che si è detto della natura di dissolvenza d'apertura della comparsa immediatamente successiva di Michael, nel vano buio della porta accanto a Laurie (non visto da lei ma visto dallo spettatore, con consueto effetto di suspense). Sfuggita fin troppo fortunosamente al colpo del solitamente infallibile mostro, ridiscese le scale precipitando, riuscendo a malapena a fuggire da quella casa, dopo aver tentato inutilmente di chiedere aiuto, Laurie fa appena in tempo a rifugiarsi nella casa da cui proveniva. Ma qui si trova nuovamente a dover affrontare un nemico che può seguirla ovunque senza rendersi visibile: una porta finestra lasciata aperta, una tenda che ondeggia nel vento, servono a dare una patina di credibilità e di realismo alla situazione, ma è fin troppo evidente che Michael non può essere umanamente entrato di lì nel piccolo salotto ed aver isolato il telefono senza essere visto da Laurie e dal bambino lì presenti: se, dunque, Michael fa la sua "comparsa" da dietro il divano, ciò va inteso in senso letterale; un nemico onnipresente e onnipotente che può rendersi invisibile, ha deciso di materializzarsi lì e in quel momento.
Sarebbe ormai, tutto sommato, inutile voler insistere ulteriormente in una simile analisi. In effetti, quanto siamo venuti dicendo sulla dialettica di vedere e non vedere che caratterizza sempre la figura di Michael (sia quando guarda che quando viene guardato), sulla sua capacità di apparire come di non apparire, e, quindi, sulla sua possibilità di giungere ovunque, ci fa prospettare una somiglianza con Pazuzu assai più stretta di quanto non si possa a prima vista ipotizzare, e che va ben oltre al loro semplice essere creature del male. Non è forse Pazuzu, in quanto demone dell'aria, colui che può attraversare tutta l'Africa in un rapido volo, colui che può giungere ovunque, che può manifestarsi ovunque voglia o non manifestarsi? Non è forse anche Pazuzu un'entità che sovente si nasconde dietro il suo stesso sguardo (come nelle soggettive Steadicam che si sono analizzate, nel villaggio etiopico verso padre Merrin e nella città africana alla volta di Kokumo)? Dunque veramente le figure di Pazuzu e di Michael sembrano manifestare uno stretto rapporto, nascondere un'intuizione comune, un filo conduttore sotterraneo: l'aerea incorporeità dell'uno e l'ingombrante corpacciosità dell'altro sembrano contraddittoriamente manifestare (almeno dei confronti della mdp e del testo filmico) uno stesso comportamento, e giustificare l'uso di stilemi analoghi nell'impiego della Steadicam. Ma cosa mai può giustificare una tanto contraddittoria parentela?
Forse tale parentela non è diretta, ma passa per un terzo termine comune. E in fin dei conti, se Michael (o Pazuzu o chi per loro) è legato all'atto del guardare e del vedere in maniera assai particolare, se può apparire come non apparire, se può materializzarsi come una dissolvenza d'apertura, se ciò che lo caratterizza è proprio il suo essere un osservatore, se ha il dono dell'ubiquità e dell'onnipotenza, se può nascondersi dietro il suo proprio sguardo dando origine ad una soggettività di cui non è possibile rintracciare il soggetto, non è forse perché condivide tutte le principali caratteristiche dell'Enunciazione cinematografica?.. Del raccontare cinematograficamente, che può passare istantaneamente e senza sforzo da un luogo all'altro e da un tempo all'altro, attraversare le pareti ed andare ovunque… o far sì che sia il mondo (grazie alla dissolvenza incrociata) a "spostarsi" attorno alla mdp immobile? Allora ecco: quasi senza volere, siamo già passati ben troppo oltre: alla fin fine, è il cinema stesso un grande fantasma!


8) Cfr. D. Ballerini, La natura selvaggia dello sguardo, cit.